Investitori istituzionali, sempre più attenti a sostenibilità e ambiente

L'ultima indagine Itinerari Previdenziali conferma l'attenzione della platea istituzionale verso la sostenibilità e, soprattutto, verso i temi ambientali. Complici mercati difficili e una normativa ancora da comprendere a fondo, allo slancio delle prime edizioni si sostituisce però un atteggiamento più prudente e, forse, consapevole

Gianmaria Fragassi e Mara Guarino

Si conferma in lenta ma progressiva crescita l’attenzione di enti previdenziali, Fondazioni di origine Bancaria e comparto assicurativo nei confronti della sostenibilità: oltre la metà (il 53%) dei rispondenti alla survey annuale curata dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali dichiara infatti di adottare già politiche di investimento sostenibile. Il 75% di quanti ancora non lo fanno ne ha già quantomeno discusso in CdA in ottica futura, mentre un’analisi più approfondita dei portafogli svela l’acquisto di prodotti ESG anche da parte di una quota consistente di quegli investitori che ancora non aderisce “formalmente” alla finanza SRI. 

Figura 1 – L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI? 

Figura 1 – L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 - “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”


Il campione e gli obiettivi della survey 

Nell’intento di scattare una fotografia quali-quantitativa del processo di diffusione delle strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG nei portafogli finanziari, la pubblicazione – realizzata anche in questo 2024 con il patrocinio di ASviS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, e di FeBAF, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza - muove le sue premesse dalla somministrazione di un questionario di domande, volte a indagare pianificazione e modalità di attuazione delle politiche di investimento sostenibile da parte dei principali player istituzionali del Paese.

Sono 128 gli enti rispondenti nel 2024, contro i 123 dello scorso anno, per un totale patrimoniale - al netto delle Compagnie di Assicurazione - di oltre 246 miliardi di euro, pari a poco meno del 90% dei patrimoni finanziari totali degli investitori, previdenziali e fondazionali, italiani. Nel dettaglio, hanno partecipato: tutte le 19 Casse di Previdenza privatizzate (con esclusione di ONAOSI), per un totale attivo rappresentato di oltre 100 miliardi; 37 Fondazioni di origine Bancaria, con circa 36,4 miliardi di attivo, vale a dire circa il 76,6% del totale attivo delle 86 Fondazioni bancarie italiane; 21 fondi pensione preesistenti e 29 negoziali, per un ANDP rispettivamente di 49,5 (pari a circa il 77% dell’ANDP complessivo) e 59,7 miliardi di euro (il 97,7% dell’ANDP complessivo); 22 Compagnie di Assicurazione, per un totale investimenti prossimo ai 325 miliardi, rappresentativo di circa il 46% del totale investimenti della classe C (rami Vita diversi dai prodotti Linked e rami Danni).  


L’attenzione alla sostenibilità dei player italiani

Dopo la leggera battuta d’arresto registrata lo scorso anno, torna a salire sia in valori assoluti sia in valori percentuali il numero di investitori istituzionali che risponde positivamente alla domanda cruciale della survey “L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI?”. A fronte dell’allargamento del campione, cresce infatti anche la percentuale aggregata, con ben 66 enti virtuosi sui 128 intervistati. Un ottimo segnale, tanto più che ben 44 enti dei 59 che hanno motivato la loro risposta “negativa” (il 75%) dichiarano di aver già affrontato il tema in CdA e di voler implementare una politica di investimento sostenibile in futuro, con buone prospettive di arrivare a sfiorare il 90% di “aderenti alla finanza SRI” entro qualche anno. A riprova di un quadro prospettico positivo, meritano poi attenzione due ulteriori valori percentuali: il primo è quello degli enti che, dopo aver discusso di sostenibilità in Consiglio di Amministrazione, scelgono comunque di non approcciare la finanza SRI, stabile a quota 0 (l’opzione non è cioè considerata da nessun rispondente). Il secondo è quello relativo alla percentuale patrimoniale che vede l’applicazione di politiche ESG: opzione più votata per il quinto anno consecutivo, in questa edizione con il 44% delle preferenze (erano il 38% lo scorso anno), quella relativa a una quota compresa tra il 75% e il 100% del patrimonio. Valore che sale tuttavia soprattutto a discapito delle classi intermedie di investitori “sostenibili e responsabili”, vale a dire quelli con percentuali di patrimonio investimento secondo i criteri ESG comprese tra il 25%-50% e il 50%-75%: classi che assommano in egual misura il 30% delle risposte, contro il 26% di quanti si collocano invece tra lo 0% e il 25% del totale patrimoniale. 

