PIR e PMI, la scommessa della crescita è stata vinta?

Dal loro lancio i PIR hanno conosciuto un crescente interesse da parte degli investitori sia retail sia istituzionali e il nuovo emendamento approvato in Commissione Bilancio potrebbe fornire un'ulteriore spinta alla crescita delle PMI

Niccolò De Rossi

I Piani Individuali di Risparmio hanno dimostrato di essere uno degli strumenti più utilizzati non solo dagli investitori retail per cui erano stati inizialmente pensati, ma anche da quelli istituzionali. La Legge di Bilancio 2017 ha infatti dato la possibilità anche a Fondi Pensione e Casse di Previdenza di poterli acquistare.

I PIR sono stati creati come forma di investimento a medio termine per veicolare i risparmi verso le imprese italiane e, in particolare, verso le PMI. Nel dettaglio, sono contenitori fiscali al cui interno è possibile collocare qualsiasi tipologia di strumento finanziario (azioni, obbligazioni, quote di OICR/FIA, contratti derivati) rispettando però determinati vincoli di investimento per ottenere l’agevolazione fiscale. Il più rilevante, oltre al tempo minimo di detenzione pari a 5 anni, riguarda la composizione dello strumento: il patrimonio del fondo deve essere infatti composto per almeno il 70% da strumenti emessi o stipulati con imprese residenti in Italia o in altri Stati UE, ma con stabile residenza in Italia. Ma non finisce qui. Di questo 70% almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese che non appartengano al FTSE MIB, per consentire così di veicolare i capitali verso imprese di piccole e medie dimensioni.

In base ai dati ufficiali di Assogestioni, nel 2017 i PIR hanno evidenziato numeri importanti, con una raccolta netta pari a quasi 11 miliardi di euro, di cui circa un terzo solo nell’ultimo trimestre. Numeri dunque non trascurabili che hanno contribuito a far crescere soprattutto il mercato AIM. Nel solo 2017 sono state 24 le nuove quotazioni sul listino dedicato alle PMI e i PIR hanno giocato un ruolo strategico nella crescita del mercato. Hanno infatti consentito di veicolare l'interesse di nuovi investitori istituzionali e professionali, oltre a quelli retail, producendo effetti importanti nell’incrementare la liquidità del listino e delle relative performance.

Se è vero che non è tutto oro ciò che luccica, il 2018 ha rappresentato un anno di frenata tanto nella raccolta quanto nelle performance. Va detto però che, ripercorrendo l’anno che sta per terminare, non è facile trovare uno specifico strumento, o meglio, un'asset class che non abbia risentito del mutevole scenario dei mercati tanto europeo quanto internazionale. La previsione di un rallentamento generalizzato dell’economia a livello mondiale, paventata negli Usa ma fattasi più concreta in Europa e nei Paesi Emergenti, ha certamente avuto ricadute sulle imprese da cui dipende l’andamento dell’indice dove trovano quotazione le PMI italiane. E ancora, l’incertezza dei decisori politici sul peso che avrà il deficit in manovra, unito alla volatilità degli annunci sulle misure riguardanti soprattutto lavoro, investimenti e pensioni, ha finito per complicare ulteriormente il contesto nazionale in cui operano le imprese, dirette destinatarie degli investimenti attraverso PIR. C’è da evidenziare inoltre che, a fronte del crescente appetito degli investori per soluzioni fiscalmente agevolate e che finanziano l’economia del Paese come i PIR, sarà bene che la crescita dei capitali investiti in tali strumenti sia accompagnata da una solida espansione dei sottostanti e dunque delle imprese cui le risorse dovranno giungere.

Se fino a questo momento nella Legge di Bilancio hanno trovato poco spazio le parole investimenti e ancor meno incentivi per investire a sostegno dell’economia reale del Paese, l’emendamento presentato dal Deputato Centemero spinge per potenziare l’attrattiva dei PIR. La proposta mira a inserire un nuovo vincolo (oltre a quelli sopra citati) del 3% del patrimonio dei Piani Individuali di Risparmio da destinare verso società quotate su mercati come l’AIM. L’obiettivo è quello di incentivare la veicolazione dei capitali raccolti dai PIR verso strumenti non negoziati nei mercati regolamentati o nei sistemi di negoziazione relativi a PMI. Il mercato AIM ha infatti raggiunto una capitalizzazione di oltre 7 miliardi e le stime raccontano che circa un quarto del flottante può essere fatto risalire all’apporto dei PIR. Punto a favore della misura è il tentativo di destinare, attraverso il nuovo vincolo, una maggiore quota dei capitali raccolti tramite PIR al segmento del mercato non regolamentato; le attuali “regole” infatti – tra cui l’impegno a investire almeno il 30% del 70% del patrimonio al di fuori dell’indice FTSE MIB – lasciano un ampio margine di manovra ai gestori PIR e tale libertà rischia di limitare l’apporto di risorse verso il segmento AIM. L’ulteriore vincolo del 3% dunque, come da stime elaborate da 4aim sicaf, potrebbero portare nel 2019 più di 300 milioni verso le PMI, un valore da non sottovalutare e che può certamente contribuire allo sviluppo delle eccellenze nazionali.

La proposta di Cetemero sembra “superata” dal maxiemendamento proposto dal Governo alla Legge di Bilancio 2019 che dovrebbe approdare in Aula a breve, in cui sono incluse una serie di norme aggiuntive (commi da 111-ter a 111-decies), che incrementeranno le novità in tema PIR e finanziamento dell’economia reale introducendo vincoli ancora più stringenti. Ad esempio è previsto che almeno il 5% del 21% del patrimonio del PIR da destinare a strumenti finanziari di impresediverse da quelle appartenenti al FTSE MIB, debba essere investito in quote o azioni di fondi di venture capital. Occorrerà necessariamente attendere i decreti attuativi di MISE e MEF (entro 120 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio) per vedere i reali effetti che la norma introdotta potrà avere sull’economia reale del Paese. La norma precisa che per i fondi di venture capital si intendono i veicoli di nuova e recente costituzione con focus sull’Italia, in particolare quelli che destinano almeno il 70% dei capitali raccolti in investimenti a favore di PMI così come definite dalla UE, non quotate, residenti in Italia o nell' Unione Europea o nello Spazio economico Europa con stabili organizzazioni in Italia. Altro segnale positivo che giunge dalla norma è che anche lo Stato si renderà partecipe del finanziamento del tessuto imprenditoriale italiano: è fatta previsione infatti che le entrate derivanti dalla distribuzione di utili o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal MEF (ad esempio Cassa depositi e prestiti), siano utilizzate, in misura non inferiore del 15% dell’ammontare totale, per investimenti in fondi di venture capital

Niccolò De Rossi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

18/12/2018 (ultimo aggiornamento, 21/12/2018)

 
 
 

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