La finanza imprenditoriale per l'economia "reale"

Il tema di come finanziare le PMI è di grande attualità, per quanto la crescita del debito pubblico statale generi una concorrenza rilevante rispetto al finanziamento dell’economia reale: in questo contesto, quale il possibile ruolo dei Family Office (e quali gli strumenti di riferimento)? 

Giancarlo Giudici

Negli ultimi tempi il tema dell’economia "reale" ha acquisito una visibilità particolare nelle agende dei gestori di patrimoni, degli investitori, degli imprenditori e persino dei politici.

Non c’è una chiara definizione di economia "reale" anche perché l’aggettivo "reale" rischia di dare l’impressione che ci sia invece una economia "immaginaria". Di solito ci si riferisce al contesto delle imprese industriali, sia del settore manifatturiero, sia del comparto dei servizi (Main Street) in contrapposizione invece al mondo della finanza (Wall Street), con una particolare attenzione al mondo delle PMI.

In Italia le piccole e medie imprese impiegano l’82% dei lavoratori e rappresentano il 92% delle imprese attive (fonti: ISTAT); la loro importanza nel creare la ricchezza nazionale è dunque evidente. D’altra parte, numerosi studi accademici mostrano che – a fronte di un vantaggio in termini di dinamicità, capacità di innovazione e di flessibilità – le PMI sono più fragili rispetto alle grandi imprese. In particolare, hanno difficoltà ad accedere al mercato del capitale e in virtù di questo sono state storicamente dipendenti dal canale bancario, soprattutto in Italia. La forte "personalizzazione" dell’organizzazione accentrata nell’imprenditore (e nella sua famiglia), una certa opacità nella rendicontazione contabile, il maggiore rischio rispetto alle grandi imprese… sono tutte cause del finance gap che le caratterizza.

Il tema di come finanziare le PMI è di grandissima attualità e ha portato a numerose riforme nella normativa in Italia. A titolo di esempio possiamo citare l’introduzione delle startup innovative e delle PMI innovative (e degli incentivi fiscali per chi ci investe), il credito d’imposta per le PMI che si quotano in Borsa, la nascita del mercato del private debt e dei minibond, i PIR e i PIR alternativi.

Nelle banche italiane a fine 2021 erano "parcheggiati" oltre 1.200 miliardi di euro (fonte: Conti Finanziari, Banca d’Italia): un costo opportunità incredibile, per il mancato investimento in attività produttive. L’obiettivo di canalizzare il risparmio degli italiani verso le PMI si scontra però con alcuni problemi: azioni e obbligazioni delle PMI sono titoli illiquidi (spesso non quotati, oppure se quotati scambiano poco), molti investitori istituzionali le "snobbano" perché troppo piccole (considerano ticket d’investimento minimo decisamente non adatti alle PMI), il rischio di subire delle perdite è elevato (posto che in Italia chi ha portato le maggiori perdite per i piccoli risparmiatori sono state grandi imprese e banche). Le autorità di mercato non vedono di buon occhio che il risparmio individuale venga impiegato direttamente nelle passività delle PMI non quotate; non a caso sono arrivati sul mercato fondi di investimento specializzati nel private equity e nel private debt, ma si tratta ancora di una nicchia del mercato presidiata da operatori specializzati.

Purtroppo la crescita del debito pubblico statale genera una concorrenza rilevante rispetto al finanziamento dell’economia ‘reale’. Nel 2021 attraverso il collocamento di titoli di Stato italiani sono stati raccolti 477 miliardi di euro (fonte: Ministero dell’Economia e delle Finance) che quindi sono stato "dirottati" rispetto ad altri impieghi nel privato. In questo contesto i Family Office hanno un ruolo importante. Una recente ricerca della School of Management del Politecnico di Milano e della Libera Università di Bolzano mostra che su più del 90% dei  206 Family Office censiti in Italia ha effettuato almeno un investimento in private equity o venture capital dal 2015, con una netta prevalenza dello strumento club deal, utilizzato nell’86,2% dei casi. Più di 2/3 dei Single Family Office hanno aumentato il peso del private equity nella propria asset allocation dal 2021 al 2022.

Il vantaggio dei Family Office nel sostenere l’economia "reale" deriva da tre fattori: competenza di matching (gli imprenditori conoscono meglio di altri in cosa investire e dove sono le migliori opportunità di business future), competenza di governance (ovvero come massimizzare la creazione di valore nell’organizzazione), competenza di timing (in base alle percezioni dell’andamento del mercato, sapere quando investire - e disinvestire).

Quali possono essere i canali disponibili per finanziare le PMI nel prossimo futuro?

Partendo da minibond e private debt, è un mercato che – secondo l’Osservatorio Minibond della School of Management del Politecnico di Milano – vale circa 2 miliardi di euro all’anno e potrebbe tranquillamente raddoppiare. Se disponibile, il credito bancario è di solito più conveniente, ma vi sono altri motivi che gli imprenditori apprezzano nel credito non bancario: la possibilità di diversificare le fonti di finanziamento, l’opportunità di interfacciarsi con investitori professionali, l’acquisizione di nuove competenze in termini di finanza mobiliare. Inoltre il private debt viene visto come una forma più flessibile di private equity, poiché non comporta una modifica degli assetti proprietari, il che è percepito come un fattore importante in particolare per le imprese familiari.

L’equity crowdfunding è una "nicchia" che vale 150 milioni di euro all’anno ma riguarda soprattutto startup e micro-imprese. Potrebbe però acquisire nuova energia con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento UE dedicato alle piattaforme per la raccolta di capitale online per le PMI. Sta avendo un buon successo il comparto immobiliare. Il private equity è un mercato in crescita; secondo AIFI sono stati investiti 14,7 miliardi di euro nel 2021, ma una parte consistente è servita a finanziare acquisizioni, più che ad apportare nuove risorse per le PMI. Si tratta comunque di una forma di finanziamento molto selettiva, cui riescono ad accedere poche decine di imprese all’anno.

Infine, possiamo citare i portali fintech di lending e di invoice trading, dove è possibile prestare denaro o investire nelle fatture commerciali cedute dalle imprese. È un mercato che vale circa 1,2 miliardi euro all’anno, dove sono molto presenti investitori istituzionali e Family Office. Infatti, i crediti gestiti dai portali vengono spesso cartolarizzati e ‘impacchettati’ per creare strumenti finanziari che consentono di diversificare il rischio e di ottenere una massa critica più interessante per l’investimento. Il vantaggio è quello di puntare a rendimenti più competitivi rispetto agli investimenti tradizionali, a fronte chiaramente di un maggiore rischio, poiché si tratta di crediti non garantiti.

 Giancarlo Giudici, professore ordinario di Corporate Finance
(Politecnico di Milano, School of Management)

8/9/2022

 
 

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