L'Italia è un Paese per vecchi? Le sfide dei giovani tra divario generazionale e mismatch

Le ultime analisi Istat restituiscono la fotografia di un Paese dove gli under 35 sono marginalizzati nel mercato del lavoro, che manifesta debolezza nel riuscire ad assorbire il giovane capitale umano, vittima a sua volta di evidenti falle nel sistema di istruzione-formazione e sempre più ostacolato nel raggiungimento dell’autonomia familiare

Federica Cirone

Il Rapporto Annuale Istat 2025 evidenzia in dettaglio le trasformazioni demografiche, sociali ed economiche dell’Italia, che conta circa 59 milioni di residenti e registra un tasso di crescita naturale tra i più bassi in Europa, con una popolazione in costante calo. D’altro canto, il Paese si conferma tra i più longevi al mondo, con una crescente percentuale di anziani, in particolare quelli sopra gli 80 anni, grazie a un’aspettativa di vita decisamente migliorata. 

Sul fronte familiare, si registra un aumento dei nuclei, che raggiungono i 26,4 milioni nel 2023-24, ma se ne riducono le dimensioni medie: 2,2 persone per famiglia. Le famiglie monocomponenti e le coppie senza figli sono sempre più diffuse, anche a causa delle difficoltà economiche, lavorative e abitative che ostacolano l’autonomia dei giovani. Un dato emblematico: oltre il 67% degli uomini e il 58% delle donne tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori. Questa dipendenza, oltre a rallentare l’uscita di casa, ha ricadute dirette sulle scelte di vita, concorrenti al costante calo della natalità. A bilanciare parzialmente il declino demografico è il saldo migratorio positivo (+244mila), cui però fa da controaltare una costante emigrazione di giovani qualificati: circa 97mila laureati tra i 25 e i 34 anni si sono trasferiti all’estero nell’ultimo decennio, con una significativa perdita di capitale umano.

Figura 1 – Movimenti migratori con l’estero dei giovani italiani laureati (25-34 anni)

Figura 1 – Movimenti migratori con l’estero dei giovani italiani laureati (25-34 anni)

Fonte: Rapporto Annuale Istat 2025

 

Le dinamiche del mercato del lavoro italiano: quale “posto” per i più giovani? 

Sul versante occupazionale, a conferma di quanto emerso negli aggiornamenti periodici Istat, l’Italia tocca il proprio record con 23,9 milioni di occupati, ma continua a presentare uno dei tassi di partecipazione più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. Da pesare, di conseguenza, anche la crescita del tasso di occupazione, salito al 62,2%: lavora il 71,1% degli uomini e il 53,3% delle donne. Permane dunque un forte divario di genere, cui se ne aggiunge un altro ancora più marcato sul piano generazionale: il 40,6% degli occupati ha più di 50 anni, +12,5% rispetto al 2019. Anche come conseguenza delle dinamiche demografiche, e dei suoi riflessi su innalzamento dell’età di pensionamento e allungamento delle carriere professionali, il tasso di occupazione cresce soprattutto tra gli individui di 45-54 anni (+1,3% in un anno) e, in misura leggermente maggiore, tra quelli di 55-64 anni (+1,7%); più contenuto invece l’aumento per gli individui con età compresa tra 25 e 44 anni, mentre per i giovani di 15-24 anni il tasso di occupazione subisce un calo di 0,7 punti. Rispetto al 2019, invece, le curve per età evidenziano un aumento per tutte le classi, sia per gli uomini sia per le donne, e in particolare per la classe di età 25-34 anni (+ 6 punti) e per quella più anziana di 55-64 anni (+4,9 punti). 

Sul lato opposto, si riduce costantemente il tasso di disoccupazione (6,9%), ancora superiore però alla media europea (5,9%): l’Italia, nel 2024, resta un Paese a elevata disoccupazione giovanile, per un tasso pari al 20,3%. Allo stesso modo, il tasso di inattività generale (33,4%) resta il più alto dell’UE27 (24,6%), con picchi maggiori tra le donne (42,4%), ben sopra la media europea, e proprio tra i giovani. Anche guardando alle dinamiche di medio periodo (2019-2024), il quadro italiano non migliora: caso unico in Europa, l’inattività tra i giovani è aumentata, attestandosi al 20,3%, quasi esclusivamente per effetto dell’incremento riguardante la componente femminile, che d’altro canto risulta partecipare maggiormente al sistema di istruzione. 

Nel complesso, i numeri descrivono dunque una progressiva stagnazione nella composizione degli occupati che concorre alla crescente marginalizzazione dei giovani.

 

Il ruolo dei percorsi di istruzione e formazione 

Anche il sistema educativo italiano continua a mostrare segnali di ritardo rispetto ai valori europei: solo il 65,5% degli adulti (25-64 anni) possiede almeno un diploma di scuola superiore, contro il 79,8% della media UE. La percentuale di laureati si ferma al 21,6%, a fronte del 35,1% europeo. Anche concentrandosi sulle sole fasce più giovani (25-34 anni), il livello complessivo di istruzione resta mediamente inferiore rispetto alle maggiori economie europee, sia per la percentuale ancora elevata di giovani con al più la licenza media sia per la bassa quota di laureati in parte riconducibile alla scarsa diffusione in Italia dei titoli terziari brevi a carattere professionalizzante (erogati dagli Istituti Tecnologici Superiori), molto più diffusi in Paesi europei come Francia e Spagna.

