Post COVID-19, investire sulle infrastrutture per creare lavoro

I fondi europei rappresentano per il Paese un'importante occasione di intervenire su problemi gravi e finora irrisolti anche a causa della mancanza di risorse: non solo, un programma pluriennale di investimenti nelle infrastrutture consentirebbe di aggredire il crollo di occupazione all'orizzonte, ma al momento ancora mascherato da CIG e blocco dei licenziamenti

Alberto Brambilla e Claudio Negro

Nei primi tre mesi di pandemia conclamata i disoccupati “ufficiali”, secondo Istat, sono aumentati di 381.000 unità. Nel mese di maggio la popolazione disoccupata attiva, cioè quella che cerca attivamente lavoro e non lo trova, è cresciuta di 307.000 unità, ossia un numero grosso modo equivalente alle persone che hanno perso l'occupazione e non riescono a recuperarla. Numeri destinati a crescere moltissimo.

Sulla base dei dati diffusi INPS al 28 maggio, gli assegni di cassa integrazione - nelle varie forme - sono stati pagati (per oltre la metà anticipati dalle aziende) a 6.825.000 lavoratori, appartenenti a 1.176.000 imprese. Il che significa che circa il 35% dei lavoratori dipendenti è stato destinatario, ovviamente per diverse quantità e durata, di CIG. Il dato coincide con quello delle ore lavorate che, nel mese di aprile, secondo l’Ocse, erano scese del 28% rispetto a febbraio. Contestualmente, le assenze dal lavoro salgono dal 4,2% al 33,8%.

L'insieme di questi indicatori ci mostra come tra febbraio e aprile il lavoro sia calato grosso modo di un terzo. A maggio c'è stato un rimbalzo delle ore lavorate e del numero degli assenti che si dimezzano (16,4%, secondo Istat), in linea con un miglioramento della produzione industriale del 42,1% rispetto ad aprile, ma ancora di molto inferiore rispetto al trimestre precedente (-30%, sempre stando alle rilevazioni Istat). Del resto, a fronte dei dati relativamente migliori di maggio ci sono le pessime previsioni della Commissione Europea, che vede il nostro PIL scendere dell'11,2%, dell'Ocse che ipotizza - nella migliore delle ipotesi - in 1.115.000 la perdita di posti lavoro, e della stessa Istat che prevede a rischio di fallimento un terzo delle imprese.

Previsioni non inverosimili: nel primo trimestre, interessato solo parzialmente dal lockdown scattato tra fine febbraio e i primi di marzo, il calo del PIL è stato del 5,5%, ed è quindi plausibile che il dato annuo finisca per essere più vicino all'11% (come peraltro previsto dalle stime elaborate dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali lo scorso marzo) che al 9% stimato dall'Istat a inizio giugno. Dunque, 12,4% il calo del PIL nel secondo semestre e oltre 500mila i nuovi disoccupati rispetto al dato 2019. Se sarà così e nell’ipotesi che la crisi segua più o meno le dinamiche di quella 2008, è prevedibile che la perdita di posti lavoro si aggiri sul milione e mezzo (allora la perdita del 7% di PIL distrusse poco meno di un milione di posti) con grande difficoltà di ricollocazione quando terminerà la copertura offerta dalla cassa integrazione.

