Previdenza, il sistema è sostenibile (purché le età di pensionamento siano coerenti con la demografia)

Secondo l'ultimo Rapporto Itinerari Previdenziali, nel 2022 il rapporto attivi/pensionati si è attestato a quota 1,4443: la "soglia della semi-sicurezza" dell'1,5 è ancora lontana ma, nel complesso, il sistema regge e continuerà a farlo, a patto di compiere - in un Paese che invecchia - scelte oculate su politiche attive per il lavoro, anticipi ed età di pensionamento

Mara Guarino

Dall’Undicesimo Rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2022”, redatto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, emergono alcuni indicatori utili a valutare la sostenibilità della previdenza pubblica italiana: 1) aumenta, ancora una volta, il numero di pensionati, che salgono dai 16,099 del 2021 ai 16,131 milioni del 2022 (+32.666 unità); 2) dopo la forte crisi causata da COVID-19, prosegue la netta risalita del tasso di occupazione italiano, che nell’anno di indagine arriva alla percentuale record del 60,1%, pur restando tra i più bassi d’Europa; 3) risale fino a quota 1,4443, il rapporto occupati e pensionati, in miglioramento ma ancora distante dai valori pre-pandemici (1,4578). 

Quelli commentati questa mattina, in diretta streaming dalla Sala Stampa della Camera dei Deputati, sono numeri che fanno riflettere, descrivendo un sistema in equilibrio ma la cui stabilità nei prossimi anni dipenderà, da una parte, dalla capacità di porre un limite alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si è assistito negli ultimi anni; e, dall’altra, da quella di affrontare adeguatamente la transizione demografica in atto e, in particolare, l’invecchiamento della forza lavoro.  

 

Pensionati e prestazioni 

Dopo un trend positivo avviatosi nel 2009 e proseguito in modo costante fino al 2018 per effetto delle ultime riforme previdenziali che hanno innalzato gradualmente requisiti anagrafici e contributivi, il numero di pensionati italiani si mostra di nuovo in risalita: i percettori di assegno pensionistico sono 16.131.414 nel 2022, a fronte dei 16.098.748 nel 2021 e dei 16.004.503 del 2018, anno in cui si era toccato il valore più basso di sempre. Un incremento ascrivibile, nonostante le pur numerose cancellazioni di prestazioni in pagamento da 35 anni e più, alle molteplici vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate negli ultimi anni con l’approvazione dapprima di Quota 100 nel 2019 e, quindi a seguire, di Quota 102. Cresce poi anche il tasso di pensionamento grezzo rilevato dalla pubblicazione: su 3,65 residenti italiani almeno uno è pensionato, dato obiettivamente molto elevato se si tiene conto che il picco dell’invecchiamento della nostra popolazione verrà toccato nel 2045. 

Nel dettaglio, l’Undicesimo Rapporto rileva un aumento di 32.666 pensionati rispetto al 2021 (+ 0,20% in più in termini di variazione percentuale), con gli uomini che salgono di 27.136 unità e le donne pensionate che incrementano invece il loro numero, nel confronto con la precedente rilevazione, di sole 5.530 unità (erano aumentate di oltre 20mila unità tra il 2020 e il 2021). Un trend al ribasso che può essere interpretato come la non immediata conseguenza dell’inasprimento dei requisiti avvenuto con la riforma del 2012 e, in particolare, dell’equiparazione tra i generi dell’età pensionabile a partire dal 2018. A ogni modo, degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,7% è rappresentato da donne, tra l’altro destinatarie dell’87% del totale delle pensioni di reversibilità (con quote della pensione diretta del dante causa variabili tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite). 

Venendo poi al numero di prestazioni pensionistiche, al 2022 ne risultano in pagamento 22.772.004+0,06% rispetto al 2021, pari a 13.207 trattamenti. Nel dettaglio, si tratta di 17.710.006 prestazioni erogate nella tipologia IVS, cui vanno aggiunte 4.420.837 pensioni assistenziali INPS e 641.161 prestazioni indennitarie dell’INAIL. Rispetto al precedente Rapporto calano le prestazioni IVS così come quelle indennitarie ma crescono quelle di natura assistenziale (+0,95%), cui va quindi principalmente imputato l’aumento complessivo dei trattamenti somministrati. Una tendenza che trova conferma anche nell’analisi di lungo corso condotta dal Centro Studi e Ricerche: nel periodo compreso tra 2008-2022, si rileva una diminuzione di ben 935.291 prestazioni, cui ha contribuito però soprattutto l’andamento di pensioni IVS (-4,92%) e prestazioni indennitarie (-32,60%); in controtendenza invece i trattamenti assistenziali, cresciuti del 7,06% (pari a 291.453 unità) nello stesso arco temporale. Ciononostante, in media, ogni pensionato riceve 1,411 prestazioni, il livello più basso dal 2006. Detto altrimenti, è in pagamento una prestazione ogni 2,584 abitanti, vale a dire circa una per famiglia; tenuto conto della riduzione della popolazione residente (-179.133), anche questo valore è in calo rispetto alle ultime rilevazioni ma salirebbe invece a una prestazione ogni 2,1 abitanti considerando nel computo anche di reddito di cittadinanza e trattamenti assistenziali erogati dagli enti locali. 

