Scuola, COVID-19 e povertà educativa: pericoli e opportunità dell'apprendimento a distanza

La probabile mancata riapertura delle scuole fino a settembre ha legittimamente sollevato preoccupazioni per le famiglie alle prese con un work-life balance reso ancora più delicato dal nuovo coronavirus. Dal punto di vista degli studenti cosa significa invece continuare ad affidarsi alla didattica a distanza?

Mara Guarino

Già all’indomani della conferenza stampa del premier Giuseppe Conte sull’agognata fase due è risultato abbastanza evidente come tra le grandi “trascurate” del post lockdown ci fossero le famiglie, con particolare riferimento alla cura di bambini e ragazzi, il cui rientro a scuola tende ormai a essere quasi del tutto escluso – nell’ottica di contenere la diffusione del virus – almeno fino al mese di settembre.

Pur non del tutto imprevista, la conferma della sospensione delle attività scolastiche ha inevitabilmente sollevato un problema di conciliazione vita-lavoro, soprattutto al femminile: in attesa di capire se e come si concretizzeranno eventuali servizi (come centri estivi o asili nido a ranghi ridotti) a prova COVID-19, le politiche di conciliazione finora attuate dal governo si sono finora concretizzate in congedi parentali e bonus baby sitting, misure inadeguate tuttavia a una fase di riapertura di aziende, uffici ed esercizi commerciali, e che costringono di riflesso molti genitori – soprattutto le donne, sui cui grava tuttora per la maggior parte in Italia la cura di casa e famiglia -  a rinunciare alla ripresa del lavoro per occuparsi dei propri figli. Già i dati sull’occupazione relativi al mese di marzo evidenziano del resto la forte connotazione “rosa” del problema: i posti di lavoro persi a marzo (29.000 in totale) rispetto al mese di febbraio sono stati per due terzi femminili e per un terzo maschile. Vale a dire che le donne, di certo poco favorite non solo dalla chiusura di servizi per l’infanzia e strutture scolastiche, ma anche dal venir meno di quella rete di supporto normalmente costituita da nonni o da altri familiari non necessariamente conviventi, hanno visto cessare a marzo i propri rapporti di lavoro in misura doppia rispetto agli uomini. 

Un problema non di poco conto che ha forse però finito con il distogliere l’attenzione da un’altra questione cruciale: senza mettere in discussione la tutela della salute come obiettivo primario delle decisioni dell’esecutivo, quali sono le possibili conseguenze del mancato rientro in aula? Quali le opportunità e soprattutto i pericoli insiti nell’apprendimento a distanza? Su questo punto è recentemente intervenuta l’Accademia della Crusca che, con il Documento per la ripresa della vita scolastica firmato da Rita Librandi, Claudio Giovanardi e Francesco Sabatini, ha posto l’accento sulla necessità di intervenire sui rischi di una cattiva interpretazione delle nuove modalità d’urgenza connesse soprattutto con l’insegnamento a distanza. Se è infatti vero che le tecnologie informatiche sono già e potranno rivelarsi anche in futuro una grandissima risorsa per la scuola, lo è altrettanto che l’esperienza didattica non può e non deve risolversi nella sola fruizione di risorse web

Come si legge nel documento«il nostro corpo docente nel suo insieme ha reagito in modo esemplare davanti all’emergenza della pandemia, dimostrando piena consapevolezza del proprio ruolo e dell’alto valore che la formazione assume nella società: rimodulando procedure, forme di comunicazione, interazione con bambini e adolescenti, potenziando al massimo l’uso degli strumenti telematici o talvolta impadronendosene per la prima volta. È un merito che gli va prontamente riconosciuto. La risposta straordinaria, tuttavia, non deve far confondere tale capacità di intervenire in urgenza con la soluzione di un processo educativo che non può esaurirsi nella trasmissione di contenuti attraverso il web: la scuola è un’aula e non un video. Si tratta di un principio fondamentale tanto per la scuola quanto per l’università, che non vive con minore disagio l’impossibilità di tenere lezioni ed esami in presenza»D’altra parte, sono gli stessi insegnanti a palesare i limiti della didattica a distanza, che non consente di verificare con immediatezza la risposta degli studenti alla lezione e quindi di valutare l’efficacia dei tempi e modi di insegnamento utilizzati, che annulla o comunque riduce socializzazione e lavoro di squadra e che, infine, riduce anche la fisicità dell’insegnamento (gestualità etc), ritenuta essenziale da psicologi ed esperti di pedagogia per i processi di apprendimento dei più piccoli. 

