Educazione finanziaria tra i giovani: strada ancora lunga per risparmi e previdenza

Mattone e liquidità continuano a ricoprire una quota significativa dei portafogli degli italiani, complice forse un livello di educazione finanziaria migliorabile. Anche tra i più giovani che, dati alla mano, mostrano una scarsa partecipazione ai mercati e una bassa propensione a pianificare il proprio futuro, previdenziale e non solo

Bruno Bernasconi

I dati macroeconomici di contabilità nazionale mostrano come la metà della ricchezza degli italiani sia rappresentata dalle abitazioni: è quanto emerge da uno studio di Banca d’Italia che conferma, e non è un mistero, come “il mattone” resti una delle asset class privilegiate nelle scelte di investimento. Un bene reale di cui è forse più facile comprendere il valore, complice anche la scarsa alfabetizzazione finanziaria che ancora caratterizza il nostro Paese.

Nel dettaglio, il report intende analizzare la composizione di portafoglio della ricchezza delle famiglie alla fine del 2022 per tre gruppi: la classe al di sotto della mediana, ossia il 50% più povero, la classe “centrale”, compresa tra il 50° e il 90° percentile, e il 10% più ricco. Nel dettaglio, le abitazioni raggiungono i tre quarti della ricchezza per le famiglie sotto la mediana, si attestano poco sotto il 70% per quelle della classe centrale e scendono a poco più di un terzo per le famiglie più ricche che, com'è facilmente intuibile, presentano portafogli maggiormente diversificati.

Figura 1 - Composizione del portafoglio delle famiglie italiane nel 2022

Figura 1 - Composizione del portafoglio delle famiglie italiane nel 2022

Fonte: Banca d’Italia

In un contesto in cui il tema della crescita, o meglio della non crescita, dei salari reali rimane all’ordine del giorno, viene poi oltretutto da domandarsi se gli italiani si siano mediamente impoveriti, vedendo effettivamente un calo della propria ricchezza a partire dalla crisi dei debiti sovrani senza più riuscire a recuperare i livelli di benessere del 2011. Tra il 2010 e il 2016 il valore mediano della ricchezza netta è sceso da quasi 200mila euro a poco più di 150mila, con la quota di ricchezza netta posseduta dal 5% più "ricco" passata dal 40 al 48%. Dal 2017 la ricchezza netta mediana è invece rimasta sostanzialmente stabile, mentre la quota di ricchezza detenuta dal 5% più ricco ha registrato una lieve crescita nel corso del 2021 e una successiva riduzione nel 2022, in un trend collegato a quello dei prezzi delle attività finanziarie, crollate nel 2022, e al parallelo incremento dei prezzi degli immobili. Nel complesso, alla fine del 2022, il 5% più ricco delle famiglie italiane deteneva il 46% della ricchezza netta complessiva mentre il 50% più povero ne possedeva meno dell’8%.

Da un confronto con gli altri Paesi dell’area euro emerge come il rilevante calo della ricchezza netta mediana negli anni successivi alla crisi dei debiti sovrani e il suo mancato recupero negli anni successivi rappresentino una peculiarità italiana. Ciononostante l’Italia risulta sotto la media europea per la concentrazione della ricchezza, sugli stessi livelli della Francia e dietro la Germania che appare il Paese con il maggior grado di disuguaglianza. Senza voler entrare nel merito delle implicazioni politiche e sui temi di equità sociale, questi dati possono fornire uno spunto su come un maggiore livello generale di educazione finanziaria potrebbe contribuire a un miglioramento del benessere delle famiglie, in un momento storico in cui l’aumento del costo della vita erode la capacità di risparmio e delle sempre maggiori difficoltà delle giovani generazioni a raggiungere l’indipendenza economica. In un’ottica di lungo periodo, inoltre, si pone il problema del ricorso ancora subottimale alla previdenza complementare, alla luce delle ben note problematiche che affliggono l’Italia in materia di welfare, complici anche gli attuali trend demografici. 

 

Una questione di educazione finanziaria? 

