Casse di Previdenza e fondi pensione: la nuova rotta verso il venture capital

Di recente approvato da entrambe le Camere, il testo del DDL Concorrenza sembra confermare per gli investitori previdenziali la direzione verso i fondi "innovativi". Pena, in caso di non adeguamento, la perdita dell'esenzione sul capital gain. Approfondiamo il tema

Giulia Sordi

Novità in arrivo per gli investimenti in venture capital per casse di previdenza e fondi pensione? Parrebbe proprio di sì: il testo definitivo del DDL Concorrenza approvato da Camera e Senato nel mese di dicembre sembra tracciare un percorso “obbligatorio” per gli enti previdenziali. 

 

Cosa si intende per venture capital?

Il D.L. 98 del 2011 definisce “Fondi per il Venture Capital” (FVC) gli organismi di investimento collettivo del risparmio chiusi e le società di investimento a capitale fisso, residenti in Italia, in UE o nel SEE (spazio economico europeo) che investono almeno l'85% del valore degli attivi in piccole e medie imprese (PMI) non quotate in mercati regolamentati, nella fase di sperimentazione (seed financing), di costituzione (start-up financing), di avvio dell'attività (early-stage financing) o di sviluppo del prodotto (expansion o scale up financing) e il residuo in PMI.

Una tipologia di investimento che consente sia di sviluppare nuove attività innovative sia di dare alle realtà già esistenti quella dimensione di capitale, di organizzazione e di personale capace di raggiungere un rapporto ottimale con i nuovi processi informativi (ma non solo) in atto. Proprio l’innovazione rappresenta uno dei driver imprescindibili per la crescita dei Paesi industriali, da una parte per mantenere la propria competitività, dall’altra come elemento di stimolo per nuovi investimenti e nuovi consumi. Per attuare una transizione in tale direzione, la maggior parte delle aziende necessita di nuove risorse ma il modello di finanziamento delle imprese italiane, in particolare delle PMI, è caratterizzato dalla stretta dipendenza dal canale bancario. Il peso dei prestiti sul passivo, i modelli automatici di assegnazione del merito creditizio, le modalità delle relazioni banca-impresa (frazionate tra più banche) e le forme tecniche rendono il sistema potenzialmente debole, inadatto a sostenere lo sviluppo a medio-lungo termine e le imprese ad alta intensità di innovazione. 

In questo contesto, si inserisce l’attuale mercato di venture capital in Italia: secondo il Rapporto VeM (Venture Capital Monitor), elaborato da AIFI e LIUC Business School, nel nostro Paese il comparto sta assumendo gradualmente dimensioni sempre più rilevanti, anche se permane ancora uno stadio di sviluppo non totalmente allineato ad altri Paesi significativamente comparabili per quanto negli ultimi anni le distanze si siano accorciate grazie a tassi di crescita interessanti. Non è tuttavia passata inosservata la battuta d’arresto della crescita del settore nel 2023 (273 nuove operazioni, -12% rispetto all’anno precedente), dato in linea con il mercato globale del venture capital, e già in parte manifestatasi nella seconda metà del 2022. Nello specifico, il 2023 si è chiuso con una diminuzione degli investimenti in startup con sede in Italia (da quasi 1,9 miliardi di euro del 2022 a circa 1,1 miliardi) e con circa 300 milioni investiti in realtà estere promosse da founder italiani, esattamente come l’anno precedente. Sul settore pesano: il numero ridotto di gestori italiani di fondi di venture capital e, di riflesso, la dimensione dei fondi gestiti dai venture capitalist domestici risulta mediamente inferiore (la rilevazione sull’ammontare medio investito è pari a 4,7 milioni di euro) a quella dei veicoli esteri; l’ancora limitata partecipazione al mercato da parte degli investitori istituzionali; una permanente difficoltà nella fase di disinvestimento e, più in generale, un ecosistema tuttora eccessivamente frammentato sebbene lo sviluppo del mercato sia da interpretare come indicativo di un miglioramento.

Come storicamente registrato nel mercato italiano, sotto il profilo operativo, si confermano al primo posto gli investimenti verso realtà di venture capital già in fase evolutiva avanzata (e quindi più consolidate), seguiti poi dagli impegni in seed financing (fase di sperimentazione) e, marginalmente, in later stage venture (aziende che hanno raggiunto traguardi significativi e si stanno preparando per un'espansione su larga scala o per un evento di uscita). Dal punto di vista settoriale, invece, l’ICT (information and communication technologies) ha in gran parte attratto l’interesse degli investitori raggiungendo una quota del 38%; al secondo posto l’healthcare (12%), che storicamente attrae l’interesse dei fondi di venture capital, seguito dal comparto degli “altri servizi” (9%), trainati dall’edutech. Seguono a poca distanza servizi finanziari - fintech (7%) e “energia e ambiente” (7%). 

 

DDL Concorrenza: quali novità sul tavolo per Casse e fondi pensione? 

