Quali politiche in favore dell'active ageing?

L’Italia, rispetto ai principali Paesi europei, non ha che mosso i primi passi verso politiche concrete in favore dell’active ageing: alla luce dell'inesorabile invecchiamento della popolazione, quali le strategie da adottare per ripensare in modo strategico il ruolo dei lavoratori over 50?  

Gabriele Fava

L’attuale contesto europeo si confronta col fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione, a cui si accompagna una progressiva riduzione della popolazione giovane e di quella in età adulta. Tali cambiamenti demografici, ormai parte di un trend che sicuramente accompagnerà le nostre società per molti anni, dovrebbe comportare una ristrutturazione progressiva dell’economia col fine di spostare strutture produttive, strutture di welfare e consumi dai giovani (in netta e costante diminuzione) verso le fasce più anziane della popolazione. In Italia, così come in buona parte dell’Unione Europea, l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro è conseguenza di due principali fattori: da un lato, l’aumento della speranza di vita e dall’altro, la parallela diminuzione del tasso di natalità, dopo i risultati record registrati negli anni Cinquanta e Sessanta.

I dati sulle future tendenze in merito all’invecchiamento della popolazione italiana evidenziano la necessità di ripensare il ruolo dei lavoratori over 50 all’interno di un mercato del lavoro che, a causa dell’aumento della speranza di vita e del recente innalzamento dell’età pensionabile, dovrà confrontarsi, nei prossimi anni, con una sempre maggiore presenza di lavoratori con più di 45/50 anni. In questo quadro, è dunque necessario progettare politiche attive per promuovere il cosiddetto active ageing, ovvero forme di invecchiamento attivo della popolazione.

La gestione del lavoratore over 50, infatti, richiede urgenti interventi focalizzati su due principali elementi: da un lato, si deve intervenire al fine di rendere il posto di lavoro più adatto ai lavoratori più anziani modificando l’organizzazione del lavoro, innovandola profondamente; dall’altro, bisogna operare in modo che il lavoratore anziano riesca ad acquisire tutte quelle skills a oggi necessarie, in primis  quelle digitali, sempre più centrali alla luce della quarta rivoluzione industriale in atto. A riguardo, per prima cosa, andrebbe potenziato lo strumento del welfare aziendale nell’ottica di favorire la salute e il benessere dei lavoratori anziani prevedendo, ad esempio, pacchetti di servizi di check up e di controllo periodico di tipo preventivo, o lo sviluppo di iniziative per incentivare nei dipendenti stili di vita più salutari e le attività fisiche.Unitamente alle misure di welfare anzidette, poi, è di primaria importanza una riorganizzazione del posto di lavoro (il cosiddetto Job-redesign), ripensando l’organizzazione imprenditoriale e produttiva creando un ambiente più favorevole ai lavoratori senior, con diminuzione dello sforzo fisico sopportato dai lavoratori, specie nelle mansioni caratterizzate da forte ripetitività.

All’interno delle politiche di active ageing, inoltre, dovrà essere adeguatamente riorganizzato, non solo l’ambiente di lavoro, ma anche, e soprattutto, le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, con una decisa propensione alla flessibilità dei tempi, dei luoghi e dell modalità di lavoro con l’obiettivo di migliorare il bilanciamento tra vita privata e lavoro. In aggiunta al recentemente approvato lavoro agile (smart working), si dovrebbe puntare sulla modulazione dell’orario giornaliero e settimanale con scelte di flessibilità personalizzate, al quale affiancare la possibilità, per i lavoratori senior, di ridurre l’orario di lavoro (tramite il ricorso, ad es. al part-time) nei periodi immediatamente precedenti al pensionamento.

Una maggior presenza di lavoratori senior in azienda, inoltre, si accompagnerà all’esigenza di sfruttare adeguatamente il know how dagli stessi posseduto, con l’obiettivo di trasferire tali capacità e tali conoscenze ai dipendenti più giovani. A riguardo, infatti, il ruolo dei lavoratori prossimi alla pensione dovrà essere valorizzato col fine di facilitare scambi di esperienze e di competenze attraverso team di lavoro con composizione diversificata per età nei quali poter sfruttare i lavoratori in questione quali tutor in grado di creare valore aggiunto grazie alla loro professionalità.

Da ultimo, la crescente presenza di lavoratori senior, per i quali è necessaria una intensa opera di re-skilling e up-skilling al fine di adeguare le competenze dagli stessi posseduti al costante mutamento tecnologico in atto, deve spingere le politiche attive per il lavoro, da una parte, verso modelli di formazione professionale continuativa on the job e, dall’altra, verso forme di assistenza alla ricollocazione realizzate tramite il supporto di una formazione mirata e su misura.

L’Italia, rispetto ai principali partner europei, non ha che mosso i primi passi verso politiche concrete in favore dell’active ageing. Si rende dunque necessario, prendendo in considerazione le best practices europee (la Germania su tutti), avviare un processo virtuoso nel quale, da una parte, lo Stato concentri i propri sforzi verso politiche tese a favorire l’invecchiamento attivo della popolazione e, dall’altro, le imprese concretizzino tali politiche attraverso un sapiente ripensamento dell’organizzazione produttiva.

Gabriele Fava, Socio Fondatore e Presidente dello Studio legale Fava & Associati​

12/3/2018

 
 
 

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