Avviato il Reddito di Inclusione (REI): la ricezione nelle regioni e il caso pugliese

A un mese dall’apertura della compilazione delle domande per il REI, i dati Inps stimolano una riflessione sulla natura del provvedimento e sulla sua disomogenea ricezione nelle regioni del Paese, dove spicca il caso pugliese

Irene Vanini

Nei primi giorni dell’anno è tornata l’attenzione sulla novità del REI (Reddito di Inclusione) grazie a un comunicato Inps, che ha resi pubblici i numeri, ripartiti per regione, delle richieste pervenute ai comuni nel primo mese di vita di questo nuovo provvedimento. La Legge di Bilancio per il 2018 ha stabilito l’eliminazione dei requisiti concernenti lo status familiare degli individui potenzialmente beneficiari, che dovranno perciò rispettare solo i parametri relativi al reddito e al patrimonio. In questo modo, a luglio, quando il REI sarà avviato a pieno regime, i nuclei familiari non dovranno più dimostrare la presenza di un minorenne, di un disabile, di una gravidanza accertata, o di un ultra55enne disoccupato. Dall’1 gennaio il REI è diventato accessibile alle famiglie che ne hanno fatta richiesta ed è dunque tempo, avendo già i primi dati, di raccogliere osservazioni sul numero e tipologia di soggetti richiedenti. 

Accostarsi al REI: un quadro disomogeneo -  Programmato su un bacino di 700 mila potenziali beneficiari stimati, il REI ha raccolto, nel suo primo mese di corso (01/12/2017-02/01/2018) 75.885 richieste. I dati dell’Inps evidenziano una distribuzione disomogenea delle richieste tra le regioni italiane. Le tre regioni in cui sono pervenute ai comuni il maggior numero di domande di accesso al REI sono anche le uniche che hanno passato la soglia delle 10.000 e hanno da sole registrato il 57,6% delle domande totali. Si tratta di Campania (16.686 domande), Sicilia (16.366) e Calabria (10.606). All’estremo opposto, non è stata formulata alcuna richiesta in Trentino-Alto Adige e Puglia. 

Se le tre regioni in vetta alla classifica si trovano tutte al Sud, vale la pena ricordare che i dati raccolti ed elaborati nella Regionalizzazione del bilancio previdenziale a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali indicano il Sud del Paese come considerevole fruitore di prestazioni assistenziali, che ha infatti assorbito nel 2015 oltre la metà delle pensioni e assegni sociali erogati (55,02%) e delle pensioni di invalidità (51,81%).

Specificamente, Campania, Sicilia e Calabria (in cui, come detto, il REI è stato largamente richiesto) performano al di sotto del dato nazionale su diversi indicatori in materia, come visibile nella tabella. In Campania, per esempio viene erogata una prestazione in forma di pensione o assegno sociale ogni 42 residenti e una di invalidità ogni 44. Nel Lazio, che ha una popolazione molto simile a quella campana (i residenti sono, rispettivamente 5.892.425 e 5.861.529) l’incidenza è di una prestazione ogni 57 e 61 abitanti. In Sicilia, queste stime scendono addirittura a 1 prestazione ogni 37 e 43 abitanti e in Calabria viene erogata una indennità di accompagnamento ogni 20 abitanti e un' integrazione al minimo ogni 14.

Il fenomeno pugliese -  In questo contesto attira l’attenzione il caso della Puglia, che, come detto, non ha raccolto alcuna domanda di accesso al REI. Questo dato è condiviso dal Trentino-Alto Adige, un’area del Paese che ha tradizionalmente una buona prestazione in termini fiscali e di welfare: basti pensare che l’analisi storica (1980-2015) la indica come sola regione, insieme alla Lombardia, ad aver collezionato un saldo positivo e che nel 2014 la copertura del welfare è stata completa, con un tasso di 116,62 (per ogni 100 € incassati sotto forma di prestazioni di welfare vengono pagati contributi pari a 116,62 €). Questi stessi indicatori sono rispettivamente di deficit e di scarsa copertura (66,01) per quanto riguarda la Puglia. Scendendo nel dettaglio assistenziale, la Puglia  ha un migliore tasso di copertura (rapporto tra incassi e pagamenti) delle tre regioni in testa alla classifica delle richieste di REI, ma comunque molto lontane da quelle del Trentino-Alto Adige (le pensioni e assegni sociali sono una ogni 49 abitanti nella prima e una ogni 192 nella seconda). A lato di queste osservazioni, si aggiunga la differenza in termini di autonomia e regolamentazione (lo statuto speciale proprio del Trentino-Alto Adige) che rende una comparazione con la Puglia ardua e difficilmente giustificabile. Esclusa questa possibilità, come possiamo formulare ipotesi sul dato pugliese?

