Idee per superare riforma Fornero e Quota 100

L'imminente "scadenza" di Quota 100 ha nuovamente posto il tema pensioni al centro del dibattito politico e mediatico: una discussione perenne, frutto della mancanza di coraggio degli ultimi esecutivi che hanno preferito soluzioni tampone a un intervento definitivo e capace di rimediare alle eccessive rigidità introdotte dalla riforma Monti-Fornero 

Alberto Brambilla

L’eterno tema delle pensioni, se ne parla da oltre 40 anni, torna prepotentemente alla ribalta perché Quota 100 scade e occorre pensare a cosa fare. Sarebbe necessario, come più volte evidenziato, procedere a una revisione sia della eccessivamente rigida riforma Fornero sia del “liberi tutti” di Quota 100 ma in modo, se non definitivo, almeno per i prossimi dieci anni.

Ma perché il sistema pensionistico sia sostenibile nel tempo occorre anche un insieme di politiche attive per il lavoro che generi un rapporto demografico attivi/pensionati almeno sopra 1,5. Stando alle anticipazioni che circolano in questi giorni per entrambi gli obiettivi si pensa a proposte provvisorie e al rinvio di decisioni: insomma, ancora “toppe” per mancanza di coraggio. E di provvedimenti tampone ce ne sono stati già tanti negli ultimi 12 anni, come ad esempio le otto salvaguardie per correggere gli eccessi della Fornero, le prime due realizzate proprio dal governo Monti. Poi , na serie di fantasie italiche come Opzione Donna, agevolazioni per precoci e lavori faticosi, APE sociale, lavori gravosi e, infine, Quota 100. Tutti provvedimenti tampone, per l'appunto, per non ammettere che la riforma Fornero non funziona perché è troppo rigida, ma anche per guadagnarsi la benevolenza di sindacati e votanti. In 10 anni gli “scampati” alle regole Monti-Fornero sono stati più di 750mila: come dire che un decennio di pensionamento ne sono costati come più di 11.

Cosa dovrebbe fare un governo responsabile soprattutto in una situazione come l'attuale, disastrata da anni di incuria industriale e dalla pandemia? Anzitutto, dare certezza ai cittadini con regole semplici e valide per tutti, giovani e anziani, retributivi, misti e contributivi puri. In primis, per tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dall’1 gennaio 1996 vanno cancellate tutte le regole previste dalla Fornero che favoriscono solo i redditi alti e penalizzano la gran parte dei giovani, i quali peraltro con i loro contributi pagano le pensioni attualmente vigenti; pensioni che devono quindi essere equiparate a quelle di tutti gli altri lavoratori, requisiti di pensionamento e integrazione al minimo su valori pari alla maggiorazione sociale (630 euro al mese) compresi. 

Si tratterebbe dunque di mantenere per tutti i requisiti per la pensione di vecchiaia con 67 anni di età, adeguata alla aspettativa di vita, e almeno 20 di contribuzione, mentre Quota 100, APE sociale, Opzione Donna e agevolazioni per i precoci potrebbero essere sostituiti dai fondi esuberoche sono già operativi per le banche e assicurazioni a costo zero per lo Stato. E, ancora, di reintrodurre la flessibilità in uscita alla base della riforma Dini, consentendo un pensionamento flessibile con 64 di età anagrafica (indicizzata alla aspettativa di vita), con almeno 38 anni di contributi (Quota 102), di cui non più di 2 figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari), e con il periodo dall'1 gennaio 1996 al 31 dicembre 2011 totalmente a contributivo, rendendo stabile la pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per le donne) svincolata dalla aspettativa di vita, ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo. Si potrebbero prevedere, sull’esempio della Dini, anticipi per le donne madri (8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi) e per i precoci, per i quali ogni anno di lavoro prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni. Infine, si dovrebbe reintrodurre l'indicizzazione delle pensioni all'inflazione nella misura del 100% fino a tre volte il minimo, 90% da 3 a 5 volte il minimo e 75% oltre 5 volte il minimo sulla quota di pensione “retributiva”, mentre per quella contributiva l’indicizzazione deve essere pari al 100%, eliminando l’iniquo taglio delle pensioni alte.

Sul lato delle politiche attive invece occorrono decisioni coraggiose e innovative: se uno dei problemi principali legati a COVID-19 sono gli assembramenti sia sui mezzi pubblici sia presso bar, pub e ristoranti, le soluzioni ci sono e non hanno a che fare con i provvedimenti “Conte-Catalfo” (divieto di licenziamenti, cassa integrazione, disoccupazione e bonus che, peraltro, finora sono costati oltre 30 miliardi, miliardi che diverranno più di 34 a fine anno, senza aver creato alcuna prospettiva se non la sussistenza). Ad esempio, si potrebbero fare convenzioni per il trasporto anziani, studenti e lavoratori con servizi taxi, noleggi con conducente, bus turistici, tutti soggetti che oggi sono fermi o poco utilizzati e ai quali il bonus da 600 euro non basta per vivere; si potrebbe poi aumentare l’orario di bar e ristoranti anche oltre le 24, prevedendo l’obbligo di presenza seduta ai tavoli da prenotarsi con apposite app come quelle dei vari delivery; ancora, si potrebbe incentivare e aiutare il settore moda, in grave crisi occupazionale, commissionando tutti gli strumenti di DPI, anziché comprarli in Cina con le famose “aste” di Arcuri; infine, ma ci sarebbero molte altre proposte, si potrebbero indirizzare le produzioni in crisi verso tutti i dispositivi elettronici per la telemedicina, gli scanner per la febbre e così via: possibile che sia tutto cinese? Prodotti che che magari costa il 10% meno, ma pesano poi miliardi in sussidi alla disoccupazione.

Invece avremo altra CIG, ancora APE sociale, Opzione Donna, precoci, anticipi pensione e una Quota 100 provvisoria, forse una Quota 102 annacquata: un’altra serie di pezze a colori. E intanto, in modo assolutamente falso e sbagliato, Istat comunica alla Commissione UE che la nostra spesa pensionistica sul PIL arriverà al 17%, contro una media UE poco sopra il 12%. Certamente non il miglior viatico per ottenere i fondi europei.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

27/10/2020 

L'articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera, L'Economia del 26/10/2020
 
 
 

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