Investitori e gestori a confronto: un quadro del mercato istituzionale italiano

La crescita dei patrimoni, una gestione più strutturata dei portafogli e una maggiore diversificazione aumentano l'attrattività per le fabbriche prodotto: l'evoluzione del mercato istituzionale italiano e delle relazioni tra i suoi attori valutata su un arco temporale di 15 anni dall'indagine Itinerari Previdenziali dedicata a enti e gestori

Bruno Bernasconi

L’indagine annuale “Investitori istituzionali e gestori finanziari” condotta da Itinerari Previdenziali si propone di offrire uno spaccato qualitativo del panorama degli investitori istituzionali italiani e dei gestori dei loro patrimoni, sondando il sentiment del mercato e le relazioni che intercorrono tra i suoi attori. Alla base, un questionario diviso in due sezioni rivolte rispettivamente a investitori e gestori finanziari. 

Rispetto alle prime indagini, realizzate dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali fin dal 2011, sono cambiati notevolmente sia il campione sia il contesto di riferimento. Da un lato, all’edizione di quest’anno hanno partecipato 100 società di gestione, di cui il 37% sono società italiane e il 63% estere, con il 18% che ha un patrimonio in gestione (asset under management) inferiore a 1 miliardo di euro, il 24% tra 1 e 10 miliardi, il 23% tra 10 e 100 miliardi, il 25% tra 100 e 1.000 miliardi e l’8% oltre 1.000 miliardi, per un valore mediano di 15,25 miliardi. Dall’altro, vale a dire sul versante dei player istituzionali, hanno risposto alla survey 131 investitori istituzionali (19 Casse di Previdenza privatizzate, 39 Fondazioni di origine Bancaria, 22 fondi pensione preesistenti, 30 fondi pensione negoziali e 21 Compagnie di Assicurazione), per un patrimonio rappresentato di 263 miliardi di euro, pari a circa il 90,5% del totale dei patrimoni degli enti previdenziali e fondazionali, cui si aggiungono gli oltre 335 miliardi di euro delle Compagnie di Assicurazione rispondenti, pari al 48% dei circa 700 miliardi di patrimonio della classe C (rami Vita diversi dai prodotti Linked e rami Danni).

 

Diversificazione, performance e asset allocation

Una delle domande principali della survey rivolta agli investitori riguarda il livello di diversificazione degli investimenti,aspetto che assume un ruolo cruciale nell’ottica dei rendimenti e che si è progressivamente affinato nel tempo in scia alla progressiva evoluzione nella gestione dei portafogli istituzionali. Il quadro relativo ai giudizi raccolti dall’indagine denota segnali di costante miglioramento nel corso degli anni, confermando la percezione che la strada verso una diversificazione adeguata sia stata oggi pienamente intrapresa. Per il 2025, infatti, il 63% la ritiene “buona” e il 28% “ottima”, mentre solo l’1% la ritiene “insufficiente”, a conferma di un’evoluzione positiva rispetto al passato. Fino al 2016, infatti, la quota che giudicava “insufficiente” la propria diversificazione era pari in media a circa il 20%, percentuale diventata poi residuale a partire dal 2019 a favore di valutazione sempre più positive: nel 2025, la somma delle risposte “buona” e “ottima” supera il 90%. Al netto di alcuni anni di crisi sui mercati com’è stato ad esempio il 2022, si nota di pari passo la crescente soddisfazione circa le performance finanziarie ottenute, evidenziando una correlazione positiva con i livelli di diversificazione. Rispetto alle prime rilevazioni, la quota di investitori che si ritiene soddisfatta per la propria performance è cresciuta dal 67% del 2011 (dati riferiti al 2010) al 100% del 2025 (dati riferiti al 2024), registrando il valore più alto mai registrato nella serie storica. 