Il testo del DDL Concorrenza elaborato dal Ministero del Made in Italy, con la collaborazione di esperti e operatori del settore, mira, tra le diverse misure, a sostenere lo sviluppo del mercato del venture capital – con particolare riguardo ai progetti che coinvolgono le startup tecnologiche – mediante il coinvolgimento proattivo delle Casse di Previdenza e dei fondi pensione integrativi. L’obiettivo è quello modificare il testo dalla legge n. 232 del 2016 (Legge di Bilancio per il 2017, poi successivamente modificata) che, allo stato attuale, consente agli enti di previdenza obbligatoria (Casse previdenziali) e alle forme di previdenza complementare di effettuare investimenti, definiti “qualificati”, nella misura massima del 10% del loro attivo patrimoniale, nelle seguenti classi d’investimento:

  • azioni o quote di imprese residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello SEE;
     
  • azioni o quote di OICR residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello SEE che investono prevalentemente negli strumenti finanziari sopra indicati;
     
  • quote di prestiti, di fondi di credito cartolarizzati erogati od originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali, gestite da specifici enti;
     
  • quote o azioni di fondi per il venture capital, residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nel SEE.


Per gli investimenti qualificati è riconosciuto un notevole vantaggio fiscale: l’esenzione dell’imposta (20%) sui redimenti ottenuti purché gli strumenti siano detenuti per almeno 5 anni.

Gli emendamenti rivolti al DDL Concorrenza sono intervenuti andando ad aggiornare la quota dell’attivo patrimoniale che gli enti previdenziali possono destinare agli investimenti qualificati (dal 10% all’9%) prevedendo tuttavia che un ulteriore 1% dell’attivo patrimoniale possa essere destinato agli investimenti qualificati in quote o azioni di fondi per il venture capitalLa misura va poi a intervenire direttamente sull’esenzione fiscale sul capital gain: è infatti riconfermata purché gli investimenti qualificati in quote o azioni di fondi per il venture capital siano almeno pari al 5% del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell'esercizio precedente e, a partire dall'anno 2026, almeno pari al 10% del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell'esercizio precedente. 

 

Investitori previdenziali e venture capital: il quadro 2023

Il nuovo DDL Concorrenza inserisce dunque un vincolo “fiscalmente” rilevante, da tenere in considerazione, in particolare per quei soggetti che, a oggi, presentano un’esposizione ridotta - se non nulla - nei confronti dei “fondi innovativi” che, per loro natura, offrono aspettative di rendimento interessanti ma, al contempo, un profilo di rischio maggiore. Ma, effettivamente, qual è esposizione di Casse di Previdenza e dei fondi pensione nel segmento del venture capital?

Grazie al Report e al database relazionale Itinerari Previdenziali, è possibile ottenere una fotografia aggiornata. Le Casse di Previdenza professionali, che svolgono la funzione previdenziale di primo pilastro, sono da tempo impegnate nell’investimento in fondi d’investimento alternativo (FIA), tra cui i fondi di venture capital. Nel 2023, l’investimento in FIA ha raggiunto i 23,59 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 20,9 miliardi nel 2022 e pari al 25,5% degli investimenti diretti e al 22% del totale degli attivi. Modesta rimane tuttavia l’esposizione verso gli strumenti di venture capital - pari allo 0,82% del totale FIA - anche se si conferma il trend di crescita che ha portato gli investimenti da poco meno di 50 milioni nel 2018 agli oltre 192 milioni del 2023. Di segno contrario, invece, la tendenza registrata nei fondi pensione preesistenti che abbassano la loro allocazione nei fondi di venture capital dallo 0,97% del 2022 allo 0,68% del 2023 sul totale degli investimenti in FIA. 

Figura 1 – Gli investimenti in FIA di Casse di Previdenza e fondi preesistenti a confronto

Figura 1 – Gli investimenti in FIA di Casse di Previdenza e fondi preesistenti a confronto

Fonte: database relazionale Itinerari Previdenziali

Infine, risulta nulla l’esposizione nei confronti del segmento venture capital dei fondi pensione negoziali che, nella maggioranza dei casi, hanno approcciato i fondi d’investimento alternativi solo nell’ultimo quinquennio.

In funzione delle misure previste dal DDL Concorrenza, sembrano quindi ampi i margini di crescita del mercato dei fondi di venture capital per Casse di Previdenza e, ancor di più, per le forme pensionistiche complementari: in questa fase, risulta dunque strategico il confronto e lo scambio di expertise tra investitori istituzionali (si pensi che le Fondazioni di origine Bancaria già oggi destinano al venture capital oltre il 6,5% degli investimenti in FIA) e operatori di mercato al fine di poter approcciare – anche se per gradi – il segmento d’investimento, nel delicato equilibrio tra crescita del patrimonio e mission degli enti previdenziali, la tutela del futuro pensionistico dei propri iscritti.  

Giulia Sordi, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

23/12/2024 

 
 
 

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