Alla ricerca della crescita perduta

Non solo l'Italia ma tutto il mondo guarda già da qualche tempo alla fase di ripresa che avverrà post pandemia: le iniziative dei diversi governi saranno determinanti ma, accanto ai loro programmi, ampio spazio potrà essere occupato anche da privati e investitori istituzionali

Niccolò De Rossi

In Italia, si sa, il tema della crescita è sempre stato un argomento delicato. Soltanto volgendo lo sguardo al recente passato, si può dire che latiti ormai almeno dalla crisi del 2008: il nostro Paese non è mai riuscito a tornare sui livelli del passato ed è sempre rimasto fanalino di coda in Europa. Proprio per l’importanza che riveste sarebbe superficiale voler affrontare la questione in poche righe. Ma qualche riflessione, a maggior ragione in un momento nel quale la pandemia ha complicato ancora di più le cose, potrebbe essere comunque utile. 

Un primo elemento da valutare è che manca ormai da tempo una guida certa che traghetti l'Italia verso una seria ripartenza. La volatilità con cui si sono susseguiti gli esecutivi nell’ultimo decennio circa non ha consentito di mettere in campo un duraturo progetto di solide riforme. Ogni parte politica che è salita al governo ha portato legittimamente la propria visione ma il problema risiede nel fatto che nessuna di queste è rimasta abbastanza in carica per riuscire anche solo a scorgere i primi e timidi effetti del lavoro impostato. Dal 2013 a oggi infatti, si sono avvicendati ben 6 governi (Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2 e Draghi)  in soli 7 anni. Il che fa pensare a tutto tranne che a un contesto stabile nel quale poter costruire una visione solida di crescita per il Paese di domani. Ma non solo.

Oggi più che mai, con la pandemia in verità ancora in corso, si torna a parlare dei possibili numeri su cui si potrebbe attestare la ripresa post COVID. Con l’arrivo dei diversi vaccini, con tutte le difficoltà del caso legate in particolare all’approvvigionamento, le nuove previsioni non potranno che tenere in conto in modo rilevante la nuova variabile in gioco. Oltre però a criticare anche aspramente il rifornimento vaccinale spesso a singhiozzo, c’è un discorso di differenze di velocità nella somministrazione che si fa sempre più evidente tra le diverse regioni. A questo proposito le anticipazioni che ha fornito il FMI parlano infatti chiaro. Il maggiore rischio per tutte le economie è quello di un rallentamento delle campagne vaccinali, dovuto tanto a problemi di approvvigionamento delle dosi quanto al processo di somministrazione. Sulla base delle valutazioni del Fondo, l’Italia dovrebbe crescere nel 2021 intorno al 4% con uno sprint nell’ultima parte dell’anno, da circa il -9% del 2020. Nel quadro generale, in ogni caso, sembra comunque che l’Europa tutta non si sia dimostrata completamente efficiente nel gestire la fase più delicata e importante per uscire definitivamente dall’attuale crisi.

Ciò che è certo allora è che la ripresa globale non potrà che essere trascinata dalle due superpotenze amiche/nemiche, Stati Uniti e Cina. Nonostante gli USA si trovino a guardare con preoccupazione dal punto di vista economico e finanziario la risalita dei tassi di interesse, intravedendo il rischio per un’impennata dell’inflazione nei prossimi mesi, gli stimoli che il presidente Biden ha messo in campo (1.900 miliardi) sono tali da lasciar supporre che il più potente Paese al mondo vedrà presto una nuova e consistente fase di crescita. Attraversando l’oceano, la Cina è stata l’unica tra le grandi economie a evitare una contrazione nel 2020 e vedrà consolidare in modo consistente la sua espansione nel commercio internazionale anche quest’anno. 

