Cresce l'occupazione, cala la produzione

I dati Istat riferiti al mese di gennaio si confermano da record ma non privi di contraddizioni: all'alta occupazione corrispondono infatti salari modesti, scarsa partecipazione al mercato del lavoro e bassa produttività, cui fa da contrappeso un'enorme spesa assistenziale. Fino a quando questo delicato equilibrio potrà reggere?

Alberto Brambilla e Claudio Negro

La buona notizia è che, rispetto a dicembre 2024, a gennaio di quest’anno la crescita degli occupati si combina positivamente con una diminuzione sia dei disoccupati sia degli inattivi. I dati provvisori diffusi da Istat per il mese di gennaio indicano che gli occupati aumentano di 145mila unità rispetto a dicembre e di 513mila unità rispetto a un anno fa. Salvo qualche mese di piccola flessione (luglio 2023, gennaio e ottobre 2024), l’occupazione cresce ininterrottamente da 25 mesi portando il numero di occupati al record di sempre di 24 milioni e 222mila unità,  pari a un tasso di occupazione totale del 62,8%.

Il numero di occupati riprende dunque a crescere decisamente dopo i primi timidi segnali di ripresa seguiti al tonfo di settembre-novembre 2024. Contestualmente, diminuiscono i disoccupati dopo l’impennata di dicembre e questo contemporaneamente alla discesa degli inattivi, che segnala come nel concreto il mercato del lavoro abbia creato nuova occupazione reale. I disoccupati scendono al 6,3% del totale delle forze lavoro, pari a 1.621.000 unità, 81mila persone in più del record di novembre scorso (1.540.000). Resta ancora molto alto il numero degli inattivi (12.242.000), quasi stabile negli ultimi 30 mesi. Tra gli occupati 14 milioni sono maschi e 10,222 femmine. Il numero di disoccupati vede maschi e femmine quasi in parità, con una lieve prevalenza degli uomini. La crescita riguarda sia i dipendenti a tempo indeterminato, che raggiungono i 16 milioni e 447mila (+60mila unità), sia i dipendenti a tempo determinato, che ammontano a 2 milioni e 663mila (+34 mila), sia gli autonomi che aumentano di 51mila lavoratori, per un totale di 5 milioni 111mila. Quindi, ed è anche questa una notizia positiva, rispetto a dicembre aumentano i contratti a termine (+1,3%) e i lavoratori indipendenti, gli autonomi (+1%). Si tratta di un segnale che normalmente si associa a un’aspettativa di crescita delle imprese.

Nel 2024, a livello di macrosettori, l’occupazione è cresciuta in agricoltura di 4.800 unità nell’industria di 98.300, ma il boom si è avuto nei servizi con una crescita di 325.200 pari al 64% dell’intera crescita occupazionale, trainata dal turismo che, anche nei primi mesi del 2025, sta macinando risultati positivi. All’interno dei servizi il commercio ha visto crescere l’occupazione di circa 57mila unità, mentre nei servizi ricettivi e di ristorazione l’occupazione è cresciuta di 81mila unità e di circa 52mila unità nelle attività professionali autonome. Tuttavia, l’aumento del numero di posti di lavoro non si riflette in un altrettanto positivo miglioramento della produzione industriale. Infatti, nonostante aumenti l’input di lavoro, continua la flessione dell’output: la produzione industriale è calata del 3,5% nel corso del 2024, e l’RTT (Real Time Turnover Index, che rappresenta l’andamento del fatturato deflazionato e destagionalizzato) registra una esile crescita dello 0,2% a gennaio, del tutto insufficiente ad avvicinarci ai livelli del 2021. Peraltro, il 50% delle imprese prevede per il 2025 un andamento stabile e solo il 30% una crescita. Per il comparto dei servizi (turismo compreso), l’RTT è addirittura in calo del 2,7%. L’indice dei consumi (ICC) segna per gennaio un modesto incremento dello 0,3%, mai così basso nel 2023 e 2024. 

Da notare che il sistema delle imprese si aspetta, per quanto riguarda il mercato del lavoro, un andamento stabile per tutto il 2025. Le aziende hanno bisogno per febbraio di assumere 408mila persone, di cui il 36% sotto i 30 anni, il 14% laureate, il 28% col diploma di media superiore, il 36% col diploma professionale e il 20% con solo la scuola dell’obbligo. Tuttavia, come ormai abituale, circa la metà della domanda va a vuoto, in parte per mancanza di profili adeguati, ma in maggior parte per mancanza di candidature. Sicché ci troviamo nella paradossale situazione di avere 408mila posti di lavoro disponibili di cui la metà andrà inevasa, mentre restano 1.620.000 disoccupati alla ricerca di un lavoro e tra questi 725mila giovani! Questo paradosso mette a fuoco l’esigenza impellente di mettere mano alle politiche attive del lavoro e al sistema di istruzione-formazione; contestualmente, poi, fornisce una chiave di lettura dell’insolita coesistenza di una crescita occupazionale e di una produzione che resta ferma, se non decresce. Da un lato le imprese, a partire dalla ripresa dopo COVID, hanno puntato a resettare gli organici; successivamente, in fase calante, hanno scelto di consolidarli a fronte della difficoltà di incontrare i profili necessari sul mercato del lavoro, facendo ampio uso del contratto a tempo indeterminato. La tensione tra domanda e offerta di lavoro non ha prodotto, come prevede l’economia classica, un aumento dei salariperché, in realtà, “l’esercito di forza lavoro di riserva” esiste, ed è rappresentato da quei disoccupati che, per esempio, a febbraio in numero superiore alle 200mila unità non hanno risposto alle domande di lavoro delle imprese. Per non parlare degli oltre 12 milioni di inattivi che abitano il nostro Paese. E ciò rende possibile quel gioco di equilibrismo per cui all’alta occupazione corrispondono scarsa partecipazione al mercato del lavoro, salari moderati e bassa produttività, cui fa da contrappeso un’enorme spesa assistenziale statale. Tra i 15 e 24 anni abbiamo il 75,6% dei giovani che risult inattivo mentre il 18,7% sono disoccupati (in pratica sono pochi quelli che lavorano), e tra i 25 e 34 anni il 23% è inattivo mentre quasi il 10% è disoccupato. A fronte di questa mancanza di offerta una parte molto rilevante della ristorazione, ricettività e commercio, ma anche della logistica, della distribuzione e spesso della manifattura, è sostenuta da un gran numero di lavoratori stranieri regolari ma, in molte realtà, purtroppo anche irregolari, che si “accontentano” di salari modesti e spesso ai margini della contrattazione collettiva e che, appena pretendono qualche giusto diritto, vengono sostituiti dai nuovi immigrati. E questo è uno dei motivi, se non il principale, dei bassi salari italiani. 

E così grazie al fatturato dei servizi e agli stranieri, il nostro Paese, con una crescita 2024 del PIL dello 0,7% scarso, sbarca il lunario: il nuovo miracolo italiano?

Alberto Brambilla, Presidente Centro studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali​ 

17/3/2025

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche