"Giapponesizzazione" dell'economia: implicazioni per i portafogli previdenziali

In una fase di crescita economica debole, nella quale inflazione e deflazione "combattono" senza prevalere l'una sull'altra, cosa può insegnare l'esperienza del Giappone? E quali, in particolare, i suggerimenti che possono trarne gli investitori previdenziali? 

Leo Campagna

Negli ultimi 10 anni la priorità delle banche centrali è cambiata radicalmente nei confronti dell’inflazione. Se, dopo i due shock petroliferi degli anni Settanta che avevano proiettato i prezzi al consumo verso aumenti annuali a doppia cifra, la loro mission era domare l’inflazione, dopo la grande crisi finanziaria del 2007-2008 la loro urgenza è diventata quella di rianimare il costo della vita per evitare che si finisca in deflazione.

Tra le principali cause di questo raffreddamento "strutturale" dei prezzi al consumo gli esperti indicano sia un aumento più contenuto delle retribuzioni dei lavoratori e sia gli effetti distruttivi delle nuove tecnologie che tendono, almeno in una prima fase, a ridurre i costi delle merci e dei servizi. Inoltre, in base ai dati del Fondo Monetario Internazionale, se tra il 2006-2007, cioè prima della grande crisi finanziaria, il PIL mondiale è cresciuto in media del 5,5% e gli investimenti del 10%, negli ultimi anni tali percentuali sono scese, rispettivamente al 3,5% e al 7%. Meno investimenti e meno consumi hanno, a cascata, determinato un rallentamento della crescita dei prezzi delle materie prime che, storicamente, sono stati alla base della crescita strutturale dell’inflazione.

In tutti i casi, a prescindere da quali possano essere le cause, esiste effettivamente un pericolo di “giapponesizzazione" dell'economia: una fase cioè, come quella vissuta dal Giappone dopo il 1989, in cui la crescita economica risulta anemica e inflazione e deflazione combattono senza che nessuna delle due componenti prevalga.

Se questo è lo scenario di fondo per i prossimi anni, l’esperienza maturata in Giappone negli ultimi 20 anni può aiutare ad assumere decisioni di investimento più consapevoli. 

Esaminando le performance in valuta locale registrate dalla Borsa di Tokyo (in base all’indice MSCI Japan TR che include i dividendi reinvestiti) e dai titoli di Stato nipponici (in base all’indice JPMorgan Japan Government bond index), si evince che il rendimento medio annuo si è attestato intorno ai due punti percentuali per entrambe le asset class. Più precisamente il JPMorgan Japan Government bond index ha messo a segno, dal 30/9/1999 al 30/9/2019  un +2,04% annualizzato, mentre l’MSCI Japan TR ha registrato un +1,81% annuo. Inoltre, mentre quest’ultimo evidenzia una volatilità annualizzata del 17,4%, quella relativa al JPMorgan Japan Government bond index non è andata oltre il 2,1%.

Risultati che, se si teme una giapponesizzazione globale dell’economia per i prossimi anni, giustifica il ricorso, anche da parte anche dei gestori di portafogli previdenziali, alle asset class a reddito fisso sebbene il loro rendimento sia ai minimi termini.

Leo Campagna 

25/10/2019

 
 
 

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