Prospettive globali: rallentamento e incertezze crescenti

Il recente Outlook OCSE "Tackling Uncertainty, Reviving Growth" rivede al ribasso la crescita economica globale, sulla quale gravano anche le possibili ripercussioni di dazi e barriere commerciali. Le prospettive dell'Eurozona, alle prese con una ripresa graduale ma fragile, e le raccomandazioni rivolte all'Italia

Francesco Scinetti

Il quadro economico mondiale si presenta sempre più complesso, caratterizzato da crescenti incertezze e fattori negativi. L’inasprimento delle barriere commerciali, il restringimento delle condizioni finanziarie, il calo di fiducia tra imprese e consumatori e l’imprevedibilità delle politiche economiche stanno pesando sulle prospettive di crescita. Le stime dell’OCSE contenute nell’ultimo report Economic Outlook 2025 indicano un rallentamento del PIL globale, che passerà dal +3,3% nel 2024 al +2,9% nel 2025-2026, con un calo più accentuato negli Stati Uniti, Canada e Messico, mentre sarà più contenuto in Cina e nei Paesi emergenti (figura 1).

Sul fronte commerciale, il 2025 segna un aumento storico dei dazi statunitensi. Sebbene le nuove aliquote siano inferiori ai picchi bilaterali annunciati ad aprile (oltre il 100%), non è escluso un loro ripristino entro fine anno, data la natura temporanea delle sospensioni. A oggi il Regno Unito rimane l’unico Paese ad aver raggiunto un accordo per l’abolizione dei dazi su acciaio e alluminio e una riduzione parziale di quelli sulle auto. L’aliquota media globale delle tariffe è passata dal 2% al 15,4%, il livello più alto dagli anni Trenta. La Cina ha reagito con misure speculari, mentre il Canada ha risposto con contromisure mirate. Giappone, Messico e Unione europea attendono ulteriori negoziati prima di agire.

Oltre il 2% del PIL mondiale è ora soggetto a tariffe più elevate, con il rischio concreto di un freno agli investimenti, un ulteriore rallentamento della crescita e pressioni inflazionistiche. Nonostante l’inflazione nel G20 sia prevista in calo (dal 6,2% nel 2024 al 3,6% nel 2025 e 3,2% nel 2026), gli Stati Uniti potrebbero vedere un rimbalzo verso il 4% proprio a causa dei dazi, mantenendosi sopra l’obiettivo della Fed anche nel 2026.

Figura 1 - Crescita annua del PIL reale 2023-2026 (valori in percentuale)
Figura 1 - Crescita annua del PIL reale 2023-2026 (valori in percentuale)
Fonte: OCSE 

 

Eurozona: ripresa graduale, ma fragile

L’area euro sta attraversando una fase di ripresa contenuta, sostenuta da alcuni fattori positivi, ma accompagnata da segnali di rischio che invitano alla cautela. Dopo una crescita trimestrale dello 0,3% registrata all’inizio del 2025, le proiezioni indicano un aumento del PIL dell’1% nel 2025 e dell’1,2% nel 2026. Questo miglioramento è guidato principalmente dalla ripresa della domanda estera, dall’aumento dei redditi disponibili reali e da un tasso di disoccupazione sceso al 6,2%, il livello più basso dalla nascita dell’euro. Sebbene l’incertezza globale continui a pesare sugli investimenti privati, quelli pubblici saranno invece stimolati grazie ai fondi del PNRR, attivi fino al 31 dicembre 2026, e alle politiche fiscali espansive adottate dalla Germania e dall’Unione Europea. Queste manovre prevedono un piano di investimenti pari a circa 1.300 miliardi di euro, provenienti per il 60% da fondi dell’Unione Europea e per il restante 40% da risorse tedesche, con una forte concentrazione nei settori della difesa e delle infrastrutture.

Sul fronte dell’inflazione, i dati appaiono confortanti: l’indice generale si attesta al 2,2% ad aprile 2025, mentre quello core (al netto di energia e alimentari) è al 2,7%. Un ulteriore fattore di stabilizzazione deriva dal rallentamento della crescita occupazionale e salariale, che riduce le pressioni sui prezzi. Di conseguenza, anche le condizioni finanziarie mostrano segnali di miglioramento, con la BCE che ha progressivamente ridotto i tassi di interesse dal 4,5% di maggio 2024 al 2,15% di giugno 2025, stimolando una ripresa nel mercato dei prestiti immobiliari.

