L'inganno del cashback: zero effetti sull'evasione

Per un Paese ad alta infedeltà fiscale come l'Italia lotteria degli scontrini e cashback di Stato sono davvero le giuste soluzioni per contrastare economia sommersa e fenomeni di evasione? Il punto di vista (e le proposte alternative) di Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Alberto Brambilla

Secondo l’ultima relazione del Parlamento Europeo, l’Italia ha il record dell’evasione fiscale e contributiva: ogni anno i mancati pagamenti dovuti allo Stato ammontano a 190,9 miliardi di euro; seguono la Germania, con 125,1 miliardi, e la Francia, con 117,9 miliardi. E quali sono le attività nelle quali è maggiore l’evasione? Sono quelle, anche per gli importi medi di ogni singola operazione, della fornitura diretta di servizi alle famiglie, vale a dire operazioni sulle quali grava un pesante carico fiscale sia diretto che indiretto (IRPEF, contributi e IVA).

Si tratta di un fatto noto all’Agenzia delle Entrate, i cui dati sui redditi 2018 (e dichiarati nel 2019) sono stati peraltro attentamente analizzati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali: ben il 74% degli oltre 41 milioni di dichiaranti versa un'aliquota molto bassa tant’è che il 43,88% dichiara redditi da zero - o addirittura negativi - a 15mila euro lordi l’anno (una media di meno di 7.500 euro l’anno per vivere) e versa all’erario solo il 2,42% di tutta l’IRPEF, mentre un altro 13,84% ne versa il 6,56%. Significa che il quasi il 60% degli italiani (57,72%) versa, al netto del bonus Renzi, l’8,98% dell’IRPEF, cioè 15,4 miliardi su un totale di oltre 170, pari a soli 442 euro in media per ognuno dei 34,84 milioni di cittadini. Per garantire la sanità e l’assistenza sociale a questo 60% il restante 40% deve “donare” oltre 110 miliardi (50 per la sanità e 70 per l’assistenza sociale), i quali gravano soprattutto su poco più del 13% degli italiani che dichiarano redditi oltre i 35mila euro lordi l’anno e che versano oltre il 60% delle imposte. In pratica, più della metà del Paese vive a carico di qualcuno (sembrano i dati di un Paese in via di sviluppo) e, certamente, non è oppressa dalle tasse.

E cosa fa il nostro governo per combattere l’evasione fiscale? Anziché operare con il contrasto di interessi su questi segmenti, si affida alla “lotteria degli scontrini” in uso in Brasile e Portogallo, non proprio “fari” di scienza delle finanze, e si inventa il cashback. Inoltre, senza curarsi dei costi aggiuntivi legati all’uso della moneta elettronica, stabilisce che in Italia si potrà usare il contante per un massimo di 1.999,99 euro (prima erano 2.999,99) fino al 31 dicembre 2021 e, dall'1 gennaio 2022 a 999,99 euro, la cifra più bassa d’Europa. Per ottenere i rimborsi (cashback, vale a dire i soldi indietro) occorre fare almeno 50 operazioni nel semestre per avere un bonifico massimo di 150 euro sul contocorrente su una spesa di almeno 1.500 euro semestrali; con 100 operazioni e 3mila euro spesi si può arrivare a 300 euro annuali. Vanno bene tutte le spese fatte in negozi fisici con carte di credito, bancomat o tracciamenti elettronici, ma anche QR Code, appwallet di smartphone (qui, il dettaglio delle modalità di pagamento accettate, ndr). Sono esclusi i pagamenti nei negozi online. Attenzione però perché il rimborso massimo per singola transazione sarà di 15 euro: quindi se, per esempio, il costo del bene o della prestazione è di 500 euro conterà solo 150 euro ai fini del raggiungimento della soglia di 1.500 euro. Infine, dulcis in fundo, è previsto che se le risorse stanziate non basteranno a dare rimborsi a tutti, questi saranno “proporzionalmente ridotti”.

Ma quanto costa il cashback? Lo Stato ha stanziato circa 2,6 miliardi di euro per il 2021 e 3 miliardi di euro per il 2022. Inoltre, da mesi è attivo un credito d’imposta pari al 30% delle commissioni pagate dai commercianti; commissioni che in media si aggirano intorno all’1%-1,1% su transazioni superiori, in generale, ai 10 euro che, se fossero pari al 10% di 26 miliardi (l’importo massimo delle transazioni cashback), costerebbero a tutti noi altri 960 milioni, i quali sommati ai 2,6 miliardi fanno 3,56 miliardi l’anno. Il fatto è che oltre la metà di queste operazioni avvenivano già con moneta elettronica, quindi oltre la metà dei soldi sono regalati.