La crescente soddisfazione per il grado di diversificazione raggiunto e per i rendimenti ottenuti in questi anni potrebbe essere ricondotta anche all’ampliarsi delle soluzioni di investimento offerte dal mercato, come ad esempio la crescente diffusione dei private markete di una gestione più struttura dei portafogli istituzionali. A tal proposito, la survey fotografa anche le maggiori asset class in cui sono attualmente investiti enti previdenziali, Fondazioni e Compagnie di Assicurazione e fornisce un’indicazione circa le future intenzioni di investimento. Nel 2025, i FIA (private equity, debt, venture capital, etc) tornano al primo posto come strumento di investimento più utilizzato con il 73% delle preferenze, scalzando dalla vetta le obbligazioni (68% delle preferenze) dopo due anni in cui quest’ultime erano state favorite dal rialzo dei tassi di interesse. Stabile al terzo posto lo strumento delle azioni (64%) seguite dai mandati di gestione, saliti al 60%, e dai fondi comuni tradizionali, in calo al 58%. Tornano a crescere i FIA immobiliari al 47%, interrompendo il trend di discesa iniziato nel 2021 e superando gli ETF stabili al 45%. Nelle ultime posizioni gestione separate, fondi hedge ed ELTIF, oltre un 14% che indica “altro” come certificati, investimenti diretti in immobili, polizze e veicoli dedicati.  

Figura 1 – In quali strumenti investe attualmente l’Ente?

Figura 1 – In quali strumenti investe attualmente l’Ente?

Fonte: Indagine Annuale “Investitori istituzionali e gestori finanziari” 2025, Itinerari Previdenziali

Da un confronto nella composizione dei portafogli istituzionali (considerando solo Casse di Previdenza e fondi pensione) tra il 2016 e il 2025, invece, emerge l’incremento del peso dei FIA, passati dal 48% dei rispondenti al 73%, al netto della componente immobiliare, che invece diminuisce dal 53% al 38%. Pesano gli effetti di un progressivo disinvestimento nel real estate, complice anche l’esposizione rilevante che, storicamente, questo strumento aveva all’interno dei portafogli degli enti previdenziali soprattutto prima della privatizzazione delle Casse di Previdenza. Infine, i fondi hedge si riducono dal 10% al 4%.

Nell’indagine di quest’anno è stata poi inserita una domanda relativa agli investimenti in economia reale italiana, tema di grande importanza e attualità anche alla luce delle recenti richieste di veicolare maggiori risorse dagli enti previdenziali alle società italiane. Con la dovuta premessa che un’esposizione eccessiva del portafoglio a singole asset class o aree geografiche potrebbe compromettere l’assunto fondamentale di diversificazione del rischio e che gli investitori istituzionali devono in primo luogo adempiere ai propri obiettivi di missione, il 75% (98 enti) del campione conferma di detenere in portafoglio strumenti dedicati all’investimento in economia reale, sebbene il 65% investa una quota inferiore al 10% del patrimonio e solo l’11% una quota superiore al 50%. Tra le misure che potrebbero contribuire a far aumentare l’esposizione in economia reale da parte degli investitori istituzionali vengono indicati “maggiori vantaggi fiscali” (43%), seguiti dallo “sviluppo del mercato dei capitali domestico” (26%) e dall’”avvio di ulteriori progetti d’investimento consortili” (13%) sull’onda dei mandati in private asset sottoscritti da diversi fondi negoziali (Progetto Zefiro, Progetto Iride, Progetto Vesta).

 

I gestori dei patrimoni istituzionali 

Analizzata la parte relativa agli investitori (la domanda), la seconda parte dell’indagine è rivolta alle società di gestione(l’offerta). La citata crescita dei patrimoni istituzionali e la loro maggiore diversificazione in termini di asset class comportano certo una maggiore attrattività, portando tuttavia come rovescio della medaglia anche a una maggiore competizione che può rendere più complesse le relazioni con gli enti, soprattutto per coloro che hanno fatto il loro ingresso sul mercato più recentemente. Fatta questa premessa, dalla survey emerge comunque un quadro complessivamente roseo, pur con delle differenze per le diverse tipologie di investitore: in media, le relazioni con gli enti sono giudicate “ottime” o “buone” dal 46% dei rispondenti; resta però qualche criticità, palesata da un 17% che risponde “insufficienti”. Tra le singole tipologie di investitori, spiccano le solide relazioni dei gestori finanziari con le Casse di Previdenza, giudicate “ottime” dal 41% dei rispondenti e “buone” dal 27%, seguite dalle Compagnie di Assicurazione, che ottengono rispettivamente il 16% e il 39%; tra i giudizi meno positivi emerge soprattutto un 28% di gestori che lamenta relazioni insufficienti con i fondi pensione negoziali, con buone probabilità soprattutto a causa della gestione principalmente indiretta dei portafogli di questi enti e dei ridotti investimenti in prodotti alternativi. Da un confronto con le passate indagini (tra il 2011 e il 2016), emerge che i giudizi “insufficiente” e “sufficiente” sono rimasti sostanzialmente stabili al 36% (erano in media il 35%), nonostante l’incremento della numerosità del campione e il consolidarsi dei rapporti tra investitori istituzionali e gestori, mentre la somma dei giudizi “buono” e “ottimo” è salita da una media del 39% al 46%. 