In Puglia, già a partire dal 2016, era stato predisposto un investimento di circa 100mln€ per il cosiddetto Reddito di Dignità (RED), una misura tagliata a livello regionale molto simile al REI sia per policy design che per obiettivi. Infatti, parallelamente al sussidio economico, il RED prevedeva un tirocinio presso imprese o enti pubblici, eventuali percorsi formativi e di aggiornamento professionale e la messa a disposizione di una serie di interventi sociali. A differenza del REI, la domanda per il RED non passava dai comuni, ma dalla piattaforma regionale, dove già era gestito anche l’accesso al SIA, misura di contrasto alla povertà consistente nell'erogazione di un beneficio economico (Carta SIA) alle famiglie in condizione di povertà con almeno un componente minorenne o un figlio disabile (anche maggiorenne) o una donna in stato di gravidanza accertata (che il RED, di fatto, integrava). Per il 2017 i parametri di accesso erano stati modificati, ampliando la platea di potenziali beneficiari, ma da ottobre la possibilità di formulare richieste di RED è stata sospesa per due mesi proprio a causa dell’avvio del REI nazionale. Lo scopo della sospensione era di evitare il sovraccarico di richieste, soprattutto alla luce del fatto che il REI, a differenza di come era il SIA, non sarebbe stato cumulabile al RED.

Nonostante le modifiche in corso d’opera, la Puglia ha ammesso 12.500 domande nel 2016 e 8.000 nel 2017. È ancora presto per stabilire se la tortuosa storia del RED e della sua combinazione con il REI nazionale spieghi da sola l’assenza di richieste di REI nella regione. Tuttavia l’andamento delle richieste  bene illustra l’importanza del coordinamento di misure di welfare a livello nazionale e locale.

Una misura a tutto tondo? - Se l’analisi e valutazione del REI nazionale e del RED pugliese passa anche e soprattutto dai numeri sulle prestazioni di natura assistenziale, nelle intenzioni del Ministro Poletti il REI non è pensato come “una misura assistenzialistica, … un beneficio economico ‘passivo’”. Questo poiché “[a]l nucleo familiare beneficiario è richiesto un impegno ad attivarsi, sulla base di un progetto personalizzato condiviso con i servizi territoriali”. A ispirare il policy design del REI è l’auspicio che l’emersione dallo stato di povertà inneschi un meccanismo virtuoso di stimolo ai consumi e di miglioramento della comunità tutta. Il vincolo all’adesione a un patto finalizzato non solo al reinserimento nel mondo del lavoro, ma anche all’incremento dell’inclusione è ispirato al superamento di un modello assistenzialista di passaggio univoco di risorse dallo Stato ai cittadini (l’ormai proverbiale “pioggia di denaro”), verso un modello che potremmo definire post-assistenziale.

Si tratta però, appunto, di un ideale e finché non ci saranno dati più corposi e approfonditi, sarebbe opportuno osservare prudenza. Innanzitutto, è bene partire dal presupposto che, se è vero che il REI può contenere oltre che assistenza – e così è nei fatti, visto che viene innanzitutto fornito un sussidio di tipo economico – anche elementi che vanno nella direzione delle politiche attive sociali e del lavoro, allora per valutarne il successo occorrerà capire sul lungo periodo quanti dei beneficiari riusciranno effettivamente a uscire dalla povertà e quanti diventeranno cittadini fiscalmente capienti; gran parte del successo dipenderà dal funzionamento dei servizi territoriali e dalle successive politiche di monitoraggio e controllo.

Del resto, occorre anche ricordare che i tentativi di introduzione di forme di sostegno al reddito sono storia italiana degli ultimi decenni e spesso non hanno prodotto i risultati sperati, specialmente laddove erano maggiormente necessari. Già negli anni 2000, a livello regionale Campania, Veneto, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Lazio avevano adottato misure universalistiche orientate all’attivazione della cittadinanza. Politiche, queste, “sorelle minori” del Reddito Minimo di Inclusione (RMI) promosso dall’allora Ministra alla Solidarietà Sociale Livia Turco (d.lgs 237/1998), smantellato già nel 2002 a favore del Reddito di Ultima Istanza (RUI). L’RMI fu sperimentato in diversi comuni e la sua valutazione tecnica non produsse mai una relazione in Parlamento. Nel 2003, salì agli onori della cronaca il comune calabro di Isola Capo Rizzuto, dove il sostegno RMI aveva raggiunto 1.800 soggetti (quasi la metà dei nuclei residenti) dei quali 800 finirono sotto inchiesta per truffa. Seguirono misure circoscritte e non strutturali, fino alla Carta acquisti ordinaria del 2008. In tempi più recenti, la Social card sperimentale per il triennio 2012-2015 e poi il SIA, hanno stimolato una nuova stagione di interventi locali in ben 9 regioni e che in alcuni casi sono ancora attivi.

Il REI nazionale e il RED pugliese, dunque, non sono provvedimenti pionieri e i dati finora disponibili consentono solo di valutarne il grado di diffusione. Nei prossimi mesi, i numeri saranno utili a indicare se la scala dell’intervento sia effettivamente adeguata, ma per poter decretare il successo del REI, bisognerà verificare l’effettivo superamento della “condizione di povertà” da parte dei beneficiari.  

Irene Vanini, Itinerari Previdenziali 

25/1/2018

 
 

Ti potrebbe interessare anche