Dove invece si annida maggiormente l'evasione IRPEF e IVA? In Italia ci sono più di 25 milioni di famiglie che comprano una serie di servizi e lavori per la casa, aiuti domestici, riparazioni e così via... Circostanze nelle quali si instaura un rapporto diretto senza intermediazioni tra famiglia e fornitore finale. Chi sono questi fornitori? Sono, oltre ai lavoratori autonomi regolari, un plotone di irregolari, secondo-lavoristi, assistiti da ammortizzatori sociali, disoccupati, clandestini e altri, stimati in circa 4 milioni di "sommersi" (dati Istat) che, peraltro, fanno una spietata concorrenza sleale nei confronti dei regolari. Moltiplicate il numero di famiglie per 3 o 4 interventi l'anno e vengono fuori almeno 100 milioni di prestazioni "IVA evasa" (oltre 100 miliardi contro i 26 ipotetici del cashback) cui sommare le prestazioni fatte dai regolari, le quali diventano spesso in "nero" per un ovvio motivo di concorrenza e competitività. Si prenda ad esempio il caso di un lavoratore medio che guadagna 1.400 euro al mese e che deve imbiancare casa (la stessa cosa vale per lavori idraulici, elettricisti, tappezzieri, meccanici di bici, moto, auto, carrozzieri ecc.) sostendo un costo di 1.000 euro. Il copione nazionale è ormai standard: "Se vuole la fattura sono 1.220 euro ma se non le serve - perché in Italia è indeducibile o se te la fanno dedurre la sconti in 10 annicontrosensi della burocrazia -  il costo posso farlo a 900”. Il guadagno netto immediato, senza tracciamenti, sarebbe di 320 euro. Ora, poiché gli italiani non sono né eroi fiscali e né tantomeno idioti, la scelta è scontata: “Facciamo 900 euro". Il fornitore non paga tasse, IVA, contributi sociali e vive "a carico" di coloro che le tasse le pagano, mentre il capofamiglia, con i 320 euro risparmiati, riesce in quel mese a comprare qualcosa in più per i bambini e per la casa. Per un'operazione come questa il cashback consentirebbe di beneficiare di soli 15 euro se va bene (contro almeno 320 o più).

L’unica proposta seria è introdurre il "contrasto di interessi": per un periodo sperimentale di 3 anni tutte le famiglie possono portare in detrazione delle imposte dell'anno il 50% delle spese effettuate con regolare fattura elettronica (incrocio dei codici fiscali) nel limite di 5.000 euro annui per una famiglia di 3 componenti, cifra che aumenta di 500 euro per ogni ulteriore componente; nel caso di incapienza sono previste misure compensative (quota asili nido, mense ecc.). I lavori/servizi detraibili sono manutenzione della casa (lavori idraulici, elettrici, edili, tappezzerie, mobili), manutenzione di auto, moto e biciclette, piccoli aiuti domestici. I  risultati? La famiglia risparmia 2.500 euro di IRPEF (è come pagare i lavori, IVA compresa, al 50%; una bella concorrenza agli irregolari), il che equivale a una quattordicesima mensilità che, per redditi fino a 35mila euro, rappresenta una riduzione del 50% del cuneo fiscale. Gli irregolari, diffusissimi in Italia, vengono drasticamente ridotti: si inizia un “circolo virtuoso” e si spezza la catena per cui lavoro nero attira altro lavoro nero e sommerso; ed è questo forse il maggiore risultato dell’intera operazione: si riafferma la legalità. Infine, lo Stato migliora le entrate fiscali e contributive tra il 10 e il 15% (IVA evasa per 8 fatture su 10) che, su circa 190 miliardi fanno 19 miliardi, perché le tasse che deduce la famiglia le paga il fornitore, contributi e IVA compresi. 

Per un Paese ad alta infedeltà fiscale il contrasto di interessi (e la reintroduzione dei voucher lavoro per la lotta al microsommerso), è l’unica soluzione seria possibile: perché non sperimentarla? 

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

19/1/2021

 
 
 

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