Pressione fiscale e fiscal drag
Secondo gli ultimi dati Istat, la pressione fiscale è cresciuta nel 2024 di 0,8 punti percentuali: colpa del fiscal drag che, in tempi di inflazione, ha ridotto i redditi disponibili del 3,6% nell'arco di un decennio. A pesare sull'ultimo anno anche gli interventi del governo, mirati sì a ridurre le tasse ma soprattutto nei riguardi di chi, in verità, ne pagava già molto poche
Secondo i dati Istat, la pressione fiscale nel 2024 è aumentata dello 0,8%, arrivando al 40,5%. La pressione fiscale è data dalla somma di tutte le imposte e i contributi in rapporto al PIL e, dunque, dipende da molte cose che influenzano il numeratore e il denominatore. Ma noi sappiamo dal rapporto del Ministero dell'Economia e Finanze che lincremento è dovuto soprattutto allaumento dellIRPEF, pagata quindi in gran parte dal lavoro dipendente.
Il governo ribatte che la pressione fiscale è salita perché è salita loccupazione, ma seppure sia vero che loccupazione è salita e di molto, i redditi sono aumentati molto meno, di conseguenza il peso del lavoro (che è dato dal nunero degli occupati moltiplicati per il salario medio) è sceso in percentuale del valore aggiunto. Ovvero sono aumentati i posti di lavoro a reddito basso che pagano in proporzione poche o perfino zero tasse.
La pressione fiscale ha cominciato ad aumentare da fine 2023 ed è aumentata lungo tutto il 2024. Ciò non può essere dovuto allincremento delloccupazione poiché questo genera sì un incremento di reddito e quindi di gettito, ma lincremento di reddito si contabilizza anche nellincremento di PIL, che figura al denominatore del rapporto che definisce la pressione fiscale. La pressione fiscale può crescere solo se il salario medio aumenta, in tal caso vista la progressività del sistema di tassazione laumento del gettito, e quindi del numeratore, sarà maggiore di quello del denominatore.
Con i rinnovi dei contratti nel periodo 2021-2024 i salari sono aumentati ma laumento non è stato tale da recuperare linflazione e lIRPEF del lavoro dipendente e dei pensionati è aumentata più che proporzionalmente rispetto ai salari per via del sistema fiscale progressivo. Questo fenomeno che si chiama fiscal drag è alla base dellaumento della pressione fiscale complessiva.
Non cè da meravigliarsi, era prevedibile. LUfficio Parlamentare di Bilancio lo aveva già detto lanno scorso: tutte le misure introdotte negli ultimi anni per ridurre la pressione fiscale dagli 80 euro di Renzi al bonus da 100 euro di Gualtieri, fino alla decontribuzione di Draghi sono state polverizzate negli ultimi anni dallalta inflazione. E leffetto del fiscal drag ha ridotto i redditi disponibili del 3,6%.
La pressione fiscale non è salita quindi per via dellincremento delloccupazione, ma per qualcosa che il governo ha sempre provato a nascondere: il fiscal drag. Cioè il fatto che, in tempi di inflazione, le tasse crescono più dei redditi in maniera automatica. Ciò non avviene per tutti ma solo per i lavoratori dipendenti e i pensionati, e neanche per tutti i lavoratori dipendenti. Come ripete ormai da anni Itinerari Previdenziali, il 60% degli italiani dichiara meno di 15mila euro di reddito e di conseguenza paga solo l8% di tutta lIRPEF, che per i redditi del 2022 dichiarati nel 2023 ed elaborati nei mesi scorsi vale 189,5 miliardi; mentre il 15,27% che dichiara più di 35mila euro lanno paga il 63,4%.
Era già così prima dellinflazione e la situazione è peggiorata nell'ultimo triennio, in cui uninflazione cumulata del 17% drena a lavoratori dipendenti e pensionati circa 25 miliardi di euro sugli ultimi tre anni e continuerà farlo, se non si correrà ai ripari o indicizzando gli scaglioni e le detrazioni, o semplicemente tassando al netto dellinflazione e poi rivalutando limposta con il tasso di inflazione.
Nella Legge di Bilancio, il governo Meloni ha stabilizzato per 5 anni il taglio del cuneo fiscale, ha ridotto a tre le aliquote IRPEF. Ma il diavolo sta nel dettaglio. È vero che ha ridotto le tasse ma solo su chi già ne pagava poche o niente: sui lavoratori autonomi con il concordato preventivo biennale e sui lavoratori dipendenti sotto i 35mila euro di reddito. Evidentemente, il taglio delle tasse non è stato sufficiente a compensare laumento della pressione fiscale sui redditi medio-alti da lavoro dipendente.
Quando negli anni Settanta e Ottanta linflazione in Italia era alta, per un certo periodo lo Stato restituì in busta paga ai dipendenti il fiscal drag. Ciò non ha niente a che vedere con il meccanismo della scala mobile che indicizzava i salari e giustamente fu poi abolita. Per sterilizzare il fiscal drag, invece, si indicizzarono gli scaglioni IRPEF e le detrazioni allinflazione. Ci chiediamo perché il governo non abbia previsto ed evitato il fiscal drag: chi paga imposte progressive, dipendenti e pensionati, finisce per pagare più tasse di prima.
Prof. Marco Leonardi,
Componente Comitato Tecnico Scientifico Itinerari Previdenziali
17/2/2025