Crescita o Dignità? Se il lavoro continua soffrire il ristagno dell'economia

A distanza di mesi della sua entrata in vigore, quello sul Decreto Dignità si conferma un giudizio in chiaroscuro: fallito il tentativo di modificare in forza di legge l'approccio delle imprese al mercato del lavoro, sul quale continua a gravare il ristagno dell'economia italiana 

Claudio Negro

I dati dell'Osservatorio INPS relativi al mese di marzo consentono un focus abbastanza significativo sull'andamento dei contratti stabili e di quelli a termine e, di conseguenza, una valutazione di una certa precisione sugli effetti del Decreto Dignità sul mercato del lavoro. 

Partiamo però innanzitutto dai dati di stock (fonte ISTAT – Occupati e Disoccupati): il numero dei lavoratori permanenti in 12 mesi è sceso di 1.000 unità e, addirittura di 17.000, se il confronto viene fatti con maggio 2018, quando si raggiunse il numero più alto di contratti stabili. Parallelamente, i lavoratori a termine sono aumentati di 65.000 unità rispetto a marzo 2018, ma diminuiti di circa 3.000 rispetto alla media del secondo semestre 2018. Vediamo ora i dati di flusso (avviamenti al lavoro e cessazioni – dati INPS): gli avviamenti sono in calo rispetto a quelli del corrispondente periodo del 2018 (meno 93.000 nel mese e meno 190.000 nel trimestre). Ricordiamo che si tratta di dati di flusso, non di saldi di stock: ciò significa soltanto che le nuove assunzioni diminuiscono, non che diminuisce l'occupazione.

Ma vediamo la dinamica dei contratti a tempo indeterminato: le nuove assunzioni sono state 1.400 in meno rispetto a marzo 2018. Si osserva del resto un sensibile calo degli avviamenti a tempo indeterminato, dai 120.000 medi al mese dei primi 5 mesi di applicazione del Decreto Dignità (settembre 2018 – gennaio 2019) ai 107.000 di febbraio e 103.000 di marzo.

Ma c'è un altro dato che merita di essere evidenziato. Considerando i dati di flusso di marzo vediamo che le nuove assunzioni sono state 103.000 e le cessazioni 130.000: un saldo negativo, che viene riportato in attivo soltanto dalle 48.000 trasformazioni di contratti a termine in contratti stabili. Si sta cioè parlando di 48.000 persone che erano già occupate benché a tempo determinato, tanto che se è vero che la qualità dei loro contratti è certamente migliorata, lo è altrettanto che il saldo occupazionale, per quanto concerne il bilancio nuove assunzioni-cessazioni, è negativo. Il che ancora una volta non significa, ovviamente, che cala l'occupazione: il dato di stock (ISTAT) è positivo per 44.000 unità (guarda caso, un valore quasi esattamente corrispondente al numero delle trasformazioni); significa però che le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono inferiori alle cessazioni.

I dati di flusso dei contratti a termine mostrano che a marzo il rapporto assunzioni-cessazioni di questi contratti era positivo per oltre 10.000 unità, mentre calano sensibilmente i contratti di somministrazione (meno 5.800) che sono, tra tutti, i contratti a termine più garantisti per i lavoratori (e costosi per le aziende), concentrati quasi totalmente nelle imprese più grandi. Un dato quest'ultimo da considerare con attenzione, perchè l'andamento della somministrazione abitualmente anticipa l'andamento occupazionale dei mesi successivi e che, pertanto, farebbe pensare a una certa mancanza di fiducia delle imprese per l'immediato futuro.

Altro dato meritevole di attenzione: la variazione tendenziale (rispetto a 12 mesi fa) del totale delle nuove assunzioni è positiva: + 350.000. Si tratta però del dato più basso da aprile 2017. Non solo, il 38% dei nuovi contratti a tempo indeterminato relativi al primo trimestre 2019 sono part-time, a testimonianza di una dinamica occupazionale ancora incerta e che, soprattutto, non fa crescere le ore lavorate. 

In conclusione, appare evidente che il Decreto Dignità non ha avuto nessuna funzione di stimolo all'occupazione, che resta stabile quanto ai dati di stock ma vede calare le nuove assunzioni. 

Chiaramente, questo quadro risente fortemente del ristagno dell'economia negli ultimi mesi. Tuttavia, il Decreto Dignità pare aver avuto scarso successo anche in quello che doveva essere il suo target, lo spostamento della assunzioni dai contratti a termine a quelli a tempo indeterminato. Come visto, infatti, le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono inferiori a quelle di 12 mesi fa (cioè prima dell'entrata in vigore del Decreto) e lo stock di contratti stabili in essere non cala solo per effetto delle trasformazioni di precedenti contratti a termine: un dato, quest'ultimo, che difficilmente può essere considerato un  un successo attribuibile al decreto, perché semmai derivante da una pratica sempre largamente attuata dalle aziende, le quali spesso introducono in organico un nuovo lavoratore con un contratto a termine più eventuali rinnovi/proroghe in funzione di lungo periodo di prova, cui segue poi la stabilizzazione. Negli ultimi 6 anni il numero delle trasformazioni è infatti variato da un massimo mensile di 41.000 a un minimo di 27.000.

Infine, i contratti a termine, la cui marginalizzazione era uno dei principali obiettivi del Decreto: sono in leggero calo (nel primo trimestre 2019 73.000 in meno rispetto al 2018), ma sono ancora la forma contrattuale più usata per le nuove assunzioni, oltre il 43% del totaleIn sostanza, pare essere fallito il tentativo di modificare in forza di legge l'approccio delle imprese al mercato del lavoro.

Claudio Negro, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali e Fondazione Anna Kuliscioff

11/6/2019

 
 

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