In particolare, l'allarme sul possibile fallimento di un altissimo numero di imprese riguarda soprattutto i comparti a bassa digitalizzazione e alta intensità di mano d'opera generica o a bassa qualificazione: turismo, ristorazione, commercio al dettaglio, servizi alle persone, dove infatti sono concentrati i numeri più alti di CIG e, considerate anche le perdite di fatturato, più problematiche sono le prospettive di ripresa. Qui sono concentrati oltre 1.200.000 cassintegrati, che ben difficilmente potranno tornare a lavorare quando terminerà la cassa integrazione e che potrebbero rappresentare una bomba sociale, se l'Italia non saprà attivare domanda di lavoro tramite investimenti. Il programma dei 500mila nuovi posti di lavoro nell’economia green annunciato dalla Ministra Catalfo, come pure il “fondo nuove competenze” abbinato a una riforma della cassa integrazione sembra in verità un libro dei sogni: difficile fare con uno schiocco tanti posti di lavoro, come inutile è il nuovo fondo sapendo che in Italia sono operativi oltre 110 fondi bilaterali per la formazione (già troppi). Quanto ai 5 milioni di posti salvati con la CIG ci sarebbe da discutere. Certamente più rapidi ed efficaci in termini di risposta occupazionale sono senz'altro i progetti finalizzati alle infrastrutture utilizzando una parte importante dei fondi europei, che a vario titolo arriveranno, e adottando criteri che garantiscano il carattere green e ESG dei progetti: una strategia che consentirebbe di centrare i target cui l'UE subordina l'impiego dei fondi. Tra l'altro, cogliendo così l'occasione per intervenire su problemi gravi e mai risolti per i quali avremo finalmente le risorse

Per valutarne l'impatto occupazionale si tenga presente che ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) calcola che ogni miliardo investito nella costruzione di grandi infrastrutture crea 17.000 posti di lavoro e un indotto di 3,5 miliardi. Queste le attività, peraltro urgenti, da cui ci si può aspettare anche il massimo ritorno in termini occupazionali e un effetto moltiplicatore dell'economia: in primis, il già teoricamente attivabile “Sblocca Cantieri” contenuto nel Decreto Semplificazioni che consente investimenti per circa 70 miliardi già stanziati e che, se affidati alla responsabilità di sindaci, presidenti di Regione o un loro alto dirigente esperto delegato, possono iniziare a essere spesi, creando subito nuova occupazione diretta e nell'indotto e permettendo dunque di attivare più di un milione di posti lavoro, da spalmare naturalmente sugli anni che occorreranno per realizzare le opere. Nella sanità pubblica i 37 miliardi del MES potrebbero andare in nuovi ospedali e ristrutturazione dei vecchi per 18-20 miliardi, in innovazione tecnologica per 4 miliardi, in assunzioni di personale per 5 (spalmati su 5 anni), in fondi alla ricerca per altri 5 miliardi. Tra edilizia, assunzioni di personale e indotto ci si può avvicinare, secondo alcune stime, alle 400.000 unità. Un altro comparto in cui investire approfittando delle risorse del Recovery Fund è quello dell'istruzione, più precisamente la sistemazione delle aule scolastiche con nuovi spazi e nuove protezioni sanitarie, nonché la mesa in sicurezza degli edifici che ne hanno bisogno: si sta parlando di 41.000 strutture fisiche, cui se ne possono aggiungere 16.000 che attualmente il Miur non utilizza. Difficile quantificare le ricadute occupazionali in questo caso, ma vale la pena rimandare alle valutazioni di ANCE precedentemente richiamate. Infine, c'è l'esigenza di adeguamento delle strutture carcerarie: circa 200 tra case per i detenuti in attesa di giudizio, case di reclusione per i detenuti condannati definitivamente, case di lavoro e colonie agricole per l’esecuzione delle misure di sicurezza.

Naturalmente, si tratta di un piano di durata pluriennale e quindi anche i risultati occupazionali saranno crescenti nel tempo. Tuttavia, fin da subito, consentirebbero di aggredire lo stock di disoccupati che si sta profilando e viene tenuto nascosto dalla cassa integrazione e dal divieto di licenziamento. Nell'edilizia, ad esempio, sono circa 500.000 gli interessati da CIG, e una gran parte di questi lavoratori potrebbe rientrare in servizio in tempi rapidi. Inoltre sarà possibile utilizzare risorse che oggi pagano la gente per stare a casa e nascondere una disoccupazione ormai evidente (parliamo di 4-5 miliardi al mese di cassa integrazione) per rimetterle in corsa nel mercato del lavoro, per esempio cessando i rapporti ormai senza futuro ed estendendo ai licenziati percettori di NASPI l'Assegno di Ricollocazione che, in una situazione resa dinamica dagli investimenti pubblici, avrebbe ottime possibilità di essere ben speso per una concreta ricollocazione.

Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

9/8/2020

 
 
 

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