La bilancia commerciale registra un avanzo di 44 miliardi a marzo (pari allo 0,3% del PIL), sostenuta dal calo dei prezzi energetici e dalla crescita delle esportazioni nei settori chimico e manifatturiero. Tuttavia, questa crescita delle esportazioni europee è in parte riconducibile a un fattore temporaneo: i consumatori americani hanno infatti aumentato significativamente le proprie importazioni dall'Europa per anticipare l'entrata in vigore dei nuovi dazi statunitensi. Attualmente gli Stati Uniti applicano un dazio del 10% su tutti i beni provenienti dall'Unione Europea, con aliquote più elevate del 25% su automobili, acciaio e alluminio. Tuttavia, per acciaio e alluminio (ma non per il settore automotive) le tariffe sono state recentemente raddoppiate al 50%. Questo incremento è una risposta diretta alla controversia legale con la US Court of International Trade, che in prima istanza aveva cancellato questi dazi prima che la misura venisse sospesa dalla Corte d’appello americana. Di fronte a questa situazione, l'Unione Europea ha scelto una strategia attendista, rinviando qualsiasi decisione sulle eventuali contromisure per un periodo di 90 giorni.

 

Italia: crescita debole, ma consumi e investimenti pubblici in tenuta

L’economia italiana subirà un leggero rallentamento nel 2025, con una crescita del PIL dello 0,6%, per poi riprendersi leggermente allo 0,7% nel 2026. Questo andamento riflette principalmente le tensioni commerciali a livello globale e dalla debole domanda europea. Nonostante il contesto sfavorevole, il potere d’acquisto delle famiglie rimarrà sostenuto, grazie alla crescita dei salari reali e a un mercato del lavoro resiliente, con un tasso di disoccupazione sceso al 6% – il livello più basso dall’epoca pre-crisi finanziaria. I consumi privati, pertanto, dovrebbero mantenersi solidi, mentre gli investimenti pubblici troveranno slancio anche nel 2025-2026, alimentati principalmente dalle risorse residue del PNRR.

Tuttavia, la produzione industriale continua il suo declino da febbraio 2023, con un calo annuo dell'1,8%, registrato a marzo 2025, nel settore automobilistico. Le esportazioni, tradizionale punto di forza del nostro sistema produttivo, versano in condizioni di sostanziale stagnazione e sono ferme dal terzo trimestre 2022. Questo trend negativo deriva da una duplice motivazione: da un lato la sempre più aggressiva concorrenza cinese nel comparto manifatturiero, dall'altro l'impatto dei nuovi dazi statunitensi. Queste barriere commerciali colpiscono direttamente l'Italia, considerato che oltre il 10% del nostro export è destinato agli Stati Uniti, ma avranno anche un effetto indiretto attraverso la contrazione della domanda globale, particolarmente nei settori più esposti come quello automobilistico e dei macchinari.

Sul fronte della sostenibilità dei conti pubblici, l'Italia ha chiuso il 2024 con un deficit pubblico al 3,4% del PIL, migliorando di 0,4 punti percentuali le previsioni del governo. Le stime indicano un’ulteriore riduzione del disavanzo nel 2025-2026, con un calo complessivo di 0,6 punti percentuali, in linea con il Piano di Bilancio trasmesso alla Commissione Europea. Tuttavia, nello stesso periodo, il rapporto debito/PIL è destinato ad aumentare, raggiungendo il 137,8% entro il 2026 (+2,5 punti percentuali rispetto al 2024).

Il miglioramento del deficit sarà sostenuto dalla graduale eliminazione del Superbonus, dall'aumento delle entrate fiscali e da un più attento controllo della spesa pubblica da parte di alcuni ministeri. Il governo ritiene che queste misure basteranno a compensare da un lato la riforma fiscale che ha previsto una riduzione della tassazione sulle persone fisiche tramite la riduzione degli scaglioni IRPEF, dall'altro gli aumenti di spesa programmati, soprattutto nel settore sanitario. Tuttavia, il miglioramento dei conti pubblici potrebbe essere più contenuto rispetto alle attese del governo, a causa del rallentamento della crescita economica e delle pressioni europee per aumentare ulteriormente la spesa militare. Per garantire la stabilità delle finanze pubbliche, l'OCSE sottolinea la necessità di interventi strutturali in tre aree chiave: riformare il sistema pensionistico (qui, i dati del Dodicesimo Rapporto Itinerari Previdenziali e i punti di attenzione individuati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali sul tema), contrastare più efficacemente l'evasione fiscale e orientare gli investimenti verso la transizione energetica.

Francesco Scinetti, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

19/6/2025

 
 
 

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