Nonostante alcuni miglioramenti, l’istruzione resta poi fortemente condizionata dal contesto socio-economico, con divari legati al genere, alla cittadinanza e al territorio, che si ripercuotono anche sulla dispersione scolastica, con il 9,8% dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandona precocemente gli studi.

Figura 2 - Persone di 25-34 e 25-64 anni nelle maggiori economie europee per titolo di studio (anno 2023)

Figura 2 - Persone di 25-34 e 25-64 anni nelle maggiori economie europee per titolo di studio (anno 2023)

Fonte: Rapporto Annuale Istat 2025

Da sottolineare la stretta correlazione tra titolo di studio e occupazione: tra i laureati di 30-34 anni, l’84% lavora (ma l’UE è sopra l’89%) e tra i diplomati il tasso scende al 73% (contro l’81% europeo). Tuttavia, l’Italia fatica ancora nell’assorbire il proprio capitale umano: i giovani laureati trovano difficoltà ad accedere al mercato del lavoro e spesso emigrano. Nel decennio 2014-2023, l’Istat osserva di fatto un costante aumento dei giovani italiani che scelgono di stabilirsi all’estero, a fronte di un numero di rientri limitato, tanto che dell’oltre milioni di italiani che ha scelto di espatriare nel periodo in esame circa un terzo (367mila) sono giovani tra i 25 e i 34 anni, di cui quasi 146mila laureati al momento della partenza. Sul fronte opposto, i rimpatri nello stesso periodo di 25-34enni sono stati circa 113 mila, di cui poco più di 49 mila laureati, con una perdita netta di circa 97mila unità nel decennio. Un significativo deficit di capitale umano qualificato. 

Chi resta, frequentemente non lavora, né studia: sebbene in calo, i cosiddetti NEET rappresentano  nel 2024 ancora il 15,2% dei giovani (con punte del 23,3% del Mezzogiorno), ben al di sopra della media europea (11%). Nel dettaglio, circa un terzo dei NEET è disoccupato, un altro terzo è disponibile a lavorare ma non cerca attivamente un’occupazione mentre un ultimo terzo non cerca lavoro né tantomeno è disponibile a lavorare. Interessante inoltre notare che la condizione di NEET riguarda il 6% dei giovani 15-19enni, classe di età che dovrebbe essere in larga parte ancora impegnata nel sistema di istruzione e formazione. 

 

L’Italia non è un Paese per giovani? 

Si delinea così un mercato del lavoro duale: da un lato, una parte della popolazione che riesce a integrarsi nel sistema produttivo; dall’altro, un’ampia fascia – soprattutto giovani, donne e persone poco qualificate – che ne resta esclusa. La situazione si complica ulteriormente per l’emergere del mismatch tra domanda e offerta: nel gennaio 2024, delle quasi 500mila assunzioni previste dalle aziende, quasi la metà non è stata concretizzata, per difficoltà nel reperire le figure richieste, anche tra i profili meno qualificati. In particolare, il 48,2% delle posizioni è risultato di difficile coperturacoinvolgendo sia professioni altamente specializzate (ingegneri, analisti IT, tecnici industriali) sia operai qualificati (saldatori, manutentori, fonditori).

Le imprese più colpite dal mismatch si concentrano nei settori della metallurgia, meccatronica, costruzioni, tessile e legno-arredo, con difficoltà di reperimento più accentuate nel Nord-Est Italia (52,2%). Questo squilibrio tra offerta e domanda riflette le carenze strutturali delle politiche attive del lavoro e del sistema di formazione italiano, incapace di allineare percorsi scolastici e universitari alle effettive esigenze del tessuto produttivo. Un esempio evidente è fornito dall'Osservatorio Excelsior-UnionCamere: a fronte di 408mila posizioni lavorative disponibili, si stima che la metà rimarrà scoperta, nonostante si contino 1.620.000 disoccupati (di cui 725mila giovani), segno di un sistema inefficiente nel facilitare l’incontro tra chi cerca lavoro e chi lo offre, che si ripercuote sull’appeal, e sullo sviluppo,dell’intero Paese.

Serve dunque rielaborare il sistema di istruzione-formazione, al fine di riuscire contestualmente a livellare il rapporto paradossalmente decrescente tra crescita occupazionale e produzione stagnante, contenere il fenomeno dei NEET – i giovani che non studiano e non lavorano, ovvero il 15,2% del totale: una quota in calo di 7 punti percentuali nell’ultimo quinquennio, che rimane al di sopra del valore medio europeo (+4,2 punti) e seconda solo alla Romania – e trattenere tutto quel capitale umano in uscita, tanto attratto dall’estero. E se i giovani restano in Italia, mettono su famiglia in Italia, dando una scossa positiva anche al tanto discusso tasso di natalità, mettendo a tacere la diceria secondo cui l’Italia sarebbe – solo – un “Paese per vecchi”. 

Federica Cirone, Itinerari Previdenziali

17/6/2025

 
 
 

Ti potrebbe interessare anche