Lavoro, buoni i dati di giugno ma attenzione all'occupazione giovanile!
Trainata soprattutto dai lavoratori senior (fascia 50-64 anni), prosegue a giugno la crescita dell'occupazione italiana: se nel complesso i numeri sono buoni, proprio un'analisi più dettagliata della variabile anagrafica evidenzia alcuni grandi elementi di vulnerabilità del nostro mercato del lavoro
I dati diffusi da Istat sul mercato del lavoro nel mese di giugno (in attesa della rilevazione semestrale) presentano valori generalmente positivi, senza particolari discontinuità rispetto a quelli degli ultimi 30 mesi. Un trend che sollecita commenti a volte eccessivamente entusiasti, soprattutto quando - nel celebrare nuovi ruoli mondiali per lItalia ignorano numeri che suggeriscono un futuro più difficile rispetto allottimismo ufficiale.
Se si applica questo metodo di lettura ai dati di giugno, si trovano infatti alcuni indicatori che suggeriscono riflessioni normalmente trascurate. Il primo riguarda landamento della disoccupazione, che cala di 71.000 unità rispetto a maggio (-0,2%); contemporaneamente, aumentano però di 69.000 unità gli inattivi (+0,2 punti percentuali), cioè coloro che non lavorano e non cercano lavoro, suggerendo che i disoccupati siano calati solo perché hanno cessato di cercare impiego. È ovvio che il dato relativo a un unico mese non può considerarsi tendenziale, ma va comunque tenuto in considerazione perché potrebbe essere un indice di irrigidimento del mercato del lavoro.
Ancor più significativi sono i tassi di occupazione, disoccupazione e inattività articolati per singole fasce detà. Nella fascia più giovane (15-24 anni), il tasso di disoccupazione è del 20,8%, il che non sorprende troppo, visto che in questo raggruppamento anagrafico sono presenti soggetti ancora informazione o appena usciti da percorsi formativi; è tuttavia preoccupante che nellultimo anno il tasso di inattività sia salito dell1,2%, a testimoniare un problema irrisolto di avvicinamento dei giovani al mondo del lavoro nonostante gli incentivi contributivi e fiscali varati negli ultimi anni. La fascia 25-34 trascina con sé parte dei problemi di quella più giovane, ma soprattutto presenta un tasso di inattività cresciuto di 0,2 punti nellultimo anno. La fascia 35-49 anni, come è lecito aspettarsi, presenta invece un tasso di occupazione molto alto (77,2%) ma, al contempo, anche una tendenza che comincia a essere negativa: un lieve calo del tasso di disoccupazione e di occupazione corrisponde a unanaloga crescita del tasso di inattività, peraltro concentrata quasi interamente nellultimo mese.
Presenta infine numeri tutti positivi la fascia più anziana della popolazione. Il tasso di occupazione è superiore a quello medio (67,2%) e in crescita nellultimo anno (+2,5%), mentre risultano in calo sia la disoccupazione sia, soprattutto, il tasso di inattività (-2,2%). Da notare che questo raggruppamento anagrafico rappresenta di gran lunga la maggioranza degli occupati (42,4%), con retribuzioni medie nettamente superiori a quella delle altre fasce di età: la retribuzione media dei lavoratori under 30 è del 36,4% inferiore a quella dei lavoratori over 50. Unultimissima nota: a questultima fascia di occupati vanno aggiunti circa 780.000 lavoratori di età superiore ai 65 anni.
Naturalmente tutti questi elementi non rappresentano una novità assoluta (ad esempio, è comunque plausibile o facilmente spiegabile il perché un lavoratore senior possa guadagnare più di un lavoratore appena entrato nel mercato del lavoro) ma, pur non sorprendenti, vanno valutati da un diverso punto di vista: essi costituiscono il rovescio della medaglia, che siamo abituati a deprecare, allorché si parla di occupazione giovanile. Questultima è certamente lelemento più critico del nostro mercato del lavoro, caratterizzato da percorsi formativi incongruenti con la domanda di manodopera e dallassenza di politiche attive del lavoro favoriscano lincontro tra domanda e offerta, con la conseguenza paradossale di un mismatch che provoca, da una parte, disoccupazione e sottoccupazione e, dallaltra, la fuga dallItalia dei giovani più qualificati.
Ma ciò detto, e ribadito che questa è la questione cruciale, va anche precisato che, sul versante opposto, loccupazione senior presenta elementi positivi che sarebbe sbagliato non valutare e potenziare. Innanzitutto, per la stabilità occupazionale: nella fascia più anziana, per la quale la transizione da un impiego a un altro non supera il 3%, il contratto a tempo indeterminato è la regola, con eccezioni marginali. E, in secondo luogo, in termini di equilibri economici complessivi: la tranquillità occupazionale e le retribuzioni più alte della media costituiscono potenzialmente unalternativa alla corsa alla pensione, e sono un elemento importante dei redditi familiari. Si tratta cioè di un (raro) caso di occupazione senza grossi problemi, decentemente retribuita e sicura: senza compiacimenti eccessivi, sarebbe però a questo punto opportuno domandarsi se non potrebbe essere utile un programma di politiche finalizzate ad aggiornare le competenze dei lavoratori, per allontanare lobsolescenza rispetto allinnovazione tecnologica (non mancano, del resto, gli strumenti a disposizione di aziende e sindacati: i fondi interprofessionali e il Fondo nuove competenze). Così come risulterebbe altrettanto utile e necessaria lerogazione, anche attraverso i fondi sanitari, di prestazioni di welfare fisico-psicologico.
Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff
e Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
7/8/2025