I percorsi di co-investimento che fanno bene al Paese

Quattro fondi pensione negoziali hanno intrapreso un percorso condiviso per giungere a investire una parte dei propri patrimoni in economia reale italiana: ne abbiamo parlato con Alessandro Stori, Direttore Generale Fondenergia

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi

L’investimento in economia reale è spesso effettuato attraverso strumenti alternativi che richiedono valutazioni più complesse per analizzare l’esposizione al rischio, dove maggiore illiquidità e orizzonti di investimento di lungo periodo sono solo alcune delle caratteristiche da considerare. Per questo motivo, iniziative consortili dove fare massa critica e intraprendere percorsi formativi e di investimento condivisi possono essere tra le soluzioni che soprattutto i fondi pensione negoziali hanno a disposizione. All’orizzonte c’è più di un’iniziativa in tal senso, tra cui quella che, con Alessandro Stori, Direttore Generale di Fondenergia, abbiamo voluto approfondire.

Quattro fondi pensione negoziali hanno intrapreso un percorso formativo di avvicinamento agli investimenti alternativi in economia reale: ci può spiegare come è nata questa idea e come si svolgerà il percorso di formazione?

I quattro fondi sono Fondenergia, Gommaplastica, Pegaso e Previmoda, quindi fanno riferimento a settori diversi. I rappresentanti dei lavoratori che siedono nei CdA dei fondi appartengono però alla stessa categoria sindacale. L’idea, che ha preso il nome di “Progetto Iride” è nata dall’esigenza comune di completare la gamma delle fonti di rendimento inserite nei nostri portafogli, aggiungendo fonti alternative, decorrelate da quelle tradizionali, allo scopo di diversificare maggiormente gli attivi. Un po’ come avere tutta la gamma dei colori dell’iride a nostra disposizione.

Il percorso di formazione si è articolato, nel corso dell’estate, in quattro giornate: due di formazione sulle principali asset class alternative, effettuate con l’aiuto del nostro advisor, Prometeia Advisor Sim ,e due incontri diretti con sette diversi operatori, attivi nelle 4 principali asset class (private equity, private debt, real estate e infrastrutture) sia a livello domestico che internazionale. Gli incontri, ai quali hanno partecipato consiglieri, sindaci e strutture dei fondi che condividono il progetto, hanno avuto un taglio propriamente formativo e non sono stati finalizzati a illustrare le caratteristiche dei FIA delle rispettive case. Molti di loro, tra l’altro, non erano neanche in fase di raccolta.

Quali sono le motivazioni che vi spingono ad avere un progetto comune e non investire singolarmente?

Come fondi negoziali sappiamo che per approcciare il tema degli investimenti alternativi in economia reale è necessario cambiare alcuni dei paradigmi che hanno caratterizzato sinora la nostra industria. Primo fra tutti quello dei costi, che sono di un ordine di grandezza non comparabile con quelli cui siamo stati sinora abituati. Al contempo necessitavamo di un approccio graduale e improntato alla massima cautela. Per questo, abbiamo deciso di condividere i costi che un simile progetto determina, sia in fase di approccio iniziale: basti pensare alla selezione e alla due diligence, sia nelle successive fasi di implementazione dei presidi organizzativi per il controllo e il monitoraggio degli investimenti. Al tempo stesso, aumentare le risorse che mettiamo in campo con questo progetto significa aumentare il nostro “pricing power” sul versante delle commissioni. In quest'ambito, i fondi negoziali vantano una positiva esperienza che vale la pena di mantenere viva. Inoltre la comune esigenza di accrescere le competenze dei soggetti decisori ci ha spinto a intraprendere questa strada insieme.

Ci può spiegare, anche in linea generale, come verrà eventualmente portato avanti il co-investimento? Ammontare singolarmente investito, percentuale sul totale dei patrimoni, gestione diretta o attraverso mandato?

Occorre ricordare che l’autonomia decisionale di ciascuno dei partecipanti non è in alcun modo intaccata dal progetto. Non potrebbe essere altrimenti. Tuttavia, per poter procedere insieme è necessario un minimo di coordinamento. Un numero ristretto di soggetti lo facilita. In questo periodo i Consigli di Amministrazione dei fondi partecipanti stanno decidendo sulle quote di patrimonio da investire e sulle modalità di implementazione degli investimenti, in pratica la terza fase del Progetto Iride. In linea di massima dovrebbe trattarsi di alcuni punti percentuali dei patrimoni dei fondi interessati (dal 3% al 10% circa, a seconda del comparto), inizialmente con modalità d’investimento indiretta, senza escludere il ricorso anche a investimenti diretti in un secondo momento.

