Cronologia di un disastro annunciato

Anche se la fase più critica dell'emergenza sanitaria sembra essere per fortuna alle spalle, ripercorrere le primissime tappe della diffusione della pandemia di COVID-19 aiuta a evidenziare alcuni pesanti errori da non ripetere: dalle responsabilità delle Cina ai ritardi dell'esecutivo italiano, gli spunti di riflessione del Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Sudi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Alberto Brambilla

Tutto parte dalla Cina: il 7 gennaio Xi Jinping informa il Comitato Centrale del partito Comunista che nella città di Wuhan, metropoli di 11 milioni di abitanti e capoluogo della provincia di Hubei, occorre prendere serie contromisure perché c’è un pericoloso virus. L'11 gennaio è confermata la prima vittima a Wuhan e il 13 gennaio il primo decesso in Thailandia di un cinese proveniente dalla provincia dell’Hubei. Tuttavia, ufficialmente, Xi Jinping dichiarerà l’epidemia solo il 20 gennaio quando le televisioni di tutto il mondo iniziano a mandare immagini della città di Wuhan vuota e blindata, e dopo aver messo a tacere con la forza il giovane medico Li Wenliang, poi dichiarato eroe. Con molta probabilità il virus era in circolazione da almeno novembre e aver nascosto per oltre 60 giorni questa verità è stato il primo gravissimo problema per l’Italia e il mondo, che però ricevono la prima notizia del virus solo il 9 gennaio dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la quale informa di aver ricevuto dalla Cina l’individuazione di un nuovo ceppo di coronavirus della stessa famiglia di influenza, SARS e MERS, classificato poi come SARS-CoV-2, associato a un focolaio di casi di polmonite registrati dal 31 dicembre 2019.

E qui veniamo al secondo problema: l’OMS che, ancora, il 23 gennaio, riteneva prematuro dichiarare l’emergenza globale, annunciata solo il 30 gennaio senza tuttavia prevedere alcuna restrizione per i viaggi. La pandemia è dichiarata soltanto l'11 marzo. Ovviamente, tutte le autorità sanitarie italiane si appelleranno sempre alle scelte dell’OMS; che comodità!

La terza sequenza cronologica riguarda l’Italia: i dati sanitari ci dicono che, negli ospedali del Nord, Milano e Piacenza in primis, vengono segnalati casi di polmonite anomala già a fine dicembre con una forte progressione  il 7 gennaio a Milano con più polmoniti della media e sovraffollamenti di pazienti come a Como l’11 gennaio. Nessuna delle tante - troppe - autorità scientifiche si è mossa e addirittura il Ministero della Salute il 5 gennaio scriveva in una circolare che l’OMS non prevede(va) alcuna misura specifica per i viaggiatori, raccomandando pertanto “di evitare qualsiasi restrizione ai viaggi e al commercio con la Cina in base alle informazioni attualmente disponibili”. Potenza della politica Di Maio - Dibattistiana!

Il 27 gennaio, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dichiara che l’Italia è “prontissima” a fronteggiare l’emergenza e che il nostro Paese ha già adottato “misure cautelative all’avanguardia” e tutti “i protocolli di prevenzione”. Il 30 gennaio, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) conferma l’esistenza dei primi due casi di COVID-19 in Italia: si tratta di due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma. Il 31 gennaio Conte firma il decreto che proclama lo stato di emergenza per la durata di 6 mesi. Domanda: ma se era tutto sotto controllo, sulla base di quali informazioni segrete Conte ha preso questa decisione? Non dare una risposta sarebbe veramente grave.

Purtroppo però, al di là delle parole, il governo - e neppure l’apparato Ministeriale sanitario compresi ISS, AIFA e altri - non fa più nulla nonostante da oltre 10 giorni le televisioni trasmettano il dramma di Wuhan. E nonostante  il virus della polmonite anomala fosse in circolazione da molti più mesi. L’Istat ci informa che nel 2019 su un totale nazionale di 641.768 decessi quelli attribuibili a malattie del sistema respiratorio son stati 53.372, oltre a qualche migliaia per malattie anomale e infettive. Alla luce di questi pesanti numeri forse qualche precauzione in più si sarebbe potuta prendere, invece si perdono settimane preziose nelle quali il virus ha potuto diffondersi negli ospedali, soprattutto in quelli lombardi, fino alla scoperta della dottoressa Annalisa Malara del 21 febbraio. Non del Ministero né dagli “scienziati” incapaci di dirci ancora oggi quali terapie (non il vaccino che, come per SARS, MERS e HIV non è mai stato trovato) adottare per superare la malattia o quali test fare; no una semplice dottoressa, capace e caparbia che ha dovuto ordinare il test “sotto sua responsabilità” perché i papaveri regionali non lo ritenevano utile.

Questa è la situazione del Paese. Un esercito di scienziati che, nonostante i coronavirus siano noti dal 2002 e nonostante abbia visto in TV cosa accedeva in Cina, non si si è posto la più ovvia delle domande del che fare: del resto, fino al 10 di aprile dibattevano su mascherine sì mascherine no. I test non vanno bene perché o sono attendibili al 100% o tutti a casa: esattamente quello che dicevano i virologi nel 1918 ai tempi della Spagnola. Ci sono molte lezioni da trarre: a) la dittatura cinese è un rischio per il mondo; b) appaltare la nostra salute a organismi mondiali come OMS o al settore farmaceutico privato ci conduce in queste condizioni di privazione; c) quando nel calcio si perde, l’allenatore viene esonerato: ISS, AIFA e governo ne prendano atto.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

29/4/2020

L'articolo è stato pubblicato su Il Foglio del 22/4/2020
 
 
 

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