PIR: uno strumento per molti, ma non per tutti

Nei prossimi anni, per le imprese italiane investire in tecnologia non sarà una semplice scelta, ma un'autentica necessità: la prospettiva è dunque quella di un bacino importante per la produzione di PIR. Come intercettare i trend in atto per veicolare il risparmio di investitori istituzionali e retail nell’economia reale? 

Davide Squarzoni

Uscite dalla crisi con una cura dimagrante significativa, le PMI Italiane hanno oggi un marcato bisogno di tornare a investire sulla propria crescita: internazionalizzazione, digitalizzazione, internet of things, M&A saranno tutti elementi competitivi imprescindibili del percorso strategico delle nostre imprese nei prossimi anni.

Strutturalmente più piccole e maggiormente diffuse sul territorio rispetto alle imprese dei concorrenti vecchi e nuovi (Europa, Stati Uniti, e soprattutto Asia), le PMI italiane dovranno investire significativamente sul proprio capitale tecnologico per poter continuare a competere sui mercati internazionali e per non essere spiazzate dai concorrenti sul mercato domestico. La crescita esponenziale di brevetti (+ 28% all’anno negli ultimi 8 anni, nel mondo) in nuove tecnologie (robotica, Intelligenza Artificiale, Big data, Realtà aumentata, IOT, additive manufacturing) negli Stati Uniti (+ 34% negli ultimi 4 anni), ma anche in Cina (+ 57%) e Giappone (+ 35%) ci restituisce una misura concreta dello spazio che le nostre imprese devono coprire per poter continuare a sostenere la propria sfida competitiva.

Sono questi investimenti che richiedono investitori pazienti e capitale di medio-lungo periodo per poter portare a risultati apprezzabili. Investitori cui si deve garantire trasparenza nei conti, efficacia nella governance, chiarezza nei piani industriali.

Per questo, il bacino potenziale di imprese interessate dai nuovi canali di finanziamento non bancari legati a emissioni a medio-lungo termine si può collocare nella fascia di imprese tra 50 e 500 milioni di fatturato, per quanto in prospettiva scalabile ad una fascia di imprese di dimensione più contenuta che abbiano tuttavia raggiunto la necessaria maturità in pratiche di gestione trasparente e di comunicazione al mercato. Investire nel proprio futuro e in un’accelerazione tecnologica non sarà più nei prossimi anni per le imprese italiane una scelta, ma una necessità per sopravvivere a cambiamenti paragonabili solo alla prima rivoluzione industriale, assai più che alla più recente introduzione di ICT. Aprirsi al mercato dei capitali diventa allora una leva competitiva esattamente come innovare un prodotto o un processo produttivo. Senza apertura e trasparenza nessuna sfida competitiva potrà essere vinta in un panorama industriale mondiale sempre più dominato da grandi player sulla frontiera tecnologica.

Considerando le necessità di finanziamento stimate nei prossimi tre anni dal sottoinsieme di imprese target analizzate (con fatturato tra 50 e 500 milioni di euro, e con rischio non elevato), ci potrebbe essere un bacino importante per la produzione di PIR (intorno a 150 miliardi). Se, quindi, dal lato dell’offerta ci sono importanti potenzialità, quale potrebbe essere in prospettiva la domanda degli investitori di un prodotto come i PIR? Per provare a dare una risposta a questa domanda abbiamo analizzato lo sviluppo di prodotti simili in altri Paesi, in particolare gli Individual Saving Accounts nel Regno Unito, i Tax Free Savings Accounts in Canada, e i Plan d’épargne en actions in Francia.

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Sulla base della penetrazione di questi prodotti nei primi tre anni di vita, la domanda potenziale per i PIR si situerebbe in un intervallo da un minimo di 34 miliardi a un massimo di 88 miliardi. Una domanda che quindi potrebbe essere anche molto elevata (fino a sette volte la raccolta in PIR fatta nel primo anno di vita del prodotto) e che per essere soddisfatta richiederebbe che circa 1 su 2 delle imprese target siano disponibili a finanziarsi sul mercato tramite i PIR, un obiettivo molto sfidante per il settore dell’intermediazione finanziaria, in particolare per le banche, che dovrebbero aiutare le imprese nel loro ingresso sul mercato dei capitali.

Dal punto di vista dell’industria del risparmio gestito la sfida è quindi quella di riuscire a intercettare questo trend per veicolare il risparmio di investitori istituzionali e retail nell’economia reale, strutturando opportunamente prodotti con un adeguato profilo di rischio-rendimento e lavorando sull’innovazione. La crescita del mercato potrà facilitare economie di scala degli operatori e una maggiore strutturazione di processi di investimento e gestione del rischio adeguati, particolarmente rilevanti tanto più gli investimenti assumono caratteristiche di minore liquidità e risentono di fattori di rischio specifici.

Si rende certamente necessaria anche una riflessione sui veicoli di investimento, in particolar modo per gli investitori retail: in questo ambito si situa la possibilità offerta dalla regolamentazione europea di costruire appositi fondi di investimento a lungo termine (i cosiddetti “ELTIF”) che, se adeguatamente strutturati, potrebbero costituire i presupposti per facilitare ulteriormente l’incontro tra domanda e offerta di capitali per la crescita delle imprese, in particolare delle PMI innovative che, come noto, beneficiano di un consistente beneficio fiscale sull’investimento (e non sul solo potenziale capital gain), in fase di quotazione o di aumento di capitale.

Infine, non si può pensare che in un Paese finanziariamente maturo come l’Italia siano destinati all’investimento negli strumenti finanziari emessi dalle imprese nazionali solo capitali di persone fisiche, quali sono quelli raccolti per il tramite dei PIR. Gli investitori istituzionali devono essere parimenti coinvolti, anche in questo caso, necessariamente e opportunamente, con un incentivo fiscale alla detenzione di medio-lungo periodo (in particolare per la previdenza, di primo e secondo pilastro) e senza disincentivi rispetto agli assorbimenti di capitale (in particolare per le compagnie di assicurazione).

Per gli investitori previdenziali, la stessa Legge di Stabilità che ha introdotto i PIR ha previsto l’esenzione sul capital gain per investimenti fino al 5% dei patrimoni dei singoli Enti: la norma, tuttavia, presenta diverse difficoltà implementative, per cui andrebbe quanto meno precisata. Per le compagnie di assicurazione già l’IVASS ha concesso qualche apertura rispetto alle stringenti maglie di Solvency II, ma urge una riflessione a livello comunitario, per non privare il sistema economico europeo degli investimenti dell’investitore di lungo periodo per eccellenza.

Davide Squarzoni, General Manager Prometeia Advisor SIM

28/5/2018

 
 
 

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