Tornando in Italia e alle stime evidenziate è invece chiaro come i fattori in gioco per confermare, migliorare o peggiorare i dati preliminari siano ancora molti. Non va infatti dimenticato il pacchetto di sostegni varato dal governo e come alcune misure, come il blocco dei licenziamenti, vengano da più parti definite una bomba a orologeria non potendo essere mantenute per sempre e posticipando quindi gli effetti di una crisi che sembra inevitabile. Insomma, superata la fase più difficile e sconfitta la pandemia ci sarà molto da ricostruire. Ricostruzione che dovrà appunto necessariamente passare per un progetto solido e di lungo periodo, stabilità politica permettendo. Perché non è solo l’Europa che lo richiede, ma a volerlo implicitamente è la necessità stessa di utilizzare al meglio i fondi europei di cui anche l’Italia beneficerà. Curare le ferite inflitte al mercato del lavoro, guidare l’ormai nota transizione ecologica verso una visione green dell’economia e un programma di lenta ma duratura riduzione del debito: questi solo alcuni dei temi che dovranno essere affrontati in via prioritaria. Creazionie di posti di lavoro in mercato che cambia, digitalizzazione della PA, riforma il sistema fiscale; tutti punti che, troppo a lungo, sono stati oggetto solo di campagna elettorale ma mai effettivamente “messi a terra”.  

La recessione economica dello scorso anno, e di converso, il rilancio che anche il FMI si aspetta, dipenderà però anche dalla rapidità con cui riusciranno a ripartire soprattutto le piccole e medie imprese italiane, motore e dorsale del Paese. A questo proposito, accanto alle iniziative pubbliche certamente necessarie, è da tempo che si parla sia di un maggiore intervento sia degli investitori istituzionali sia di un maggiore coinvolgimento dell’ingente risparmio privato accumulato. Se, per quest’ultimo, la recente revisione della normativa sui PIR (Piani Individuali di Risparmio) ha particolarmente incentivato l’investimento soprattutto da parte dei detentori di grandi patrimoni nel tessuto economico nazionale, per gli investitori istituzionali non sembra invece ravvedersi una particolare presa di coscienza da parte del legislatore per favorire l’afflusso dei loro patrimoni verso l'economia reale.

Sono piuttosto gli stessi Fondi Pensione e Casse di Previdenza ad aver tirato il carro, con esperienze individuali e consortili che hanno portato al progresso del sistema nel suo complesso. Infatti, come emerso in occasione della Colazione di Lavoro Itinerari Previdenziali “Come sarà la relazione tra enti previdenziali e private market nel 2021?”, ci sono ancora molti passi avanti che tutti gli attori coinvolti dovranno compiere. Nonostante una radicata consapevolezza del loro operato a sostegno dell’economia reale, una normativa che da troppo tempo si è dimenticata degli operatori previdenziali non favorisce il decollo definitivo degli investimenti nei mercati privati, riducendo la possibilità per gli stessi investitori istituzionali di supportare le imprese italiane. 

Ma l’incentivo fiscale che potrebbe essere accordato a determinati “investimenti qualificati”, da solo, non può portare al cambio di passo. Tra le tante riflessioni emerse durante la mattinata c’è infatti anche il tema della specializzazione che sempre più viene richiesta anche all’industria finanziaria. Proporre soluzioni di investimento standardizzate, per quanto profittevoli possano essere e così come solitamente avviene per i mercati tradizionali, non sembra rispettare l’appetito degli investitori. La direttrice tracciata è quella di tendere verso prodotti sempre più specifici e specializzati ma soprattutto customizzabili sulle caratteristiche e sulle esigenze del singolo investitore.

Insomma, se si può essere certi che l’impegno e le risorse dei soggetti istituzionali non mancheranno all’appuntamento con la ripresa, c’è nel frattempo da ritrovare una visione di lungo periodo a livello nazionale: una visione che abbia il coraggio di toccare anche alcuni di quegli ambiti sui quali, al di là della propaganda, raramente si è riusciti a intervenire. La ricerca della crescita perduta continua…

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

7/4/2021

 
 
 

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