La ricchezza dei Millenials: un boost per la sostenibilità ma con un occhio ai rendimenti

Mentre si appresta a ereditare un ingente ammontare di ricchezza, la generazione di nati tra anni Ottanta e Novanta si mostra particolarmente sensibile a consumi e investimenti sostenibili. Nel frattempo però, complici le turbolenze dei mercati e una normativa non sempre chiara, i fondi ESG mostrano performance in rallentamento

Bruno Bernasconi

I Millenials sono destinati a diventare la generazione più ricca della storia grazie ai beni e agli asset accumulati dai loro nonni e genitori, le cosiddette Silent Generation (1925-1945) e dei Baby Boomer (1946-1965). Secondo uno studio della società di investimenti immobiliari Knight Frank, solo negli Stati Uniti nel corso dei prossimi 20 anni i nati tra l’inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta riceveranno in dote circa 90 trilioni di dollari. In Italia, Paese di risparmiatori e tra i più anziani al mondo, l’Associazione Italiana Private Banking stima un passaggio di ricchezza verso le generazioni più giovani pari a 180 miliardi di euro entro il 2028 per poi salire fino a 300 miliardi entro il 2033. 

Un trasferimento che avverrà in un contesto di profondi cambiamenti nel modo di utilizzare le proprie risorse, comportando un significativo riesame di come attrarre consumi e investimenti di domani. Uno dei maggiori esempi è rappresentato dai timori legati al cambiamento climatico, tra le principali differenze nelle priorità dei Millenials rispetto alle generazioni che li hanno preceduti specialmente quando si tratta di attitudine verso la ricchezza, vista sempre di più dai primi come un’opportunità per essere il motore del cambiamento. Stando alle risposte alla survey contenuta nello studio di Knight Frank, in materia di emissioni di carbonio i Millenials sembrano infatti avere molto a cuore l’importanza di tagliare i consumi, con circa l’80% degli uomini e il 79% delle donne rispondenti che dichiarano di aver intenzione di provare a ridurre il proprio impatto ambientale rispetto al 59% e al 67% delle loro controparti Boomer

Quale sarà quindi l’impatto di questo enorme passaggio di ricchezza sugli investimenti sostenibili? Secondo un report del 2022 di Credit Suisse, quando si parla di cambiamento climatico il focus si concentra spesso su azioni e iniziative di governi e imprese, senza tenere debitamente in considerazione chi in realtà rappresenta il vero driver per ridurre le emissioni: i consumatori. Con riferimento specifico soprattutto alla fascia di età 16-40 anni, comprendente coloro che determineranno se i target di sostenibilità di lungo periodo saranno rispettati o meno e che oggi già rappresentano circa il 50% della spesa per consumi globale. Per fare un esempio dell’importanza delle scelte dei consumatori, diversi studi mostrano come un cambiamento nella propria dieta possa ridurre significativamente le emissioni di gas serra; una delle principali sfide sul tema riguarda quindi riuscire a far comprendere alle persone il proprio carbon footprint e come modifiche nei propri comportamenti e nel proprio stile di vita possano contribuire attivamente a un mondo più sostenibile. 

I risultati della survey di Credit Suisse, somministrata a 10.000 persone in dieci Paesi (Usa, Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera, Cina, India, Brasile, Messico e Sud Africa) di età compresa tra 16 e 40 anni, confermano che i giovani consumatori sono quelli più attenti ai temi della sostenibilità, con il 65-90% dei rispondenti che si dicono preoccupati o molto preoccupati per l’ambiente ma al tempo stesso scettici circa la possibilità che i target Net-Zero di lungo termine verranno raggiunti. Anche per questo, gli intervistati hanno manifestato la propria volontà di aumentare la spesa in prodotti sostenibili quali l’energia solare, l’isolamento termico e i veicoli elettrici, mentre la carne e i fast food risultano tra i beni che vedranno più probabilmente un declino nelle preferenze di acquisto. I dati mostrano, inoltre, come i consumatori socialmente responsabili siano disposti a pagare anche un extra per prodotti e servizi di aziende impegnate sulla sostenibilità, oltre a essere disponibili a cambiare le proprie abitudini di acquisti in ottica eco-friendly.

