Occhi aperti... anche sugli investimenti ESG!

La strada da percorrere per chiarire come interpretare e usare l'informazione non finanziaria delle società a complemento delle scelte d'investimento è ancora lunga: attrezzarsi con analisi approfondite resta il miglior modo per evitare di trovarsi esposti a titoli o strategie solo in apparenza sostenibili ma in realtà esposti a rischi inaspettati 

Matteo Bosco

Occhi aperti! Le decisioni prese consensualmente con l’aiuto di più opinioni anche discordanti probabilmente sono resistenti nel medio e lungo periodo e ci tengono alla larga da eventuali rischi non immediatamente evidenti.

Seguite i vostri valori, ma tenete gli occhi aperti, chiude così il Financial Times il suo provocatorio intervento "La fallacia dell’investimento ESG", pubblicato nei giorni scorsi e già commentato in maniera autorevole e critica da EticaNews. In merito alle performance in campo ESG, l’opinione del FT non si scosta molto dalle conclusioni dell’OEDC. Nel suo rapporto sui progressi dell’investimento ESG quest’ultima spiega che "i rendimenti hanno mostrato risultati contrastanti nell'ultimo decennio, sollevando interrogativi sulla reale misura in cui l'ESG guida i risultati. Questa mancanza di comparabilità delle metriche ESG, dei rating e degli approcci di investimento rende difficile per gli investitori tracciare la linea di demarcazione tra la gestione dei rischi ESG materiali nell'ambito dei loro mandati di investimento e il perseguimento di risultati ESG che potrebbero richiedere un trade-off nella performance finanziaria". E "nonostante gli sforzi delle autorità di regolamentazione e dei partecipanti del settore privato in diverse giurisdizioni e regioni, potrebbe essere necessaria una guida globale per garantire l'efficienza, la resilienza e l'integrità del mercato". 

Perciò il World Economic Forum ha recentemente annunciato il lavoro svolto con le grandi società di consulenza – le big four (Deloitte, EY, KPMG e PwC) , con lo scopo appunto di superare le menzionate difficoltà. Questo avverrebbe accomunando gli standard di reporting ESG per favorire il passaggio del capitalismo da quello che tiene conto del mero interesse degli azionisti al cosiddetto stakeholders capitalism, ovvero quello che terrebbe presente gli interessi dei vari partecipanti del mercato. 

Ma questa iniziativa suscita un motivato scetticismo da parte di attenti osservatori che percepiscono un elevato rischio di ESG washing nell’operazione. E anche di possibili manipolazioni di mercato.

Rimane molta strada da fare per chiarire come interpretare e usare l’informazione non finanziaria delle società a complemento delle scelte d’investimento. E, pensandoci bene, la ragione della varianza e confusione dei dati è motivata dal fatto che le varie fonti di informazione sono nate in periodi differenti con scopi diversi, spesso dopo una crisi. Ognuna di queste fonti ha la sua maniera di leggere, registrare e riportare gli eventi. Voler standardizzare le fonti può modificare la significatività delle informazioni. E, semplificando, si corre il rischio di avvantaggiare alcuni emittenti a sfavore di altri. Inoltre, imponendo a tutti lo stesso tipo di reportistica, si rischia anche di avvantaggiare i grossi operatori rispetto a quelli piccoli rendendo meno efficace e competitivo il sistema. Insomma, il processo è molto complesso e con risvolti non evidenti a prima vista. 

Attendendo che i regolatori, gli operatori e la politica trovino il sistema migliore e più equilibrato per la comprensione e lo sviluppo appropriato della reportistica non finanziaria, il pragmatismo impone di lavorare sulla ricerca con la mediazione di molteplici punti di riferimento per evitare di essere troppo esposti a un'unica fonte, che magari non ha la necessaria rappresentatività in uno specifico campo. Proprio come fanno i gestori riconosciuti per essere adeguatamente attrezzati per investire in maniera sostenibile. 

A tale conclusione è giunta la divisione UNCTAD dell’ONU che, in uno studio pubblicato nel 2019, ha analizzato 1728 ETF dei quali 126 con l’etichetta ESG, con una metodologia basata su più fonti di informazione complementari specializzate in sostenibilità in ambito finanziario. Il grafico mostra che il voto medio del totale del gruppo degli ETF è 5, su un punteggio che va da 0 (reputato non sostenibile) a 10 (molto sostenibile). Comprensibilmente per il gruppo degli ETF con etichetta ESG viene rilevata una media dil 7,5. Ne potremmo dedurre che il semplice fatto di avere un'etichetta ESG, aumenta la probabilità che il contenuto di un ETF possa essere ritenuto sostenibile da una buona parte del mercato informato. Ma non lo assicura, come dimostrato dai due rettangoli del grafico: quello verde indica che il 50% degli ETF con etichetta ESG viene valutato con lo stesso punteggio di quelli nel rettangolo rosso, che non sono etichettati ESG. Inoltre il 25% degli ETF senza etichetta – sopra al rettangolo rosso - ha voti migliori del 50% di quelli con l’ESG nel rettangolo verde. 

Vale la pena attrezzarsi per fare un’analisi approfondita per evitare di trovarsi esposti a titoli o strategie solo in apparenza definite sostenibili ma che poi finiscono per essere esposti a rischi inaspettati. 

Quindi, teniamo gli occhi aperti!

Matteo Bosco, Partner Conser Invest 

5/11/2020

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche