Immigrazione e ideologia, la fine di un ciclo

Sono molti gli studi che rimarcano il (presunto) fondamentale contributo dei lavoratori stranieri all'equilibrio del sistema previdenziale e dei conti pubblici del nostro Paese: guardando però ai dati, al netto di ogni posizione ideologica sul tema dell'immigrazione, la situazione pare essere ben diversa

Alberto Brambilla e Natale Forlani

Ragionando sulle statistiche ufficiali, è nostra opinione che il ciclo di espansione dell’immigrazione in Italia iniziato nella seconda parte degli anni Novanta, per le caratteristiche che lo hanno contraddistinto, in particolare la grande presenza di immigrati impiegati in mansioni di bassa qualificazione, sia sostanzialmente esaurito e che evidenzi seri problemi di sostenibilità per gli stessi immigrati regolarmente presenti in Italia.

Una conclusione decisamente opposta rispetto alla lettura corrente che scaturisce da alcuni rapporti, tra i quali quello 2020 della Fondazione Leone Moressa 2020, i cui dati vengono ripresi anche nei report Caritas e Migrantes. Curioso il fatto che nonostante le fonti statistiche siano essenzialmente quelle di ISTAT, ministeri dell’Interno e del Lavoro e dell’INPS le conclusioni sul tema dell’immigrazione siano spesso divergenti. Secondo la Fondazione Moressa, gli stranieri tra tasse e contributi pagherebbero circa 18 miliardi e avrebbero un “basso impatto sulla spesa pubblica, con un saldo attivo di 500 milioni”. Inoltre, la "sanatoria" 2020 - sempre secondo il Rapporto - produrrebbe addirittura un gettito potenziale di 360 milioni annui; infine, i circa 2,5 milioni di occupati stranieri contribuirebbero al PIL italico per circa il 9,5%, pari a 147 milioni di euro, mezzo punto in più rispetto al 2018. Ma potrebbe essere molto di più, dice la Fondazione, se non ci fosse tra gli stranieri molto lavoro nero e irregolare. Nel Rapporto sponsorizzato dalla CGIA di Mestre e con gli illustri patrocini dei ministeri degli Esteri e dell'Economia e dell'Università Cà Foscari di Venezia, ci sono però molte incongruenze prodotte da un'ideologia che permea i lavori delle organizzazioni fan dell’immigrazione e che non prendono minimamente in considerazione i rischi che nuove ondate di immigrati potrebbero produrre sulla debole economia italiana, sul nostro esile mercato del lavoro e sugli stessi immigrati regolari.

Veniamo appunto alle incongruenze: il PIL 2019 è stato pari a 1.787,664 miliardi di euro, per cui il 9,5% farebbe circa 170 miliardi e, se il PIL prodotto da ogni straniero fosse 68.000 euro, moltiplicando per i restanti lavoratori italiani peraltro con retribuzioni mediamente superiori del 35%, si ricaverebbe un dato poco credibile. Quanto alla spesa pubblica, considerando per i 5,255 milioni di immigrati regolarmente residenti (ai quali però dovremmo sommare gli irregolari), la sola spesa sanitaria pro capite - pari nel 2019 a 1.886,5 euro - si otterrebbe un costo di circa 10 miliardi. Per la scuola ci vorrebbero almeno altri 1,1 miliardi e per l’assistenza altri 3,4; poi c’è tutto il resto. Immaginare addirittura un saldo positivo, quando in tutto il mondo l’immigrazione è un investimento e - come tale - costa tanti soldi, sa molto di ideologia.

Infine, qualche considerazione sui 17,9 miliardi di tasse, addizionali locali e contributi previdenziali prodotti (dice il Rapporto) dai 2,29 milioni  di contribuenti stranieri nel 2019, anche se gli occupati in realtà sono 2,5 milioni: a) si afferma che gli stranieri hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi, con una media di 12.700 euro l’anno, valore molto al di sopra dei dati forniti dall’INPS per il triennio 2017-2019, pari a 14.287 euro per i lavoratori dipendenti e 7.500 euro per i lavoratori domestici e agricoli, che sono però circa il 40%, e versato IRPEF per 3,66 miliardi, pari a un'aliquota di circa il 13%, cioè più elevata del 70% dei contribuenti italiani. Il che rende il dato poco credibile, visto che la maggior parte degli immigrati è poco sopra la no tax area e con deduzioni e detrazioni di imposte dirette è difficile che versi questi importi. b) la seconda riguarda i contributi sociali che sono un credito per chi versa che poi determinerà una pensione e, quindi, non possono essere considerati un “contributo alla crescita del Paese” come affermano questi studi; tuttavia, anche ipotizzando un'aliquota contributiva media elevata, non si arriva a 7 miliardi di contributi. Ipotizzando oltre ai 2,29 miliardi di IRPEF anche altri 4,3 miliardi di imposte indirette non si capisce come si possa arrivare ai 17,9 miliardi considerando oltretutto che lo stesso Rapporto definisce l’occupazione immigrata concentrata nelle professioni meno qualificate (oltre la metà degli immigrati ha la licenza media, mentre solo il 12% è laureato). Stupisce poi che, da un lato, il Rapporto affermi che l'Italia ha di fatto “chiuso la porta agli immigrati extra-comunitari in cerca di lavoro, che per entrare in Italia hanno potuto usare solo i ricongiungimenti familiari o le richieste d'asilo” e, dall’altro, dica che gli occupati stranieri negli ultimi dieci anni sono aumentati di 600mila unità (+31% dal 2010) e che dal 2010 a oggi gli stranieri sono passati da 3,65 a 5,26 milioni (+44%), arrivando a rappresentare l'8,7% della popolazione italiana e superando il 10% in alcune regioni e città e dica anche che l’Italia è al terzo posto per il numero assoluto di immigrati accolti tra i Paesi europei. 

Ne servivano di più? Nel solo 2019 gli stranieri sono aumentati di 111mila immigrati, al netto delle 127mila nuove cittadinanze rilasciate: la maggior parte degli arrivi non sono lavoratori ma ricongiungimenti familiari, quindi soggetti che non producono redditi ma beneficiano di tutti i nostri servizi di welfare. Siamo sicuri che continuando con questi proclami facciamo il bene degli italiani e degli stessi immigrati? L’Istat ci dice che, con riferimento al 2019, il 31% dei nuclei composti da soli stranieri versa in condizioni di povertà assoluta rispetto al 6,3% di quelli italiani; quasi il doppio quelli in povertà relativa, con il 40% dei minori coinvolti. Per dare un'idea di quanto stia avvenendo nella realtà del mercato del lavoro per gli immigrati, i dati dell'Istituto nazionale ci dicono che, in un anno, il numero degli occupati è diminuito di 258mila e quello degli inattivi è aumentato di 359mila.

Peraltro, l’attrattività del nostro Paese per i migranti è in costante riduzione, riduzione testimoniata anche dal decremento del 27% del numero di stranieri presente nelle nostre università, e rappresenta solo il 5% dei 5,2 milioni di nuovi permessi di soggiorno rilasciati nei Paesi OCSE.  Proseguiamo così per interesse e ideologia?

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Natale Forlani, Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali

16/11/2020

 
 
 

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