Fondi pensione, le proposte della Commissione Bicamerale

Approvato il 12 giugno scorso, il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva predisposto dalla Commissione Bicamerale formula proposte per sviluppare il sistema della previdenza complementare: fiscalità, allocazione delle risorse ed erogazione della prestazione i principali aspetti attenzionati

Michaela Camilleri

Approvato all’unanimità 12 giugno scorso, il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione avviata nel gennaio 2024 dalla Commissione Bicamerale individua, da un lato, alcune aree di possibile intervento all’interno del sistema delle Casse di Previdenza e, dall’altro, formula proposte nell’ottica di favorire la partecipazione alla previdenza complementare. In merito a questo secondo ambito di indagine, vengono segnalati alcuni aspetti, evidenziati peraltro in diverse occasioni anche dalla COVIP, che meritano di essere attenzionati: dalla fiscalità in fase di contribuzione alla modalità di erogazione della prestazione finale, dal meccanismo di silenzio-assenso alla scelta del comparto.

 

Ridefinizione dei limiti di deducibilità

Il primo aspetto riguarda la fiscalità e, in particolare, la possibilità di ridefinire i limiti di deducibilità attualmente previsti in fase di contribuzione. La proposta prevede un meccanismo di recupero della differenza positiva tra la soglia di deducibilità dei contributi versati alla previdenza complementare (5.164,57 euro all’anno) e l’importo effettivamente portato in deduzione. Si tratterebbe di un incentivo per quanti non sono in grado di destinare ogni anno alla previdenza complementare un flusso stabile di contributi e incentiverebbe la partecipazione di quanti hanno redditi più volatili, soprattutto i lavoratori autonomi, con la prospettiva di recuperare tali somme in momenti successivi della carriera lavorativa. 

L’idea ricalca quanto già previsto dall’art. 8 c.6 del D.lgs. 252/2005 per i lavoratori di prima occupazione: limitatamente ai primi 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei venti anni successivi al quinto anno, dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro (5.164,57 x 5) e i contributi effettivamente versati nei primi 5 anni e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui. 

Viene poi proposto nel documento che nel caso di soggetti fiscalmente a carico (in particolare i figli), il limite di deduzione dovrebbe aumentare per tener conto del numero dei soggetti iscritti alla previdenza complementare in modo da incentivare la creazione di una prestazione pensionistica complementare adeguata. 

 

Miglioramento dell’allocazione delle risorse

In fase di accumulo, la Commissione rileva come le linee garantite non offrano rendimenti competitivi rispetto al benchmark della rivalutazione del TFR. Il problema si pone soprattutto per gli aderenti “taciti”, specialmente di età più giovane, in quanto la normativa prevede che il TFR dei lavoratori silenti venga conferito di default in una linea assistita da una garanzia comparabile al tasso di rivalutazione del TFR. Pertanto, nel documento si suggerisce che venga superato il vigente meccanismo di silenzio-assenso in favore delle linee garantite, adottando un approccio basato sui cosiddetti modelli di life-cycle. In particolare, in caso assenza di una scelta esplicita da parte dell’aderente, la posizione verrebbe collocata nei diversi comparti in maniera dinamica, adattando il profilo di rischio-rendimento in base all’età anagrafica, con un’esposizione in titoli azionari (dunque maggiori rischi, in favore di maggiori rendimenti attesi) inizialmente più significativa, per poi passare a linee più prudenti a minor contenuto azionario con l’avvicinarsi del momento del pensionamento, in modo da mitigare il rischio che la prestazione finale risenta eccessivamente di fasi negative sui mercati finanziari. 

Tuttavia, i meccanismi life-cycle risultano ancora poco diffusi nel sistema italiano di previdenza complementare.Stando agli ultimi dati COVIP disponibili relativi al 2023, il settore dei fondi pensione negoziali è quello nel quale il life-cycle è meno presente: soltanto 5 casi su un totale di 33 fondi pensione. Su un totale di 40 fondi pensione aperti, il life-cycle è previsto in 9 casi, con un numero di posizioni in essere pari a 386.000 (il 32% delle posizioni di tali fondi pensione). Tra i PIP, quelli che hanno più di una linea di investimento sono 57 e, in tale ambito, sono 18 i piani che prevedono percorsi di tipo life-cycle. In quattro casi è possibile per l’aderente scegliere tra diversi profili che presentano un livello di esposizione azionaria differente.

Peraltro, occorre rilevare che il problema della perdita di redditività non riguarda solo gli aderenti taciti ma anche iscritti che in forma esplicita hanno scelto di versare contributi in comparti più conservativi e che, con ogni probabilità, non hanno modificato nel tempo la propria scelta. Circostanza che induce a riflettere sulle scelte di partecipazione, assumendo in sé un valore “informativo” in termini di adeguatezza per gli iscritti.  

 

Revisione delle modalità di erogazione della prestazione finale

Il documento passa poi all’esame della fase di erogazione. Il terzo aspetto attenzionato riguarda infatti le modalità di erogazione della prestazione finale. Il ragionamento parte dall’evidenza: i dati raccolti dall’Autorità di Vigilanza mostrano con chiarezza come le persone manifestino una preferenza a ricevere le somme accumulate in capitale, potendo così scegliere poi come utilizzarle nel periodo di pensionamento. Rispetto alle preferenze osservate, l’obbligo oggi vigente di percepire nella forma di rendita vitalizia almeno il 50% della posizione individuale accumulata può dunque essere un fattore che non incentiva l’accumulazione di risparmio nella previdenza complementare. Va inoltre considerato, come emerso dalle audizioni svolte dalla Commissione Bicamerale, che in alcuni casi l’opzione della rendita vitalizia può essere penalizzante per l’iscritto anche in virtù dell’applicazione di coefficienti di trasformazione del capitale accumulato in rendita da parte delle compagnie di assicurazione più “penalizzanti” rispetto a quelli utilizzati dall’INPS. Per superare tali criticità, nel documento viene quindi proposta l’introduzione della possibilità di programmare dei prelievi parziali di capitale in un orizzonte temporale definito (anche pluriennale, tra i 5 e i 7 anni); ciò consentirebbe da un lato di beneficiare dell’investimento delle risorse non prelevate, che continuerebbero a essere gestite dal fondo pensione godendo quindi di una maggiore redditività, dall’altro potrebbe fungere da incentivo all’iscrizione riducendo i costi di caricamento applicati dalle compagnie di assicurazione al momento del pensionamento.  

Viene, in particolare, richiamata l’opportunità di consentire al fondo pensione di erogare direttamente la prestazione pensionistica sotto forma di prelievi programmati, senza il coinvolgimento delle compagnie di assicurazione, in analogia con quanto avviene per la RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata). In particolare, la RITA consente - al ricorrere di determinati requisiti (cessazione dell’attività lavorativa, almeno 20 anni di contributi nei regimi obbligatori di appartenenza, raggiungimento dell’età anagrafica per la pensione di vecchiaia entro i 5 anni successivi, 10 se inoccupati da oltre 24 mesi) - di richiedere al fondo pensione di ricevere in anticipo il capitale maturato, che viene rimborsato, in tutto o in parte, in forma di rendita temporanea, a partire dall’accettazione della richiesta e fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia.

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

23/6/2025

 
 

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