I fondi pensione negoziali e l'economia reale: consolidare la visione di lungo periodo

Differenti motivazioni ma stesso risultato: anche i fondi pensione negoziali sono sempre più attivi nel sostenere l'economia reale tramite investimenti alternativi, più complessi, ma che consentono di ricercare extra rendimento e diversificare i propri portafogli

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi

Gli ultimi anni di tassi di interesse reali a zero, quando non negativi, hanno creato evidenti difficoltà nella gestione delle risorse in particolar modo agli investitori previdenziali. Ciò ha spinto gli stessi a cercare extra rendimenti anche attraverso l’investimento nei mercati privati, che consente di decorrelare i portafogli rispetto all'andamento dei mercati tradizionali e convogliare risorse verso PMI e infrastrutture, sostenendo lo sviluppo del Paese. Ne abbiamo parlato con Giorgio Fano, Chief Investment Officer del Fondo Pensione Eurofer.

I fondi pensione stanno intraprendendo sempre più la strada dell’investimento in economia reale anche attraverso progetti di coinvestimento. Qual è stato l’obiettivo che ha spinto Eurofer a investire attraverso strumenti alternativi e quali i più utilizzati?

L’obiettivo di investimento di Eurofer è quello di garantire un tasso di sostituzione predeterminato nell’arco della vita lavorativa degli iscritti. In quest’ottica di lungo periodo è necessario confrontarsi con il contesto di mercato soprattutto obbligazionario: il 40% dei titoli governativi offre rendimenti negativi. Questo si è riflesso anche sui rendimenti di altri titoli obbligazionari: oltre 1.000 miliardi di euro di titoli “corporate” offrono rendimenti negativi o vicini a zero.  Per poter mantenere fede al proprio impegno Eurofer intende investire fino al 15% del patrimonio dei comparti Bilanciato e Dinamico in strumenti alternativi, in quanto ritiene di poter aggiungere circa l’1% di extra-rendimento su base annualizzata rispetto ai portafogli liquidi.  

Questo processo in corso è svolto per gradi. Inizialmente, Eurofer si è affacciato al mercato immobiliare (2014) per poi allargarsi a investimenti in infrastrutture (2016) e infine nel private equity (2018). In sintesi la strategia di Eurofer è quella di investire in tre settori dei mercati alternativi:

  • immobiliare
  • infrastrutture
  • private equity

In questi tre settori il Fondo può investire su tutta la struttura di capitale (capitale o debito): al contrario di altri operatori di mercato, Eurofer alloca le proprie risorse su tutta la struttura del capitale in base al rischio espresso dagli investimenti sottostanti classificati appunto in immobiliare, infrastrutture e private equity Così come sui mercati obbligazionari è possibile investire con una durata finanziaria (“duration”) diversa, oppure nel mercato azionario è possibile investire in settori con un “beta” diverso, altrettanto sul mercato privato è possibile scegliere di volta in volta su quale parte della struttura del capitale investire: capitale, mezzanino, debito subordinato, debito senior e così via. Per esempio, nell’investimento del 2018 in private equity è stata scelta una soluzione di investimento nel direct lending, cioè sulla componente di debito senior negli investimenti di private equity.

Riscontrate qualche difficoltà nel reperire opportunità di investimento in Italia? Secondo voi perché sono ancora pochi i gestori italiani che riescono ad attirare masse da investire nell’economia nazionale?

Per ogni bando pubblicato relativo a investimenti alternativi, Eurofer ha stabilito perimetri di rischio, di obiettivo e di durata senza limitarli al mercato italiano. Per quanto riguarda il mercato immobiliare e delle infrastrutture la presenza di opportunità in Italia non mancano. Esistono molti operatori attivi che non dimostrano grosse difficoltà ad attirare masse da investire. Il mercato dell’energia rinnovabile o delle infrastrutture di rete ha attirato capitale senza grosse criticità.

Per quanto riguarda il private equity, l’Italia gioca senz’altro un ruolo marginale, con sostanziali problemi ad attirare capitali. Dialogando con gli operatori di strumenti alternativi abbiamo appreso che l’infrastruttura legale sottostante gli investimenti è uno dei fattori di rischio più importanti presi in considerazione in quanto, in caso di insolvenza, è necessario ricorrere a procedure concorsuali. Prendendo in considerazione il mercato mondiale, l’Italia ha un peso limitato nei portafogli probabilmente anche per via dell’infrastruttura legale sottostante. A parità di condizioni si preferisce investire in un’azienda inglese o scandinava, per esempio.

Il rating BBB del debito pubblico ha definito restrizioni preventive a un’esposizione all’Italia da parte di alcuni investitori istituzionali.  Anche questo fattore ha contribuito alla difficoltà di attrarre capitale.

Ritenete possibile un aumento della vostra esposizione in strumenti alternativi ma soprattutto vedete opportunità di investimento a supporto delle PMI italiane?

Il programma di investimenti in strumenti alternativi è avviato ed Eurofer è determinato a proseguirlo.  Negli ultimi anni la Funzione Finanza è stata rafforzata con due risorse con esperienze pregresse internazionali anche nel settore del private equity

Il programma non dovrà soltanto rispettare i parametri di rendimento di lungo periodo: è importante continuare a investire in strumenti alternativi nel rispetto della diversificazione e della decorrelazione con il resto del portafoglio. Eurofer sta valutando con molta attenzione proposte di investimento in strumenti di debito non necessariamente senior su tutto il panorama degli alternativi, dal direct lending a strumenti mezzanini di infrastrutture o immobiliari. Eurofer si mantiene aggiornata su tutte le iniziative emergenti nel panorama istituzionale. Ha partecipato attivamente a vari tavoli di lavoro e non esclude una propria quota di investimento una volta analizzate le alternative che, al momento, sono solo delle ipotesi.

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

17/3/2020 

 
 

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