 

Occupati e mercato del lavoro

Dopo il brusco calo imputabile a SARS-CoV-2 e misure di contenimento dei contagi, prosegue anche nel 2022 la crescita del numero di occupati, che risale fino a 23.298.000 unità, valore persino superiore a quello pre-pandemico (da considerare in ogni caso anche la variazione nel metodo di rilevazione Istat che non tiene più conto di lavoratori in CIG e inattivi da oltre 3 mesi). Allo stesso modo, lasciata alle spalle l’emergenza sanitaria, cala significativamente il ricorso alla Cassa Integrazione nelle sue varie forme: nel 2022 i beneficiari sono stati 865.463 (erano stati oltre 7 milioni nel 2020), per una spesa complessiva di circa 2 miliardi. Situazione analoga per gli altri ammortizzatori sociali in costanza o assenza di rapporto di lavoro, con 2.001.995 beneficiari di NASpI, 23.143 di DIS-COLL e 544.792 della disoccupazione agricola, per una spesa totale di circa 13,2 miliardi. 

E se lo slancio del nostro mercato del lavoro prosegue anche nel 2023, tanto che al 30 ottobre scorso i dati sullo stock di occupazione indicavano 23.694.000 occupati, per un tasso pari al 61,8%, record assoluto dal 1977, con oltre 2 milioni di NEET (giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano né lavorano) e solo poco più di 23 milioni di lavoratori su una popolazione in età da lavoro di circa 38 milioni di individui, l’Italia si conferma tra le nazioni peggiori in Europa sul fronte occupazionale. Secondo i dati Eurostat riferiti al terzo trimestre 2023, il nostro Paese è infatti all’ultimo posto per occupazione globale, distante di quasi 10 punti percentuali dalla media europea (61,4% contro 70,4%); per occupazione femminile (52,5% contro il 65,7% della media europea); per occupazione giovanile (15-24 anni), dove è quartultima tra i 27 Paesi UE (20,1% contro una media del 35,2%). Solo poco meglio l’occupazione senior (persone tra i 55 e i 64 anni), dove l’Italia tocca il 58% contro il 64,3%della media UE. 

 

Rapporto attivi/pensionati 

Nonostante l’incremento del numero di pensionati con il miglioramento della situazione occupazionale si attesta a 1,4443 il rapporto attivi/pensionati, valore fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano e che, solo nel 2019, toccava la quota record di 1,4578, miglior dato di sempre tra quelli registrati dal Rapporto. Resta dunque piuttosto distante quell’1,5 già indicato nelle precedenti pubblicazioni come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine della nostra previdenza obbligatoria: le previsioni per gli anni a venire sono quelle di un ulteriore lento ma progressivo, miglioramento, sempre che si riescano a tenere sotto controllo gli effetti su materie prime ed energia di scenari geopolitici incerti e a patto di investire in politiche attive per il lavoro e politiche industriali che sappiano, rispettivamente, arginare il fenomeno del mismatch tra domanda e offerta e rilanciare la stagnante produttività del Paese capitalizzando le risorse del PNRR. 

Il tutto riducendo il numero delle uscite anticipate per garantire sostenibilità anche ai più giovani, nell’ambito di quel patto intergenerazionale insito in un sistema che vede appunto le pensioni di quanti sono già in quiescenza pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi. 

Figura 1 – Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati  

Figura 1 – Numero di occupati, pensionati e rapporto occupati/pensionati

Fonte: Undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

«Volendo trarre qualche prima conclusione, a oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando la maggior parte dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 - in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità – si saranno pensionate», ha spiegato il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali Alberto Brambilla, precisando: «Perché si mantenga questo sottile equilibrio, sarà però indispensabile intervenire in maniera stabile e duratura, tenendo conto di alcuni principi fondamentali: 1) le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (circa 63 anni l’età effettiva di uscita dal lavoro in Italia nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale), e che dovranno dunque gradualmente aumentare evitando il ricorso a eccessive anticipazioni; 2) l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; 3) le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job; 4) la prevenzione, intesa in senso più ampio come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute».  

Insomma, un serio cambio di rotta da parte del nostro Paese, che al momento naviga a vista, senza una bussola, dinanzi alla più grande transizione demografica di tutti i tempi, con grande parte della spesa pubblica indirizzata verso sussidi e assistenzialismo (frenando le possibilità di crescita), quando invece – anche alla luce di un debito pubblico che a breve potrebbe sfondare la soglia dei 3.000 miliardi di euro – la doverosa priorità sembrerebbe essere una seria revisione dei propri modelli produttivi e del proprio mercato del lavoro. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

16/1/2024 

 
 

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