In linea con le precedenti survey anche obiettivi e motivazioni principali che si spingono verso la finanza SRI, a cominciare dalla volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile (82%). Se quella etica resta la motivazione preponderante, non vanno comunque trascurate anche ragioni di natura più tecnica, come quella legata alla mitigazione dei rischi in portafoglio, scelta dal 67% dei rispondenti. Stabile al terzo posto il miglioramento della reputazione dell’ente che, con il 49% delle scelte, fa registrare il valore più alto in assoluto di questi sei anni di indagine; seguono quindi ricerca di migliori rendimenti finanziari (20%) e pressione del regolatore (18%). D’altro canto, proprio la difficile misurabilità di impatti e performance viene citata dal 62% degli intervistati come la principale barriera all’implementazione di una politica di investimento sostenibile; pesano in questo senso anche la mancanza di una definizione univoca di sostenibilità (53%) e una normativa di settore relativamente recente e, anche per questa ragione, percepita come poco chiara e spesso foriera di dubbi e confusione (48%). 

Figura 2– Quali sono le principali barriere all'implementazione di politiche di investimento sostenibile? 

Figura 2– Quali sono le principali barriere all'implementazione di politiche di investimento sostenibile?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 - “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

La sensibilità del mercato istituzionale trova insomma nuova e ulteriore conferma ma lo slancio verso la finanza SRI sembra essersi al tempo stesso attenuato rispetto al passato: nel valutare gli effetti delle proprie politiche di investimento sostenibile, e dunque nel compiere il passaggio dalle ragioni teoriche agli impatti “pratici”, solo l’8% dei rispondenti palesa benefici effettivi in termini di rendimenti, mentre quelli sul versante della mitigazione del rischio complessivo in portafoglio vengono colti dal 63% dei rispondenti (erano l’86% lo scorso anno). Rialzo dei tassi di interessi, spinta inflattiva e volatilità dei mercati finanziari hanno senza dubbio segnato gli investitori nel biennio 2022-2023 spingendoli verso un atteggiamento di maggiore cautela e di vigile attesa che si riversa anche nei confronti delle politiche ESG, tanto più che le incombenti elezioni europee stanno in questi mesi rallentando anche l’impeto della normativa comunitaria». 


Sostenibilità e integrazione dei criteri ESG: le strategie degli investitori

Per quanto riguarda il modo in cui le politiche d’investimento sostenibile vengono implementate, l’indagine offre poi uno spaccato sia delle strategie utilizzate sia delle modalità con cui i criteri ESG vengono applicati maggiormente. Con un valore in crescita rispetto al 2023, al primo posto si posizionano per il sesto anno consecutivo le esclusioni (66%), seguite da investimenti tematici (34%) e best in class (32%), che scalzano dal podio convenzioni internazionali (31%) e impact investing (29%). Ancora una volta all’ultimo posto l’engagement, che comunque cresce dal 24% al 28% di quest’ultima edizione: verosimile ipotizzare che questa strategia possa risultare agli occhi degli investitori di più difficile attuazione. Da segnalare però qualche eccezione significativa come quella dei fondi pensione negoziali, che lo annoverano invece tra le strategie più utilizzate (34% delle preferenze), secondo alle sole esclusioni. 

Figura 3 - Quali sono le strategie SRI adottate?

Figura 3 - Quali sono le strategie SRI adottate?

Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”

Scendendo ancor più nel dettaglio, dalla survey emerge che, verosimilmente anche per effetto del protrarsi dei conflitti bellici in tutto il mondo, le esclusioni riguardano soprattutto prodotti collegati al mercato delle armi (89%). Molti anche gli enti che escludono investimenti riconducibili a pornografia (59%) e gioco d’azzardo (56%); ancora in coda la parità di genere, che risale però dall’8% del 2023 all’11% del 2024. Se sul versante delle convenzioni internazionali si conferma  al primo posto UNPRI (64%), seguito dal Global Compact dell’ONU al 56%, per quanto concerne la strategia best in class, l’attenzione verso la tutela dell’ambiente raccoglie la prima posizione grazie a riduzione delle emissioni (al 69% in leggero aumento sull’anno precedente); al secondo posto delle preferenze con il 44% efficientamento energetico e rispetto dei diritti umani. Limitare l’integrazione dei criteri ESG alla sola, seppur rilevante, questione climatica e/o ambientale significa insomma non inquadrare in maniera del tutto corretta la complessità delle scelte di portafoglio degli investitori italiani anche se è innegabile che l’ambiente è uno dei fattori che più ne orienta le scelte nel campo della sostenibilità. Tanto che, a domanda diretta, i player intervistati confermano di trovare la componente Environmental predominante rispetto alle altre, seppur con percentuali più omogenee di quanto ci si potesse (forse) aspettare: mentre l’ambiente raccoglie quasi il 38% delle preferenze, la componente sociale tocca quota 31,4%, con la governance che arriva invece al 30,7% delle preferenze. Ulteriore dimostrazione arriva dai dati relativi agli investimenti tematici: anche in questo caso, chiara la predilezione per i temi ambientali (in testa efficientamento energetico e cambiamento climatico) ma comunque significativi gli investimenti in Silver Economy (27%) e RSA (23%). 