I limiti dell’attuale sistema emergenziale vanno però ben oltre il solo aspetto didattico, obbligando anche a riflettere sulle possibili implicazioni in termini di inclusione di bambini e ragazzi. Le cui famiglie, al pari degli insegnanti, si sono ritrovate all’improvviso costrette ad affrontare un modo di vivere la scuola completamente nuovo, talvolta senza avere a disposizione né gli strumenti più adeguati, come connessioni, pc o tablet né le disponibilità finanziarie necessarie a dotarsene in tempi più o meno rapidi. 

Sia l’esecutivo, attraverso stanziamenti finalizzati all’acquisto dei device, sia diverse realtà del Terzo Settore hanno cercato di tamponare le possibili disuguaglianze ed evitare che alcuni studenti non fossero in grado di fruire delle lezioni, ma il rischio che soprattutto i giovani già più esposti alla povertà educativa, e di riflesso sociale ed economica, vedano minato il proprio diritto allo studio è palese. Con il concreto pericolo, sollevato con prospettiva planetaria anche dall’Unesco (secondo recenti stime più del 90% degli studenti di tutto il mondo ha portato avanti o sta tuttora portando avanti il proprio percorso scolastico con la didattica online a causa di COVID-19), di un aumento dell’abbandono scolastico soprattutto tra le classi sociali economicamente più svantaggiate. 

Uno scenario che l’Italia non può permettersi. E per comprenderne le ragioni bastano poche ma salienti statistiche. Nonostante gli abbandoni scolastici siano diminuiti nel corso degli anni, il nostro Paese rimane tra quelli più colpiti in Europa, con il 14,5% di giovani tra i 18-24 anni in possesso della sola licenzia media (elaborazioni Openpolis riferite al 2018) e pesanti divari tra Nord e Sud. Sempre Openpolis rimarca come nelle grandi regioni del Sud, come Sicilia e Calabria ad esempio, il fenomeno sia più frequente palesando peraltro una correlazione con il tasso di occupazione giovanile: nelle regioni dove l’abbandono è più alto, i giovani sono meno occupati. Un risultato che, sebbene influenzato da molti altri fattori (condizioni generali del mercato del lavoro, diffusione del sommerso, etc), conferma la ricorrenza tra uscita precoce dagli studi e difficoltà nella ricerca di un impiego. E, di conseguenza, anche la necessità di intervenire con strumenti nuovi e soluzioni mirate affinché la pandemia di COVID-19 non si trasformi in un moltiplicatore di disuguaglianze e disparità accentuando fenomeni che l’Italia già fatica a contenere e sradicare. 

Cruciale nell’affrontare la situazione emergenziale in corso diventa allora, da una parte, fare ogni sforzo possibile per garantire equità e, dall’altra, iniziare già a pensare al futuro, che non può più tradursi nel solo ricorso al virtuale, cogliendo anche l’occasione per non ripetere alcuni errori del passato. Come scrive l’Accademia della Crusca nel proprio documento, «i fatti presenti confermano che la salute è il bene primario, ma confermano altresì che tutti gli aspetti della vita di ciascun Paese, compreso quello ora nominato, dipendono dagli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nel diritto allo studio, beni da assicurare alle generazioni crescenti, energie indispensabili anche da trattenere il più possibile nella terra di origine. Gli sforzi encomiabili per far fronte alla pandemia sono stati tanti: pensiamone tanti anche per la riapertura delle scuole. […] si riconosca che l’affollamento nelle classi è stato un provvedimento ministeriale sconsiderato; si provveda con l’occasione a rendere accettabile il rapporto numerico discenti-docenti. E non si assecondi la convinzione – forse gradita in ambienti solo commercialmente interessati – che la scuola possa essere un video e non un’aula: sarebbe, non solo nella battaglia contro COVID-19, una sconfitta irreparabile». 

Mara Guarino, Itinerari Previdenziali 

6/5/2020

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche