Fondi pensione, perché le small cap potrebbero essere la sorpresa del 2023

Anche se l'attenzione è ora tutta puntata sull'obbligazionario, corsi e ricorsi della storia suggeriscono di non sottovalutare le small cap: ecco perché potrebbero essere una delle rivelazioni del 2023

Leo Campagna

A fine novembre 2022 i fondi pensione negoziali segnavano una perdita media del 6,3% da inizio anno: è quanto emerge dalle performance dei fondi pensione negoziali censiti dal Comparatore dei Fondi di Itinerari Previdenziali, in base alle quali mentre i comparti bilanciati azionari accusano una perdita media del -7,6% quelli obbligazionari segnano un -3,4% medio.

Rendimenti negativi che si cerca di poter archiviare il prima possibile già nel corso del prossimo anno. A questo proposito, mentre la maggioranza degli asset manager vede con maggiore favore il reddito fisso rispetto all’azionario, almeno per la prima parte del 2023 non si può trascurare del tutto l’azionario. In quest’ottica, se è vero che era da cinquant'anni che non si vedevano forze inflazionistiche significative come quelle registrate dal 2021 in poi, è anche vero che qualche ripasso del passato può aiutare. Ripercorrendo quanto accaduto può essere infatti utile a comprendere eventuali similitudini e possibili opportunità di investimento. 

Nel 1973, sulla scia la crisi petrolifera che aveva fatto impennare i prezzi del greggio e della fine del sistema istituito a Bretton Woods che stabiliva cambi fissi e la convertibilità del dollaro USA in oro, mentre si stava entrando gradualmente in una fase di recessione, le small cap registravano una sottoperformance. I ricavi delle società di minori dimensioni sono in genere i primi a essere interessati da un rallentamento economico e, in una fase turbolenta gli investitori preferiscono i rifugi sicuri come oro, titoli di stato USA e tedeschi, franchi svizzeri e, per le azioni, le blue chips. Le small cap, inoltre, hanno maggiori ostacoli nell’accesso ai mercati del debito e del capitale azionario rispetto alle società più grandi. 

L’aspetto di rilievo è che, subito dopo il picco dell'inflazione, sono però entrate in una fase di forte sovraperformance, poco influenzata dal secondo choc inflazionistico di fine 1979 e inizio 1980, grazie al loro maggiore dinamismo e alla loro leadership imprenditoriale. Le piccole società, infatti, per salvaguardare la propria esistenza sul mercato tendono a reagire a contesti mutevoli più rapidamente di quelle più grandi.

Di riflesso, se è vero che le small cap stanno registrando performance inferiori alle large cap dal secondo semestre del 2021, lo è altrettanto che potrebbero iniziare a sovraperformare o in occasione di un cambio di politica della Fed (meno restrittiva) oppure nel momento in cui si avrà una maggiore visibilità sul controllo delle forze inflazionistiche. Tuttavia, difficilmente si tratterà di un rialzo generalizzato: sarà cruciale un approccio selettivo capace di individuare le piccole aziende con maggiore potenzialità di rialzo e buoni fondamentali. Un approccio che sia in grado di valutare la qualità del management, stimare la crescita del mercato sottostante (i settori di nicchia dotati di un vero potenziale di crescita al di là del breve termine), gli eventuali vantaggi competitivi (pricing power o crescita potenziale della quota di mercato), la redditività e quantificare l’effetto leva, dal momento che il debito dovrebbe essere gestito con prudenza in un contesto di tassi d'interesse in aumento. 

  Leo Campagna      

5/1/2023

 
 

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