Appare evidente, quindi, quanto sia importante per le aziende analizzare le aree di spesa di maggiore interesse dei consumatori millenials, mentre gli investitori si trovano a fare i conti con trend pluriennali in cui il peso della componente ESG assume sempre maggiore rilevanza, rendendo necessario adattare le proprie strategie per cogliere opportunità di guadagno. La view di lungo termine dell’International Institute for Sustainable Development vede il mercato degli investimenti con mandato ESG raggiungere i 160 trilioni di dollari entro il 2036, rispetto ai 30 trilioni del 2018. Proprio il lungo periodo sembra essere l’orizzonte temporale che meglio identifica i vantaggi delle strategie sostenibili: i dati di una recente ricerca Morningstar, infatti, suggeriscono che in base ai rendimenti medi e al tasso di successo (ossia la percentuale di fondi sostenibili con rendimenti superiori ai corrispondenti tradizionali) del campione analizzato non c’è un trade-off associato all’investimento in fondi sostenibili nel medio e lungo termine. Questo però potrebbe non accadere nel breve, specialmente in periodi di forte volatilità sui mercati finanziari come quelli che hanno caratterizzato il 2022 e buona parte del 2023. 

Le turbolenze dell’attuale scenario congiunturale non sembrano aver risparmiato neanche questa tipologia di asset: secondo Morningstar, gli ultimi tre mesi dello scorso anno hanno rappresentato il primo trimestre chiuso con flussi netti negativi per i fondi ESG con riscatti per circa 2,5 miliardi di dollari, in un fenomeno che a onor del vero ha riguardato il mondo più ampio dei fondi aperti e degli ETF in un quadro macroeconomico sempre difficile, caratterizzato da pressioni inflazionistiche persistenti, tassi di interesse elevati e timori di recessione. Ciononostante, i fondi ESG hanno archiviato il 2023 con una raccolta positiva globale di 63 miliardi di dollari, seppure in netto calo rispetto ai 161 miliardi del 2022, e un patrimonio salito nel quarto trimestre dell’8% a quasi 3.000 miliardi di dollari.

Negli Stati Uniti, gli investitori hanno ritirato 5 miliardi di dollari dai fondi ESG nel quarto trimestre del 2023, per un totale di 13 miliardi di dollari nell'ultimo anno, scontando, oltre il difficile contesto macro, i rendimenti inferiori rispetto ai loro omologhi convenzionali e alle persistenti preoccupazioni di greenwashing, la continua politicizzazione degli investimenti green; politicizzazione che ha contribuito a raffreddare la domanda di fondi sostenibili. L’Europa, che rappresenta invece di gran lunga il mercato di fondi ESG più grande al mondo con circa l’84% degli asset totali, ha continuato a registrare afflussi, anche se molto bassi rispetto agli standard storici, pari a 3,3 miliardi di dollari nel quarto trimestre, facendo meglio dei fondi tradizionali che hanno perso 25,4 miliardi di dollari. Nel complesso, nel 2023 i fondi ESG europei hanno raccolto in totale 76 miliardi di dollari, sostanzialmente dimezzati rispetto ai 149 miliardi dell’anno precedente, complici il ritorno di rendimenti interessanti nei titoli di Stato e la sottoperformance di alcuni comparti popolari nell’investimento sostenibile come quello delle energie rinnovabili, particolarmente colpite dall'impennata dei costi di finanziamento, dall'inflazione e dalle interruzioni nella catena di approvvigionamento. A ciò si aggiunge un contesto normativo in continua evoluzione per combattere il greenwashing e garantire maggior tutela agli investitori, da cui non solo un calo delle sottoscrizioni ma anche una diminuzione nel lancio di nuovi prodotti. 

Secondo le stime di Morningstar tra il 2021 e il 2023 si è in effetti registrata una diminuzione nello sviluppo di nuovi prodotti sostenibili, determinata soprattutto da un significativo callo del lancio di nuovi fondi ESG in Europa (quasi la metà nel 2023 rispetto al 2022). In tale contesto, alcune società di gestione hanno eliminato il riferimento alla sostenibilità nel nome dei loro fondi, mentre le autorità di vigilanza continuano a monitorare l’uso dei termini ESG soprattutto nei prodotti per i piccoli investitori, nella convinzione che gli abusi possano minare la fiducia e avere effetti negativi sulla transizione verso un’economia più sostenibile. Il rallentamento dei flussi nel comparto globale ESG arriva peraltro in un momento cruciale per la finanza climatica tra le crescenti preoccupazioni per condizioni metereologiche sempre più estreme, ma con una regolamentazione non sempre chiara che, almeno negli USA, sta portando anche a politiche anti-ESG.

La partita sembra però destinata a giocarsi anche sul fronte dei rendimenti, con i timori per l’attuale quadro congiunturale che rischia appunto di portare anche gli investitori più giovani a essere meno disposti a sacrificare profitti in nome della sostenibilità. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

27/3/2024 

 
 

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