I dati pubblicati dalla Banca d’Italia rivelano una mancanza di conoscenza economica tra i cittadini italiani che potrebbe portare a decisioni sbagliate, indebolendo la stabilità finanziaria individuale e collettiva e rischiando così di minare le fondamenta dell’economia italiana e la sua resilienza a lungo termine. L’alfabetizzazione finanziaria rappresenta ad esempio una competenza fondamentale per meglio comprendere le politiche del nostro Paese, e quindi per poter prendere decisioni di voto più informate, e partecipare attivamente alla crescita economica, contribuendo a migliorarne la competitività. 

Dati alla mano, il grado di educazione finanziaria dei cittadini italiani pare però non ancora di alto livello. L’ultima indagine sul tema, basata sulla familiarità con i concetti di inflazione, tasso di interesse semplice e composto e diversificazione del rischio, ha mostrato un quadro in lieve miglioramento ma ancora non ottimale. Per fare un esempio, in tema di competenza digitali, ambito entrato per la prima volta nello studio nel 2023, circa il 70% degli intervistati ritiene che le criptovalute abbiamo lo stesso corso legale del denaro, mentre il 63% è convinto che i contratti conclusi digitalmente non siano validi legalmente.

Volendo però mantenere un’ottica di più lungo periodo, è interessante analizzare i risultati di una ricerca analoga con focus sui giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni: alle domande sui principali concetti economici risponde correttamente il 35% degli intervistati. Nel dettaglio, i concetti più conosciuti riguardano la relazione rischio-rendimento e la valutazione del costo dei mutui, con oltre il 70% di risposte corrette, mentre inflazione, diversificazione del rischio e tasso di interesse sono compresi rispettivamente dal 65%, dal 63% e dal 60% dei giovani. Da rilevare, però, che circa la metà degli intervistati ritiene che mantenere i risparmi sul conto corrente protegge sempre dal rischio che l’inflazione ne riduca il valore.

A parità di altre condizioni, le conoscenze finanziarie risultano più alte tra gli studenti, rispetto a chi già lavora o è in cerca di occupazione, mentre vi è un divario di genere a sfavore delle donne e tra i residenti nelle regioni del Nord rispetto a quelli del Centro, del Sud e nelle Isole, a favore dei primi. Questi ultimi due dati, in particolare, risultano in linea sia con le statistiche riguardanti sia l’occupazione sia il profilo dell’aderente tipo ai fondi pensione, non facendo quindi ben sperare su un recupero negli anni a venire del gap territoriale e di genere.  Altro dato che emerge è la bassa propensione dei giovani a pianificare il futuro: circa la metà non ritiene necessario formulare piani per la vecchiaia e non investirebbe mai in fondi pensionistici a causa dei rischi di perdite, sebbene il 43% accantoni dei risparmi a fine mese. In linea generale, si rileva una modesta partecipazione ai mercati finanziari: solo il 14% ha sottoscritto, almeno una volta, azioni o obbligazioni, mentre tra gli occupati la percentuale di coloro che hanno aderito a forme pensionistiche integrative è pari al 20%, scendendo tra le donne e tra i meno istruiti.

Figura 2 - I comportamenti in campo finanziario dei giovani

Figura 2 - I comportamenti in campo finanziario dei giovani

Fonte: Banca d’Italia

Da rilevare, infine, la sensibilità dei giovani in materia di ambiente, ritenendo che il tema più urgente su cui dovrebbero concentrarsi le politiche economiche riguarda la protezione dell’ambiente (54%), a cui si accompagna una conoscenza diffusa della finanza sostenibile. Circa il 40% dichiara di conoscere i criteri di sostenibilità ESG, anche se tra coloro che risparmiano solo il 13% ne tiene già conto nelle scelte di allocazione del portafoglio. 

Sebbene guardando al futuro il quadro sembri in lieve miglioramento, resta il problema della difficoltà a capire che accantonare periodicamente una parte del proprio reddito non sia sufficiente a ottimizzare i flussi di risparmio nel tempo. Per esempio, la liquidità rimane una parte preponderante nei portafogli delle famiglie italiane, non consentendo di cogliere al meglio le opportunità di medio-lungo termine che offrono i mercati. Allo stesso modo, una limitata educazione finanziaria non agevola la costruzione di una pensione integrativa fin dai primi anni di attività lavorativa, facendo ancora ampiamente affidamento su quella pubblica.

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

29/1/2024 

 
 

Ti potrebbe interessare anche