La beffa delle pensioni: assegni in anticipo e tagli a chi ce l'ha

Indubbiamente complice la pandemia di COVID-19, l'ultima Legge di Bilancio crea le pericolose premesse per un aggravio del disavanzo INPS: tra le scelte difficili da comprendere prepensionamenti, sistema di adeguamento all'inflazione e tagli agli assegni più alti. Il Punto di Vista di Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Alberto Brambilla

Altro che Quota 100! La legge di bilancio per il 2021, complice la pandemia da COVID-19, crea le premesse per un aumento del deficit INPS di notevoli proporzioni: se nel 2018 e nel 2019 la differenza tra entrate e uscite per prestazioni, al netto dei trasferimenti dello Stato, segnava un disavanzo di 20,8 miliardi (pari al 10% delle entrate), nel 2020 la previsione è di circa 28 per superare i 30 nel 2021. Anche dal punto di vista dei trasferimenti dal bilancio dello Stato all’INPS per le attività assistenziali previsti nella manovra finanziaria annuale la progressione è evidente: 105,6 miliardi nel 2018, 114,2 nel 2019 e molti di più (forse 120) nel 2020 e 21. In aumento pure il numero dei pensionati. Si passerà dai 16,035 milioni del 2019 ai 16,16 del 2020 e ai 16,21 del 2021.

Certo non è tutta colpa della politica. La crisi sanitaria ci ha messo la sua mano, leggendo però i provvedimenti si resta, pur in periodo pandemico, abbastanza perplessi. Sicuramente è vero che siamo in presenza di una grave crisi occupazionale ma scaricare tutto sulle pensioni come negli anni peggiori della Repubblica (fino al 1991 ci furono oltre 600mila prepensionamenti, altrettante baby pensioni ed età di pensionamento inferiori ai 55 anni, un macigno che grava ancor oggi sul sistema) è sbagliato: errare è umano, mettere sul groppone delle future generazioni un altro peso è diabolico.

Nella migliore, si fa per dire, tradizione dei governi di centro-sinistra ma non solo, la legge prevede due pesi e due misure. Da un lato, una specie di “liberi tutti” con un lungo elenco di possibilità di pensionamento anticipato rispetto alla tanto difesa (a parole) legge Fornero, a partire da Quota 100, criticatissima da tutti ma applicata esattamente come l’aveva prevista il governo gialloverde. Eppure la possibilità di alzare almeno a 64 anni l’età minima c’era soprattutto viste le feroci critiche, lato PD, al provvedimento. Avremmo avuto qualche medico e insegnante in più e qualche miliardo in meno di costi. Si prosegue con APE sociale, lavoratori precoci, opzione donna. Ci sono poi l'aumento dei contratti di espansione per aziende sopra i 250 dipendenti che si ristrutturano prevedendo prepensionamenti con 5 anni di anticipo rispetto all’età di pensione, gli sconti NASpI e CIG, la proroga dell’isopensione per tutte le imprese sopra i 15 dipendenti che si ristrutturano, con prepensionamenti di ben 7 anni di anticipo (quasi tutto a carico delle imprese). Dulcis in fundo la nona salvaguardia per 2.400 persone con regole ante Fornero. Età medie di pensionamento intorno ai 60 anni e quasi 150mila pensionati in più. Dal lato delle entrate va anche peggio: sconto totale sui contributi per le assunzioni di under 36 per 36 mesi (48 al Sud), sconto totale per 2 anni nel caso delle donne over 50, sgravi contributivi al 30% per tutto il Sud fino al 2029 (ma occorre l’ok della Commissione UE) e infine altre 12 settimane di cassa integrazione COVID.

Fin qui il primo peso, ecco allora il secondo. Con gli auguri per un buon anno, il Presidente del Consiglio prevede un regalino per i pensionati: in pratica, anche per il 2021 e probabilmente per il 2022, il governo giallorosso prevede una rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici all’inflazione ridotta. Il 100% dell’inflazione verrà infatti riconosciuto solo alle pensioni complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.100 euro lordi l’anno), a quelle fino a cinque volte il minimo spetta al 77%, al 52% per i trattamenti superiori a cinque e fino a sei volte il minimo, al 47% per quelli tra 6 e 8 volte il minimo, al 45% per cento per quelli tra otto e nove volte il minimo; al 40% per quelli superiori a nove volte il minimo. Ma la “fregatura” è doppia, perché la rivalutazione non va per scaglioni ma viene calcolata sull’intero importo: se, ad esempio, una pensione è pari a 6 volte il minimo si applica sull’intero importo la rivalutazione al 47%.

Tutto ciò, dice l’articolo di legge, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni e per la salvaguardia della solidarietà intergenerazionale. Insomma, facciamo 40 + 20 miliardi di ulteriore nuovo debito che, sommato ai precedenti, supererà probabilmente i 160 miliardi, caricandolo sulle spalle delle future generazioni, ma sottraiamo ai pensionati - soprattutto a quelli che hanno sempre pagato tante tasse e contributi - qualche centinaio di milioni con la scusa di “salvaguardare la solidarietà intergenerazionale”. Se non fosse così grave questo modo di esprimersi e di legiferare sarebbe da commedia del ridicolo, tanto più che il provvedimento è inutile perché non c’è inflazione, per cui la riduzione è ininfluente sulle pensioni. Altra dimostrazione di dilettantismo.

L’altro regalino di buon 2021 riduce da 5 a 3 anni, prorogandolo però a tutto il 2021, il “taglio” delle cosiddette pensioni d’oro, fatto non già in base a calcoli tecnico attuariali ma voluto dal governo gialloverde solo per assecondare il principio grillino o gialloverde  secondo cui uno vale uno: non importa se il primo non ha mai lavorato e il secondo, quello “tagliato”, si è fatto un mazzo tanto nella vita. E così, con la connivenza della Corte costituzionale (sentenza n.234 del 2020) che ha avvallato un'autentica “falsa comunicazione sociale” del Presidente del Consiglio e del suo vice stellato, che hanno giustificato il taglio come un “rigoroso ricalcolo delle pensioni alte in base ai contributi versati al fine di togliere questi privilegi ai nababbi per darli ai poveretti che prendono una pensione bassa” (ovviamente e furbescamente questo lo hanno detto urbi et orbi in tutte le TV ma non lo hanno scritto nella legge), prosegue la decurtazione delle pensioni sopra i 100.000 euro lordi annui con riduzioni tra il 15% e il 40%.

Risulta paradossale un esecutivo che - a fronte dell’invecchiamento della popolazione, che indurrebbe saggiamente ad un incremento delle età di pensionamento - prevede una montagna di prepensionamenti e poi appena sei in pensione inizia con i tagli.

Alberto BrambillaPresidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

2/2/2021

L'articolo è stato pubblicato su Il Messaggero del 26/1/2021

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