Figura 2 – La relazione dei gestori con enti e fondi: un confronto storico

Figura 2 – La relazione dei gestori con enti e fondi: un confronto storico

Fonte: Indagine Annuale “Investitori istituzionali e gestori finanziari” 2025, Itinerari Previdenziali

Una variabile di rilievo nelle relazioni con gli investitori è poi costituita dal livello dimensionale in termini di asset under management, ritenuta fare premio in fase di selezione dal 77% dei rispondenti alla survey, superata però dall’awarness della casa d’investimento, considerata elemento premiante dll’89% degli intervistati. In generale, come emergeva nelle passate indagini, tra i criteri con cui vengono valutate le proposte del mercato la qualità dell’offerta - vale a dire le soluzioni offerte, i rendimenti prospettati e i prodotti sviluppati - continua a essere ritenuta il principale fattore critico di successo, confermando come competenze e caratteristiche distintive siano qualità sempre apprezzate dagli investitori, con la possibilità di accettare fee anche importanti pur di ottenere rendimenti più interessanti. Il prezzo mantiene comunque la seconda posizione, a stretto contatto con il nome della casa d’investimento, e quindi l’awarness, in grado di garantire un track record di risultati e ridurre gli oneri in termini di due diligence. 

L’incontro tra domanda e offerta deve trovare una sintesi tra le richieste di un panorama di investitori vario e con finalità diverse e le proposte di investimento delle fabbriche prodotto che devono soddisfare tali esigenze. In tale senso, alla domanda “Le richieste di enti e fondi sono in linea con i loro obiettivi di rendimento?” il 72% dei rispondenti dichiara “abbastanza”, il 20% “molto” e l’8% poco. Interessante notare come rispetto a una decina di anni fa, sebbene continui a prevalere una certa propensione a non sbilanciarsi nei giudizi, comincino a intravedersi un’inversione nella tendenza che vedeva ridursi di anno in anno il valore “molto” e una notevole diminuzione del giudizio “poco”, sintomo forse di una maggiore consapevolezza delle proposte del mercato, da una parte, e di un’offerta più strutturata e in alcuni casi “tailor made”, dall’altra. Al tempo stesso, se come detto la variabile prezzo costituisce un importante fattore competitivo, essa deve tuttavia garantire redditività adeguate. In tal senso, il livello commissionale proposto dagli enti è ritenuto sufficientemente adeguato a una gestione efficiente dal 51% degli 82 rispondenti a tale quesito, mentre il 44% lo giudica “insufficiente” lamentando quindi difficoltà nel soddisfare le richieste della domanda mantenendo al contempo una gestione profittevole. 

 

Le relazioni con gli advisor 

In tema di relazioni tra domanda e offerta, uno ruolo non trascurabile è ricoperto dagli advisor, attori che si pongono come anello di congiunzione tra investitori e fabbriche prodotto, indirizzando le scelte degli uni in termini di asset allocation e di selezione dei gestori, e verificando i risultati ottenuti dagli altri in termini di performance e rischi. Anche considerando la sempre più difficile lettura dei mercati, la figura dell’advisor ha rivestito un ruolo cruciale che si è consolidato nel tempo, con il 77% degli investitori rispondenti all’indagine 2025 che si avvale del supporto di almeno un advisor finanziario.

Se i giudizi degli investitori sulle relazioni con gli advisor sono ampiamente positivi, non sorprende che le risposte dei gestori siano più variegate e meno sbilanciate verso le fasce altel’11% dei rispondenti giudica le relazioni con gli advisor “insufficienti”, il 22% “sufficienti”, il 23% “discrete”, il 36% “buone” e il 6% “ottime”. Come nel caso delle relazioni con gli enti, anche per gli advisor è interessante un confronto con il passato non tanto nei numeri ma per avere un paragone sulla percezione di allora con quella di adesso. Nel complesso, se le valutazioni in merito alla facilità di incontrare questa tipologia di soggetti non sembrano aver subito variazioni significative, quelle in merito alle relazioni appaiono se non altro registrare un miglioramento per quanto riguarda i giudizi negativi con una riduzione del peso delle risposte “insufficiente” e “sufficiente”. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

3/4/2025

 
 

Ti potrebbe interessare anche