Classificare le attività sostenibili: i punti interrogativi dell'Europa

La tassonomia si inserisce nell’ambito delle iniziative proposte dalla Commissione Europea nel Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile, una tabella di marcia con dieci iniziative e relative scadenze allo scopo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili: il progetto è ambizioso e cruciale per lo sviluppo della finanza SRI in Europa, ma restano alcune importanti questioni da risolvere

Federica Casarsa

La tassonomia delle attività economiche eco-compatibili è la più complessa tra le misure proposte dalla Commissione Europea nell’ambito del Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile. Si tratta di un sistema unificato di classificazione delle attività economiche da considerare “green”, con lo scopo di guidare le scelte di investitori e imprese in attività che contribuiscono alla transizione verso un modello di sviluppo in linea con gli obiettivi ambientali dell’Unione Europea.

Secondo la proposta di regolamento della Commissione – pubblicata a maggio 2018 – la tassonomia comprenderà una lista di attività economiche, ciascuna accompagnata da criteri tecnici di screening che ne misurano l’impatto ambientale e che definiscono le soglie entro le quali può essere considerata, appunto, sostenibile. Dall’estate del 2018 un Gruppo Tecnico di Esperti (TEG) è al lavoro per sviluppare metodologia e contenuti della classificazione, con priorità sul tema del cambiamento climatico e, in particolare, sugli obiettivi di mitigazione e adattamento; a giugno del 2019 il TEG ha pubblicato un report tecnico con una prima proposta di tassonomia.

Per quanto riguarda la procedura legislativa, Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea hanno adottato le proprie posizioni sulla proposta della Commissione rispettivamente a marzo e a settembre del 2019; nel corso dell’autunno i negoziati tra le tre istituzioni (il cosiddetto “trilogo”) dovrebbero cominciare. Si tratta di tempistiche piuttosto rapide, a dimostrazione dell’interesse strategico per il tema.

 

La proposta del TEG: incoraggiare la transizione da “brown” a “green”

Uno dei nodi principali riguarda i settori da includere (e/o da escludere). Uno dei principi scelti dal TEG per impostare la tassonomia è incoraggiare il passaggio da “brown” a “green”: in altre parole, la proposta di classificazione comprende anche attività che non operano ancora in un regime low-carbon, ma che si trovano in una fase di transizione e che possono contribuire alla mitigazione dell’impatto ambientale; l’obiettivo è incentivare gli investimenti volti a ridurne le emissioni.

Con riferimento alla mitigazione, la tassonomia comprende tre tipologie di attività:

  1. attività low-carbon, già compatibili con un’economia completamente decarbonizzata (per esempio, i mezzi di trasporti a zero emissioni o le operazioni di forestazione);
  2. attività che contribuiscono alla transizione verso uno scenario a zero emissioni nel 2050, ma che ancora non operano a tale regime (per esempio, le automobili con emissioni inferiori ai 50g di CO2 per Kilometro);
  3. attività che rendono possibile lo svolgimento di quelle incluse nelle prime due categorie (per esempio, la realizzazione di turbine eoliche).

La proposta di classificazione esclude le attività economiche che ostacolano il raggiungimento degli obiettivi di mitigazione, anche nei casi in cui presentino caratteristiche di efficienza: tali attività – spiega infatti il TEG – possono portare benefici nel breve periodo, ma non sono compatibili con lo scopo della tassonomia.

 

I complessi negoziati all’interno del Parlamento e del Consiglio

Le discussioni in seno al Parlamento e al Consiglio hanno fatto emergere la complessità delle implicazioni politiche che ruotano attorno alla possibile esclusione di alcune attività.

Nella posizione adottata a marzo – al termine di una travagliata fase di voto – il Parlamento ha considerato non compatibili con gli obiettivi di mitigazione le attività che generano energia da combustibili fossili, che ostacolano la decarbonizzazione di altri settori economici e che producono rifiuti non rinnovabili: con queste clausole l’energia nucleare risulta esclusa dalle attività che possono essere considerate “green”.

La posizione del Consiglio dell’Unione Europea – che rappresenta i singoli Stati Membri – non elimina il nucleare dalla tassonomia. Anche se la maggioranza delle delegazioni si è espressa in favore di questa soluzione, in seno al Consiglio sono state discusse posizioni diverse: ne è prova il testo finale della posizione, dove Austria, Germania, Grecia e Lussemburgo si sono dichiarati apertamente contrari all’inclusione dell’energia nucleare.

La contesa è destinata a replicarsi anche nel corso dei negoziati con il Parlamento e con la Commissione, soprattutto se si considera che per alcuni Stati il nucleare è una significativa fonte di approvvigionamento energetico: in Francia, per esempio, nel 2018 ha fornito oltre il 70% dell’energia elettrica nazionale secondo dati dell’International Atomic Energy Agency.

 

Tassonomia brown e temi sociali: le altre questioni aperte

La lista delle attività da includere/escludere non è l’unico aspetto controverso della tassonomia: da più parti sono giunte proposte per creare una classificazione delle attività “brown” (per il momento esclusa dalle istituzioni UE) e per dare maggiore peso agli aspetti sociali. Su quest’ultimo punto, il Parlamento ha rafforzato le garanzie sociali minime per le attività green, quali il rispetto delle linee guida dell'OCSE sulle multinazionali e dei principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. ONG e rappresentanze politiche dello stesso Parlamento, tuttavia, hanno lamentato la portata ridotta di tali misure. 

Come illustrato, nonostante la tassonomia abbia contenuti tecnici, i principi che ne definiranno l’impostazione implicano una serie di delicate scelte politiche. L’effettiva introduzione di questo strumento di classificazione – rinviata al 2022 dal Consiglio – richiederà agli Stati Membri di trovare accordi su posizioni e interessi diversificati e spesso contrastanti. Si tratta di una sfida ambiziosa, i cui esiti saranno cruciali per lo sviluppo della finanza sostenibile in Europa.

Federica Casarsa, Communication Officer Forum per la Finanza Sostenibile

30/10/2019 

 
 

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