Avete già individuato uno o più specifici settori di investimento cui vorreste rivolgere il vostro interesse?

Anche qui siamo nel campo delle decisioni che vengono assunte in queste settimane e quindi è bene rispettare le autonomie dei singoli. Inoltre occorre che ciascun fondo analizzi attentamente il proprio profilo di liquidità e valuti l’impatto della presenza in portafoglio dei vari tipi di asset class alternative sui rendimenti del Fondo. Orizzonti temporali diversi richiedono strumenti alternativi diversi. Sappiamo che la fase di costruzione di un portafoglio di investimenti alternativi è complessa dal punto di vista operativo e contraddistinta da contenuta redditività, che aumenterà nel tempo coerentemente con la natura di investimenti di lungo periodo. Il che giustifica ampliamente la gradualità della partenza, in particolare in periodi di rendimenti particolarmente bassi, se non negativi, come quello attuale.

Tornando alle singole asset class, per quanto ci ha mostrato la prima fase del progetto, quella di formazione, le asset class che maggiormente si adattano alle nostre esigenze sono il private equity e il private debt, senza escludere investimenti in infrastrutture per i comparti con orizzonti temporali più lunghi. Per quanto riguarda la connotazione geografica di questi investimenti dovrà essere ricercato in un mix adeguato tra domestico e non domestico in grado di rappresentare un buon compromesso, tra diversificazione e impulso all’economia domestica, come le esperienze internazionali insegnano.

Il percorso da voi intrapreso è sicuramente un segnale importante per tutti gli investitori istituzionali italiani. Quali sono i consigli che vi sentireste di dare a chi, come voi, ha preso coscienza di voler investire in economia reale ma non si sente ancora preparato per farlo?

Il primo consiglio da dare credo che sia “conosci te stesso”. Il punto di partenza deve essere cioè un’approfondita analisi sul profilo della liquidità proprio dell’investitore e sull’evoluzione del suo patrimonio nel tempo. Questa è stata la seconda fase del nostro progetto: ciascun fondo, da solo o con l’aiuto dell’advisor, ha elaborato un modello da utilizzare per stimare i saldi previdenziali prospettici. Diciamo che l’orizzonte temporale sul quale indagarsi deve essere almeno di dieci anni, ma per alcune delle asset class alternative (es. infrastrutture) occorre spingersi anche oltre. Non bisogna mai dimenticare che si sta cercando di portare a casa un premio d’illiquidità, che si tratta cioè di investimenti che si dispiegheranno in un arco di tempo elevato, senza la possibilità di cambiare percorso strada facendo. Il tasso di adesione attuale e quello prospettico è necessariamente il punto di partenza.

In secondo luogo, l’andamento delle prestazioni sarà fondamentale per capire l’evoluzione del patrimonio. Essendo complementari al primo pilastro, il quadro di riforme e “controriforme” al quale stiamo assistendo da diversi anni, generando incertezza sul momento di uscita del lavoratore dal sistema, non aiuta certo questo tipo di previsione. Occorre però aggiungere che la prospettiva di questo tipo di investimenti riguarda sicuramente i comparti più dinamici dove sono collocati gli aderenti più giovani, diciamo i soggetti nati dalla metà degli anni ‘Settanta in poi. Dato il minor tasso di sostituzione di primo pilastro di cui essi godranno, i loro obiettivi previdenziali di secondo pilastro devono essere più sfidanti e richiedono quindi maggiori rendimenti.

Noi ce la stiamo mettendo tutta per poterglieli fornire in futuro. Da ultimo credo che prendere coscienza di quanto sia sempre più necessario aumentare la diversificazione e le fonti di rendimento dei portafogli, in un mondo di bassi rendimenti delle obbligazioni e di mercati azionari ormai maturi, possa costituire un buon incentivo a incamminarsi su un percorso sicuramente difficile ma, al tempo stesso, estremamente sfidante.

Niccolò De Rossi e Gianmaria Fragassi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

7/1/2019

 
 

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