Lavoro, siamo davanti al pericolo di una stagnazione?

Dopo un 2023 da record, i dati sull'occupazione di gennaio fanno segnare una leggera flessione: il mercato del lavoro si sta assestando dopo la rapida ripresa post COVID ma ci sono diversi elementi da non sottovalutare se si vuole evitare il rischio stagnazione...

Claudio Negro

I dati Istat sull’occupazione nel mese di gennaio confermano una leggera tendenza alla flessione che già si era manifestata a dicembre 2023: gli occupati diminuiscono di 34.000 unità, per effetto soprattutto del calo dei lavoratori autonomi (-24mila). Interessante è però notare le dinamiche che nel gruppo dei lavoratori dipendenti hanno determinato una flessione, a dir la verità leggerissima (10mila unità) dell’occupazione. Una flessione che è innanzitutto effetto della combinazione tra un aumento dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato (+5mila) e una diminuazione di quelli a termine (-15mila). Notizia per un verso positiva, perché conferma una tendenza in atto da molti mesi alla stabilizzazione dell’occupazione, nonostante le geremiadi di Landini e dei suoi alleati; dall'altra parte, però, questi numeri potrebbero essere interpreati come la spia del fatto che anche l’economia si sta stabilizzando. Di conseguenza, anche l'occupazione tende a non crescere più, o comunque a crescere meno di prima.

Un’altra osservazione nel merito è che le imprese sono preoccupate di fidelizzare i dipendenti per almeno due ragioni, non necessariamente inscindibili): la prima riguarda la difficoltà a trovare profili professionali adeguati, dove per adeguati si intende non necessariamente altissimi ma competenti, come certifica ogni mese l’Osservatorio Excelsior-Unioncamere che denuncia un mismatch costante tra domanda e offerta di lavoro pari a circa il 50%. In secondo luogo, va ricordato il bisogno di input di forza lavoro di cui hanno bisogno le imprese per ovviare alla scarsa innovazione e alla bassa produttività, soprattutto nel terziario. Paradossalmente, siamo di fronte a un’economia che, con l’eccezione di qualche comparto manifatturiero, crea occupazione, peraltro modestamente retribuita, come rimedio a una produttività che non cresce. Il che lascia intravedere un futuro complicato nel quale occorrerà decidere se l'Italia vuole competere sul terreno dell’innovazione o su quello del basso costo del lavoro. O, forse, il rischio sarà quello di un Paese spaccato in due, con aree che competono con l’Occidente industriale e zone che viveversa competono con i Paesi in via di sviluppo.

Ci sono però altri aspetti di queste dinamiche che vale la pena approfondire: la prima è che l’occupazione cresce tra le fasce di popolazione più anziane (over 35) e cala in quelle più giovani (under 35). Questo è in gran parte un effetto ottico dovuto all’invecchiamento della popolazione, ma il calo occupazionale nella fascia più giovane è un gran brutto segnale dopo oltre un anno di crescita non clamorosa ma continua. Il saldo tendenziale, ossia in ragione d’anno, è infatti ancora positivo. Nota confortante è quella riguardante l’occupazione femminile, che continua a crescere: +15mila e +1,9% tendenziale, ben superiore all’1,3% maschile. Non disponiamo tuttavia ancora di informazioni sufficienti a stabilire quanta di questa occupazione sia part-time, bug che spesso (soprattutto in caso di part-time involontario) declassa l’occupazione femminile.

Da valutare con attenzione, infine, le dinamiche che portano alla definizione del tasso di disoccupazione, fermo a fennaio al 7,2%. Nei dintorni si muovono molte cose: la disoccupazione aumenta tra le donne e la popolazione over 50, ma questo dato si motiva con il fatto che in queste fasce cresce il tasso di attività, quindi più gente cerca lavoro. In generale, il tasso di inattività (chi non lavora e non cerca lavoro) aumenta di 0,2 punti, confermando una tendenza che, pur con cifre modeste, è attiva da qualche mese. Il che illustra, come gli altri dati considerati sopra, un calo di attività del mercato del lavoro.

In sintesi, pare ragionevole ritenere che la clamorosa ripresa produttiva e occupazionale del dopo COVID sia terminata e ci lasci alle prese con un mercato marchiato da quattro gravi problemi: un’incapacità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, entrambe forti ma non comunicanti; un sistema produttivo in gran parte fondato sull’intensità di manodopera e quindi su bassi salari; una totale assenza di politiche attive; un invecchiamento costante della forza lavoro e un insufficiente ricambio generazionale.

Problemi che non spetta ovviamente all’Istat risolvere, quanto piuttosto alla politica, ai sindacati e alle organizzazioni imprenditoriali. Occorre però fare in fretta, prima che questa situazione di sostanziale assestamento diventi stagnazione…

 Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e
Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

11/3/2024

 
 

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