Più tasse si pagano, meno servizi pubblici si ricevono

Un altro dei grandi paradossi del sistema italiano: tartassa i contribuenti che dichiarano più di 35mila euro e offre una giungla di agevolazioni, in aumento dopo la pandemia, al 57% degli italiani con redditi sotto i 15mila, mentre le detrazioni "buone", che potrebbero favorire il contrasto di interessi, latitano. Nella maggior parte dei casi lo Stato preferisce assistere, pagando a piè di lista, senza controllare che ci sia un reale bisogno

Alberto Brambilla

Più tasse si pagano meno servizi pubblici si ricevono; viceversa, meno tasse si pagano e maggiori sono le prestazioni sociali e i servizi ricevuti da Stato, Regioni e comuni. È in questa semplice costatazione la spiegazione della gran parte dell’evasione ed elusione fiscale e contributiva che caratterizza il nostro Paese, primo secondo la relazione approvata dal Parlamento europeo, per evasione fiscale in Europa e anche la spiegazione del perché ben il 74% dei nostri concittadini dichiara redditi inferiori a 2mila euro lordi l’anno.

Proviamo a spiegarci meglio: la maggior parte delle deduzioni e detrazioni, degli svariati bonus (da quello Renzi ai vari bonus bebè, e così via) spetta per la maggior parte al 57,72% degli italiani che dichiarano redditi da zero a 15mila euro lordi l’anno (nemmeno mille euro al mese in media) e versano -  al netto del bonus Renzi - l’8,98% dell’IRPEF cioè 15,4 miliardi, pari a soli 442 euro in media per ognuno dei 34,84 milioni di cittadini, anche se qualche beneficio spetta, seppur in misura decrescente, al 29% che dichiarano redditi da 15 a 35mila euro lordi l’anno. Si tratta, come vedremo, di prestazioni in servizi e in denaro rigorosamente correlate ai redditi. Prestazioni che, in una forma o nell'altra - sia quindi nel caso delle prestazioni in denaro, esenti da ogni tassazione come le pensioni assistenziali, sia in quello della fornitura di servizi gratuiti - falsano pesantemente il “profilo reddituale e fiscale” di soggetti che, paradossalmente, potrebbero avere più disponibilità di quanti, con redditi appena sopra la soglia, non beneficiano di nulla. Ma soprattutto questa politica, accettabile in caso di conclamata povertà che però non può interessare i tre quarti della popolazione, è un potente incentivo per occultare i redditi, lavorare in nero ed evadere il più possibile.

Un sistema molto costoso, che si somma a quello assistenziale che già costa oltre 134 miliardi l’anno (quasi l’intero importo delle pensioni al netto delle tasse), ed è, in generale, un potente anestetico della nostra economia. Il contrario delle deduzioni e detrazioni che definiremo buone perché generano “contrasto di interessi”, come quelle per ristrutturazione e risparmio energetico o come il superbonus del 110% (persino esagerato), premiando l’emersione dei redditi e la possibilità di fare meno nero proprio perché capaci di garantire la riduzione della pressione fiscale.

Esiste d'altra parte una vera e propria “giungla” di agevolazioni e bonus indirizzati alle famiglie con bassi redditi che presentano un ISEE modesto. La Legge di Bilancio 2020 ne ha confermati e istituiti molti. Vediamone alcuni, pur con la premessa che sono talmente tanti (forse più di 500) che ci si perde: 

a) per la famiglia e la natalità: bonus asili nido da 3.000 euro per chi ha ISEE a 25 mila euro; bonus bebè da 160 a 80 euro al mese per redditi bassi e con ISEE fino a 40mila euro; bonus secondo figlio da 96 euro mese per redditi da 7 a 25mila euro, che potrebbe aumentare a 192 per redditi più bassi; c’è poi il bonus terzo figlio sempre legato al reddito e il bonus latte artificiale (400 euro), l’assegno di maternità 2020 dello Stato, e l’assegno di maternità dei comuni (anche per gli extracomunitari, che sono per oltre il 90% nelle fasce basse di reddito)

