Nel contrasto alla pandemia di COVID-19, esiste un "modello Italia"?

L'analisi dei principali parametri socio-economici utili a descrivere la gestione della pandemia e il confronto con gli altri Paesi afflitti da COVID-19 evidenziano un'Italia ben lontana dall'essere quel modello tanto decantato dal governo e dai media nazionali e internazionali: alcuni spunti di riflessione a partire dall'ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate Itinerari Previdenziali 

Alberto Brambilla

Nella classifica sui peggiori Paesi per risultati economici e sociali nell’affrontare la pandemia, l’Italia si piazza al quarto posto, quasi in pareggio con il Regno Unito e preceduta da Spagna e Belgio. Altro che modello italiano da esportare e far copiare nel mondo! 

Eppure, solo pochi mesi fa il nostro governo non perdeva occasione per magnificare il “modello Italia” nella lotta al SARS-CoV-2. E invece l’Italia, che ha avuto la sfortuna di essere tra le prime nazioni a subire i pesanti effetti della pandemia, tra le prime a chiudere tutto più degli altri competitor europei, la prima a sperimentare il disastro economico derivante dalla chiusura di molte attività produttive, commerciali e turistiche, ha pensato che - mettendo nel “congelatore” il Paese per qualche mese - si sarebbe risolto tutto senza fare altro. Così, al posto di trasformare la sfortuna di essere incappato per primo nel coronavirus, in un’opportunità per preparare difese e contromisure per la più che prevedibile “seconda ondata” (che poi è forse in verità solo una recrudescenza della prima), ha perso sette preziosi mesi nel tentativo di contrastare, senza particolare successo, le due peggiori minacce associate a COVID-19: gli assembramenti e la paura della gente. 

Si è fatta un’enorme spesa pubblica assistenziale a deficit, sono stati previsti tanti bonus, sono stati spesi 30 miliardi tra cassa integrazione e sostegni vari, ma poco nulla per i trasporti, solo sussidi a taxi, bus turistici e NCC, ma zero convenzioni per farli lavorare. Poco per la scuola, solo patetici banchi e nessuna convenzione con strutture come le scuole paritarie per decongestionare i flussi di studenti soprattutto fuori dalle strutture scolastiche stesse. Pochissimo per la gestione sanitaria che ha visto scarsi miglioramenti sul fronte dei posti letto, delle terapie intensive, del personale, dei tamponi e dei vaccini antinfluenzali; solo code ai drive-in e nei pronto soccorso. Nessun piano di rilancio del Paese, solo Stati generali, sussidi a tutti, anche a malavitosi e falsi poveri (si veda ad esempio quanto accaduto con il Reddito di Cittadinanza). 

Per dare corpo a queste osservazioni il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali ha cercato nei numeri alcune conferme analizzando la situazione di 28 Paesi e concentrandosi su 4 parametri particolarmente adatti a descrivere la situazione: a) il numero di decessi ogni 100mila abitanti; b) la perdita di PIL causata dalla pandemia ma soprattutto dalle misure adottate dai vari governi; c) il deficit del bilancio 2020 che dipende dalle minori entrate fiscali e contributive e dalle maggiori spese sostenute dagli Stati con provvedimenti legislativi e “scostamenti di bilancio” vari; d) infine, la previsione del rapporto debito pubblico/PIL a fine 2020. A ciascuno di questi 4 parametri è stato attribuito un peso che è poi stato ponderato, Paese per Paese, alla media del gruppo preso in esame. 

Il presupposto è semplice: se un Paese ha avuto un numero di decessi molto alto ma, nel contempo, ha avuto anche una forte contrazione del Prodotto Interno Lordo perché, anziché avere una buona organizzazione sanitaria, ha chiuso gran parte delle attività e contemporaneamente ha maturato anche un forte deficit di bilancio con il risultato di aumentare di molto il debito pubblico sul PIL, significherà che ha messo in campo strategie sbagliate. Più “l’indice totale di performance” è alto e peggio si sono comportati i decisori politici di quel Paese. E l’Italia, come detto, non brilla affatto: sempre tra i peggiori, ai primi posti per evasione fiscale, lunghezza della giustizia, spesa pubblica ed economia sommersa e al contrario ultima per sviluppo, occupazione e produttività. E anche la classifica sulla gestione epidemica conferma la situazione. 

Tabella 1 – Gestione dell’epidemia di COVID-19: i principali indicatori socio-economici

Tabella 1 - Gestione dell'epidemia di COVID-19: i principali indicatori socio-economici

Fonte: elaborazioni a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Per quanto riguarda il primo indicatore (numero di decessi ogni 100mila abitanti) l’Italia - sulla base delle elaborazioni condotte da Itinerari Previdenziali sui dati diffusi dalla John Hopkins University al 18 novembre 2020 - si classifica al settimo posto con 75,68 morti contro i quasi 128 del Belgio, gli 88 della Spagna, gli 80 dell’Argentina e del Brasile (79,25) e i 78 circa di Regno Unito e Messico. Se si considera che la spesa per la protezione sociale in Italia è di gran lunga superiore a quella di Belgio e Spagna e molto più alta degli altri Paesi che la precedono in classifica, ci si rende conto che non è un bel posizionamento e che il nostro Paese è tra i peggiori tra quelli con alta spesa per welfare

Quanto al secondo indice, previsione di variazione del PIL a fine 2020 in base alle stime del FMI, il Belpaese si classifica al quarto posto con un -10,65% preceduto dalla Spagna con un -12,83%, l’Iraq (-12,06%) e l’Argentina (-11,78%); anche in questo caso non è una bella classifica considerando la plurifallita Argentina e il non certo sviluppato Iraq. Il terzo indice riguarda il deficit di bilancio 2020 ricavato dalla elaborazione dei dati previsionali del FMI: in questa classifica l’Italia, con un - 12,98%, si classifica al nono posto preceduta dal Canada (-19,92%), dagli Stati Uniti (-18,72%), Iraq, Brasile, Regno Unito, Giappone, Spagna e India (-13%); gli Stati Uniti, ottavi per numero di decessi, sono al 22esimo posto per perdita di PIL, il Canada è rispettivamente 16esimo e 12esimo, mentre gli altri Paesi sono sempre tra i peggiori. Infine, il quarto parametro rappresentato dal rapporto debito su PIL nelle previsioni di fine 2020, sempre sulla base dei dati FMI: in questa classifica, l’Italia è al secondo posto con il 161,8%, preceduti dal Giappone con l’inarrivabile 266,2% e seguiti dagli USA con il 131,2%. In classifica mancano la Grecia, che si sarebbe qualificata al secondo posto con il 214%, mentre gli USA sarebbero stati preceduti dal Portogallo con il 150%: la posizione finale per l’Italia sarebbe però rimasta uguale. 

Che dire? Pure vista dagli Stati Uniti, la situazione italiana è pessima e l’Italia non è quel modello che racconta il governo; neppure nel confronto con la Germania o la Svezia che, nonostante le blande misure per contenere i contagi, contano comunque meno vittime. E mentre imperversano i cosiddetti specialisti della materia, specialisti che non riescono tuttavia a darci alcuna tranquillità, e gli allarmi del governo spaventano anziché tranquillizzare la popolazione, il nostro Paese si avvia a un declino caratterizzato dalla mancanza di verità sulla situazione e anestetizzato dal metadone sociale dei sussidi. 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

27/11/2020 

 
 

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