Il rischio demografico nell’attività di fondi pensione, Casse previdenziali e fondi sanitari

L'aumento della vita media influisce inevitabilmente sulla sostenibilità di enti pensionistici e forme di assistenza sanitaria integrativa, oltre che su altre voci di spesa del welfare integrato: cos'è e come gestire il longevity risk? 

Paolo De Angelis

Il termine italiano rischio demografico è completamente declinabile nell’ambito della locuzione inglese longevity risk. In senso stretto il longevity risk si riferisce al rischio connesso all’incapacità di un annuity provider (ad esempio, un fondo pensione o una Cassa di Previdenza) nel far fronte agli impegni contrattuali di pagamento di una rendita vitalizia a favore dell’iscritto che, raggiunti i requisiti di età e anzianità per il godimento del trattamento pensionistico, inizia a percepire un trattamento periodico a condizione che il pensionato diretto, ovvero altro avente diritto (trattamento di reversibilità), sia in vita a ciascuno degli anniversari successivi al momento dell’inizio godimento.

È evidente, dunque, che la sostenibilità di medio/lungo termine dell’ente erogatore la rendita, ovvero della sua solvibilità, è affidata alla disponibilità di risorse finanziarie accumulate (o in corso di accumulazione) e tali da ridurre al minimo il rischio di una situazione di default tecnico o, meglio, una situazione in cui il valore degli attivi a copertura degli impegni pensionistici risulti inferiore al valore delle passività immediate e/o latenti: tale situazione si manifesta se il numero delle rate di pensione in godimento supera il numero delle rate stimate ex ante sul piano teorico in sede di programmazione delle risorse finanziarie da accumulare (principio della capitalizzazione vs. principio della ripartizione). 

Come noto, l’impiego di corrette tecniche attuariali permette di stimare ex ante la situazione di sostenibilità economico-finanziaria di un ente previdenziale, con un grado di affidabilità crescente con le dimensioni del collettivo assicurato ai fini della realizzazione delle migliori condizioni di applicazione della ben nota “Legge dei Grandi Numeri”: la realizzazione di una piena mutualità consente un’efficace mitigazione del rischio di longevità, ma certamente non implica la riduzione a zero del rischio medesimo. Per meglio fissare quest’ultimo passaggio ritengo opportuno introdurre un'efficace definizione economica del concetto di rischio di longevità. In particolare, secondo la definizione di Cairns, Blake e Dowd [2006]: “Longevity Risk is the risk that, in the long term, aggregate survival rates for identified cohorts are higher than anticipated”. La definizione suggerita fonda sull’incertezza nei futuri movimenti dei tassi di sopravvivenza per classi omogenee di età riferibili a una collettività di individui, movimenti determinati da variazioni inattese sugli impliciti tassi di mortalità a ragione di due particolari driver di rischio:    

- unsystematic mortality risk, vale a dire il rischio non sistematico di mortalità, misurato tramite gli scostamenti di natura “accidentale” tra la mortalità “teorica” considerata, ad esempio nel calcolo dei coefficienti di trasformazione in rendita alla base del calcolo dell’importo della pensione pubblica nell’ambito dei regimi previdenziali a contribuzione definita e la mortalità “osservata” su una particolare collettività; scostamenti che in forza della “Legge dei Grandi Numeri” e, in presenza di collettività ampie, tendono a ridursi quale significativo effetto mitigativo indotto dalla mutualità;

- systematic mortality risk, vale a dire il rischio sistematico di mortalità, non diversificabile tramite le usuali strategie di pooling, in quanto si traduce in una strutturale riduzione dei tassi di mortalità su tutte le età e dunque mitigabile tramite il trasferimento, se del caso, anche al mercato finanziario. È proprio in ragione della necessità di mitigazione dei rischi nella gestione del fondo pensione che il legislatore previdenziale ha ritenuto opportuno sollevare il fondo stesso dalla gestione del rischio di longevità, imponendo il trasferimento dello stesso al mercato assicurativo Vita, tramite la sottoscrizione di particolari convenzioni di durata pluriennale con i maggiori player del mercato assicurativo, ovvero concedere specifica autorizzazione al raggiungimento di particolari dimensioni del collettivo assicurato.

Nell’ambito dei sistemi previdenziali pubblici a contribuzione definita il parametro strategico, che permette di misurare in via integrata gli effetti indotti dal longevity risk sui trattamenti pensionistici e dunque sulla verifica di sostenibilità economico-finanziaria dei veicoli previdenziali, è rappresentato dal noto coefficiente di trasformazione in rendita del capitale accumulato. Detto coefficiente rappresenta il valore della rata di rendita per ogni euro di capitale accumulato sulla posizione previdenziale ed è calcolato come reciproco del valore attuariale di una rendita vitalizia, funzione di una predefinita tavola di mortalità (base tecnica demografica) e di un fissato tasso di interesse a base della legge di sconto applicata (base tecnica finanziaria). Variazioni sulle basi tecniche utilizzate per il calcolo del coefficiente di trasformazione permettono di apprezzare gli effetti indotti sia dal longevity risk sia dall’interest risk, quest’ultimo riferibile a variazioni inattese sull’intera curva per scadenza dei tassi di interesse espressiva del mercato finanziario. 

Per concludere, al fine di dare un'evidenza indiretta degli effetti sul valore della passività previdenziale indotta dal longevity risk, nella tabella che segue si presenta un’analisi di sensitività della riserva matematica afferente a un trattamento pensionistico di 12.000,00 euro/anno a favore di un individuo di 67 anni sia di sesso maschile che femminile al variare della tavola di mortalità adottata: emblematico è l’aumento dell’onere previdenziale all’aumentare della vita media implicita in ciascuna delle tavole di mortalità considerate nella simulazione e, d’altra parte, non va dimenticato che l’aumento della vita media degli individui influisce inevitabilmente su altre componenti di spesa del welfare integrato, quali ad esempio gli oneri per prestazioni assistenziali di natura sanitaria ivi inclusi gli oneri legati alla non autosufficienza.

 Tabella 1 - Aumento dell’onere previdenziale all’aumentare della vita media Tabella 1 - Aumento dell’onere previdenziale all’aumentare della vita media

Paolo De Angelis, Presidente Studio Attuariale De Angelis-Savelli&Associati,
                                                                   Componente Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

 

2/11/2022

 
 
 

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