Tornando alle principali strategie SRI, mentre il social housing (75% delle risposte, contro l’84% dello scorso anno) e i green o social bond (50%) sono costantemente tra gli ambiti preferiti nell’alveo dell’impact investingsi mantiene stabile tra gli investitori che ricorrono all’engagement l’approccio softscelto dal 54% dei rispondenti. Interessante però rimarcare, per entrambe le strategie, la rilevante percentuale registrata dalla risposta “altro”: transizione energetica, infrastrutture sociali e sostenibili tra le più citate nel caso dell’impact investing; per quanto riguarda l’engagement, molti invece gli investitori che segnalano un mix tra le due modalità soft e hard o, ancora, come l’attività di engagement non sia svolta direttamente ma per il tramite dei rispettivi gestori.


L’orientamento verso il futuro e il ruolo della normativa europea

Oltre a inquadrare le principali tendenze del presente, l’indagine offre ancora qualche spunto sulla possibile traiettoria degli investimenti sostenibili per gli anni a venire. Traiettoria che, malgrado qualche elemento di difficoltà, continua a tendere significativamente verso l’alto: il 66% degli investitori (erano il 51% lo scorso anno) afferma di voler incrementare la propria esposizione nei confronti di strumenti sostenibili. Ad attirare l’attenzione in ottica prospettica sono soprattutto le esclusioni (61%), seguite rispettivamente con il 45% e il 43% delle preferenze da best in class e investimenti tematici. Tra i settori di maggior interesse meritano invece di essere segnalate le energie rinnovabili, stabilmente al primo posto con il 61% delle indicazioni, seguite da healthcare (32%) e infrastrutture sanitarie, a pari merito con la tecnologia a quota 23%. Rilevante anche in questo caso la voce “altro” (26%), dove spiccano tra le menzioni degli investitori le voci life science e agrifood.

A incidere sulle prospettive della finanza SRI è però oggi più che mai la normativa di settore, cui la survey dedica quindi una serie di domande specifiche, con particolare riferimento al regolamento SFDR e ai nuovi modelli RTS che i gestori/collocatori di fondi dovranno utilizzare nelle comunicazioni. In verità, almeno per il momento, buona parte dei rispondenti (il 67%) valuta come limitati gli effetti di SFDR, pur riconoscendo che, in prospettiva, potrebbe accentuare la propensione verso l’acquisto diretto di fondi ESG, ricordando come molti enti siano ancora in una fase di studio e analisi del quadro legislativo, disponendo di track record per forza di cose limitati. Si spiega forse in questo modo il perché, al momento, il 29% degli investitori istituzionali ha in portafoglio fondi che non rispondono né all’Articolo 8 né all’Articolo 9 (erano il 24% nel 2023), mentre solo il 2% detiene fondi sia Art.8 che Art.9 di diritto italiano (era il 4% lo scorso anno). Per quanto riguarda gli RTS, oltre il 60% dei rispondenti dichiara di non sapere o di non aver ricevuto alcuna informativa: questo a riprova di una certa difficoltà nel processo di adeguamento a nuove procedure e normative. 

Non solo, proprio in virtù della consistente evoluzione legislativa di questi ultimi anni, ammonta addirittura al 19% (era l’11% lo scorso anno) la percentuale di enti che giudica come insufficiente la propria conoscenza della regolamentazione sulla sostenibilità, a fronte di un 3% che la reputa ottima e di un 39% che la valuta come buona. Non a caso, quindi, ben 9 enti su 10 palesano la volontà di avviare percorsi di formazione interna, pur non avendo spesso ancora preso concrete misure in questa direzione. D’altra parte, solo nel 25% dei casi fondi pensione, Casse di Previdenza, Compagnie di Assicurazione e Fondazioni di origine Bancaria dispongono di una figura o di un team interno dedicato agli investimenti ESG; di qui, la consapevolezza di doversi dotare di competenze, attraverso la formazione e anche ricorrendo dove necessario a risorse esterne. In particolare, con la premessa che ormai anche molti advisor finanziari si sono specializzati sugli aspetti di sostenibilità, il 42% dei rispondenti dichiara come lo scorso anno di avvalersi di un advisor ESG.

Pur con qualche inevitabile margine di miglioramento, dettato anche da una normativa giovane e in divenire, anche l’economia italiana sta dunque puntando dritto verso la sostenibilità, di pari passo anche con la crescente sensibilità dei singoli cittadini e in particolar modo dei più giovani: non una moda, come si era inizialmente tenuto, ma un autentico stilnovo di investire che trova sempre maggiore spazio anche nei portafogli istituzionali. E anche se, soprattutto a causa di un quadro congiunturale piuttosto sfavorevole, le recenti performance degli investimenti sostenibili non sono particolarmente brillanti, la strada pare già ben tracciata, con la finanza green destinata a imporsi come il modello da implementare e perseguire nelle allocazioni.  

Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

17/4/2024 

 
 

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