Occupazione, i dati sono positivi ma serve un salto di qualità

I numeri sull'occupazione a giugno 2024 sono nel complesso positivi ma, se ben analizzati, evidenziano come il nostro mercato del lavoro abbia bisogno (anche per recuperare il gap con l'Europa) di un deciso salto di qualità, a cominciare dal sistema di formazione-collocamento

Claudio Negro

Il report Istat sul mercato del lavoro a giugno segna una lieve ripresa rispetto all’altrettanto lieve flessione nella prima parte del trimestre: l’occupazione sale dello 0,1% rispetto a maggio, pari a 25mila "teste" in più; il tasso di occupazione cresce al 62,2% (+0,1%) e, nella stessa percentuale, sale anche il tasso di disoccupazione (+23mila unità). Si tratta in ogni caso di un dato positivo, perché coincide con una diminuzione del tasso di inattività (-0,1%pari a –41mila "teste"): aumenta cioè il numero delle persone che cercano lavoro e, com'è naturale, una parte non lo trova. In linea di massima, siamo comunque davanti a un indice di fiducia rispetto alla possibilità di trovare occupazione.

Altro dato positivo è quello relativo alla stabilità del lavoro: tra i lavoratori dipendenti quelli con contratti a tempo indeterminato (+39mila unità, pari a +0,2%) aumentano significativamente, mentre altrettanto significativamente calano quelli con contratto a tempo determinato (- 58mila, pari al -2,1%). E questa forbice tra aumento dei contratti stabili e diminuzione di quelli a termine si apre quanto più è ampio il periodo preso in considerazione: rispetto al primo trimestre i primi sono aumentati di 126mila unità (+0,8%) e i secondi calati di 44.000 (-1,5%); rispetto a 12 mesi fa +465mila (+3%) i contratti stabili e –249mila (-8,3%) quelli a termine. Sarebbe bene aver sempre in mente queste statistiche quando si discute con sindacalisti che predicano il trionfo della precarietà…

Tutti numeri positivi ma, se si guarda nelle pieghe del documento Istat, vien fuori qualcosa di segno diverso o almeno che richiede approfondimenti: il numero totale degli occupati, come detto, fa segnare l’ennesimo record, ma soltanto grazie alla grossa crescita degli autonomi (+44mila rispetto a maggio). I dipendenti calano di 19mila unità, e non è di conforto che il calo sia dovuto esclusivamente all’andamento rovinoso dei contratti a termine. Un dato che non può ispirare catastrofismi, ma che si combina con una flessione degli indici della produzione industriale che prosegue e accentua quella verificatasi nel primo trimestre. Gli unici settori che crescono sono la chimica e l’alimentare, mentre calano molto la fabbricazione di mezzi di trasporto e il tessile-abbigliamento, che per la nostra industria sono fondamentali. L’OCSE afferma che la crescita occupazionale italiana a fine 2024 sarà dell'1,2%, confermando in sostanza l’incremento che si è verificato negli ultimi due trimestri.

La sensazione è che ci siamo già avvicinati molto al tetto occupazionale nelle condizioni date e che, quindi, una forte ripresa possa essere consentita solo da eventi che le mutino significativamente. Ad esempio, una forte crescita della domanda sui mercati mondiali che rilanci la produzione per l’export: dopo il +20% del 2022, il 2023 le nostre esportazioni non sono aumentate nel 2023 e per il 2024 si prevede una crescita modesta, attorno al 2% (dati export.gov.it). Si tratta dunque di uno sviluppo improbabile dato il quadro politico-economico mondiale. Diversamente, si potrebbe ipotizzare un mutamento qualitativo nel mercato del lavoro se con un grande sforzo si adeguassero le politiche attive alla domanda che viene dalle imprese, spesso frustrata dal permanente mismatch tra domanda e offerta: secondo l’Osservatorio Excelsior-Unioncamere, le aziende hanno necessità di assumere, per il terzo trimestre 2024, 1.320.000 dipendenti ma, come del resto in tutti i precedenti trimestri, non riescono a trovare circa il 50% delle figure ricercate. È chiaro che se subentrasse un salto di qualità nel sistema di formazione-collocamento si realizzerebbe un salto significativo anche nell’occupazione, che potrebbe portarci vicino alle medie europee (dalle quali nonostante la recente crescita, siamo ancora lontani). Ma si fatica a intravederlo: il programma GOL, finanziato dal PNRR, dovrebbe realizzarlo ma, al momento, c’è confusione sul metodo e scarsi risultati in fase di prima attuazione (ancora incompleta di tutti gli strumenti, a dire la verità). 

Per finire, un dato incontrovertibilmente positivo: la dinamica salariale riconducibile ai CCNL ricomincia a funzionare. Alla fine del secondo trimestre i contatti collettivi nazionali rinnovati coprono il 64% dei lavoratori dipendenti, mentre il 36% fa ancora riferimento a CCNL scaduti e in attesa di rinnovo. Degno di attenzione il fatto che nei CCNL rinnovati la retribuzione oraria faccia segnare un aumento tendenziale (ossia rispetto a giugno 2023) del 3,6% e, in particolare, del 4,9% per il comparto dell’industria, del 3,7% per il comparto dei servizi privati e dell’1,9% per il pubblico impiego. Questo trend richiede però un’analisi più approfondita che faremo a breve in altra occasione.

 Claudio Negro, Fondazione Anna Kuliscioff e
Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

6/8/2024

 
 

Ti potrebbe interessare anche