b) famiglie in difficoltà: reddito e pensione di cittadinanza e reddito di emergenza con oltre 1,43 milioni di nuclei familiari, pari a 3,6 milioni di cittadini, per un costo di 9 miliardi; interventi a sostegno della famiglia pagati dalla Gias INPS per circa 5 miliardi; servizi socio-sanitari gratuiti presso la propria abitazione; sconti luce, gas, acqua con i nuovi bonus 2020 per redditi fino a 8.103,5 euro e non superiori a 20mila e per famiglie con più di 3 figli a carico e telefono (riduzione del 50% della bolletta per redditi fino a 6.700 euro circa); esenzione canone Rai per gli over 75 con redditi inferiori a 8.000 euro e social card INPS con relative ulteriori prestazioni in denaro; dentista sociale per chi ha un ISEE inferiore a 8.000 euro; esenzione ticket sanitari; carta famiglia per chi ha 3 figli minori a carico e un ISEE inferiore a 30mila euro; contributo affitto o per morosità incolpevole per le famigli in difficoltà (300 euro per redditi fino a poco più di 15mila euro e 150 fino a 30mila).

Poi ci sono le agevolazioni tariffarie locali che spesso si cumulano con quelle statali: per le scuole materne rette di iscrizione e servizi mensa in base all’ISEE; lo stesso per le scuole elementari e medie, riduzioni o esenzioni totali dei costi per i trasporti, per le mense scolastiche e i corsi aggiuntivi; per le università statali, sempre in base alle cinque fasce ISEE le rette variano da una media di 316,82 euro per anno accademico per chi ha un ISEE fino a 6.000 (I fascia) a una media di 2.450 euro per quelli in V fascia. E la forbice si amplia per le università private da una media di 1.400 a quasi 10mila euro l’anno, con sconti per gli studenti fuori sede negli studentati. Infine, ci sono le case popolari rigorosamente legate ai redditi.

Una quantità industriale di bonus, anche di difficile interpretazione e passibili di errori nella descrizione. Bassi redditi e basse pensioni, con il paradosso che meno contributi si pagano e maggiori sono le prestazioni incassate: su 16 milioni di pensionati circa la metà sono totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato, quindi da tutti noi, con le tasse che paghiamo e che loro non hanno pagato o versato solo in parte. Di questi, 800mila pensionati sociali e quasi 4 milioni di parzialmente assistiti, cioè persone che in 67 anni di vita hanno pagato circa 15 anni di contributi. Per questi pensionati, oltre ai bonus citati, si sommano le esenzioni dai tributi, i bonus comunali per la spesa, l’affitto o sconti sui trasporti pubblici, sui cinema e teatri, sui servizi sociali; inoltre 2,4 milioni di pensionati beneficiano della quattordicesima mensilità, altri della social card per gli acquisti e ora anche della pensione di cittadinanza (780 euro), di importo pari a quello di una pensione di chi ha versato almeno 25 anni di contributi. Invece, per quelli che hanno sempre pagato tasse e contributi e hanno una pensione sopra i 100mila euro lordi, si è previsto un “taglio” non supportato da alcun calcolo serio. E, per i ricchi oltre i 60mila euro di reddito, qualche politico di destra e sinistra propone di far pagare la scuola, la sanità escludendoli dai benefici dell’assegno di accompagnamento e di invalidità.

Insomma, pare che l’Italia abbia messo in campo la più grande macchina da guerra per incentivare evasione e elusione: più dichiari, meno servizi ti do e più ti tasso, mentre meno dichiari, più avrai soldi e servizi. Il tutto in un Paese inefficiente che non ha neppure uno straccio di banca dati per sapere a chi vengono dati questi benefici. Un Paese che, quando un signore di 67 anni sconosciuto al fisco, si presenta per pretendere la pensione sociale e altre prebende nessuno gli chiede: ma finora di cosa hai campato? E questa domanda andrebbe fatta a più della metà della popolazione. E il merito? E i doveri? 

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

10/9/2020

L'articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera, L'Economia del 7/9/2020 
 
 

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