Fondi pensione negoziali, cartoline dall'autunno

Il 2023 si sta rivelando, come da previsioni, un anno all'insegna del recupero. A differenza delle previsioni, però, la crescita pare essere più lenta del previsto: quali gli scenari dei prossimi mesi e il possibile impatto sui rendimenti dei fondi negoziali?

Leo Campagna

Chi aveva iniziato l’anno definendo il 2023 come un periodo dedicato alla pulizia del mercato (e quindi con andamenti tendenzialmente laterali per azioni e bond) e il 2024, anno elettorale, come il periodo per la ripresa, tanto per l’economia quanto per le Borse non ha azzeccato la previsione. Il 2023, almeno finora, ha registrato un po’ di crescita (e di rialzo azionario) ed è probabile che altrettanto, ma meno di quello che si poteva immaginare a inizio di quest’anno, capiti nel 2024. 

I rendimenti da gennaio a fine agosto dei fondi pensione negoziali censiti dal Comparatore dei Fondi Itinerari Previdenziali certificano proprio questo. In media, il rendimento delle linee bilanciate azionarie si è attestato a +6,0%, quello delle bilanciate al +4,9%, quello delle bilanciate obbligazionarie al +3,8%, quello delle obbligazionarie miste al +1,9% e il rendimento medio delle obbligazionarie al +2,1%.

Ma, attenzione, perché si sta rivelando ottimista anche un’altra previsione. Quella di coloro che a inizio anno aveva immaginato che il rendimento del Treausury decennale USA potesse rientrare in una fascia tra il 2 e il 3% entro un paio d’anni. Un anno fa il Treasury USA a 10 anni rendeva il 3,70% e molti osservatori lo ritenevano già un livello piuttosto alto. Oggi oscilla intorno  al 4,70% e, peraltro, con l’inflazione USA al 3,7% mentre 12 mesi fa era all’8,2%. Le ragioni di questa apparente contraddizione sono da ricercarsi in più fattori. 

La Cina, anche come ritorsione delle tensioni crescenti tra Washington e Pechino, non compra più titoli del Tesoro americano e non rinnova nemmeno quelli che scadono. I risparmiatori giapponesi, che sono stati sempre in passato tra i principali acquirenti del debito USA,  cominciano a disporre di rendimenti sui titoli domestici un po’ più interessanti e vendono i titoli del Tesoro americano. La Federal Reserve non vende i suoi titoli ma, quando scadono, ne rinnova sola una quota al punto di ridurre il suo portafoglio di 90 miliardi al mese. Il Tesoro americano, invece, deve continuamente emettere titoli per finanziare il disavanzo federale, che è ormai proiettato  verso l’8% del PIL. Non deve pertanto stupire se il rendimento dei titoli di stato USA (e, a cascata, quelli degli altri Stati più sviluppati) è salito spingendo al ribasso gli indici di Borsa.

Detto questo, la correzione in corso dei mercati azionari può rivelarsi fisiologica e sana, a patto che non ci sia nel frattempo una recessione. Anche per questo vale la pena orientarsi sui titoli che quest’anno sono rimasti più indietro anche se i loro fondamentali risultano resilienti. In campo obbligazionario, invece, la parte breve e media della curva dei tassi sembra offrire il miglior profilo in termini di rapporto tra rischio e rendimento.

Leo Campagna

13/10/2023 

 
 

Ti potrebbe interessare anche