La gestione dei fondi pensione nel limbo della Brexit

L’uscita del Regno Unito dall’UE è stata posticipata al 22 maggio, a patto che l’accordo sia approvato da Westminster entro questa settimana, altrimenti Londra dovrà esprimere le proprie intenzioni entro il 12 aprile. Quali effetti sulla gestione dei fondi pensione italiani e chi sono i gestori che potrebbero essere coinvolti

Michaela Camilleri

Al termine di una lunga trattativa, il Consiglio dei capi di Stato e di governo ha concesso una proroga per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, cancellando di fatto l’imminente termine del 29 marzo che sarebbe altrimenti scattato con un alto rischio di no deal. Questa la decisione dei leader europei a seguito della richiesta della premier britannica Theresa May di rinviare il divorzio con il Regno Unito fino al 30 giugno.

La nuova scadenza per la Brexit è fissata al 22 maggio, a patto però che entro la settimana la Camera dei Comuni di Londra approvi l'accordo di divorzio (già respinto due volte). In caso di bocciatura, invece, la premier May dovrà indicare entro il 12 aprile come intende comportarsi in vista delle elezioni europee (la data scelta rappresenta infatti il termine ultimo per ufficializzare l’organizzazione del voto da parte di ogni Paese membro).

Dunque, ancora una volta, la strada per la Brexit resta incerta: accordo, no deal, lunga estensione o revoca dell’uscita? In attesa di conoscere gli sviluppi della vicenda, il Ministero dell’Economia e delle Finanza ha rassicurato mercati e intermediari predisponendo delle misure transitorie anche in caso di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea senza accordo.

Anche nel campo della previdenza complementare, come approfondito in un precedente articolo, l’ipotesi di divorzio “duro” avrebbe fatto venire meno improvvisamente le autorizzazioni per i gestori UK ad operare sul territorio dell’Unione Europea. Per i fondi pensione si sarebbe dunque posto un problema di continuità sia dei mandati affidati a società di gestione inglesi sia degli investimenti in OICR del Regno Unito.

Il comunicato stampa del MEF del gennaio scorso ha chiarito in caso di no deal, al fine di “assicurare la stabilità finanziaria, l’integrità e la continuità operativa di mercati e intermediari nonché la tutela di depositanti, investitori e clientela in generale”, sarà introdotto un periodo transitorio durante il quale gli intermediari finanziari, bancari o assicurativi potranno continuare a operare secondo la normativa attuale, analogamente al periodo transitorio previsto in caso di accordo tra il Regno Unito e la UE.

Il Ministero anticipa anche che la normativa disciplinerà gli adempimenti che i vari tipi di intermediari saranno chiamati ad assolvere – sulla base della normativa settoriale applicabile – una volta concluso il periodo transitorio, così da permettere a ciascun operatore di adeguarsi al nuovo contesto che si verrà a creare.

In altre parole, per quanto riguarda i mandati di gestione, da un lato, e gli investimenti in OICR, dall’altro, i fondi pensione potranno continuare a mantenere il rapporto e a detenere tali strumenti nel periodo transitorio.

 

Ma chi sono i gestori dei fondi pensione italiani?

L’Annuale Report sugli investitori istituzionali italiani curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali individua i principali gestori di fondi pensione negoziali e preesistenti, con la premessa che mentre i primi, in linea con le disposizioni di legge, affidano in gestione la quasi totalità del patrimonio, i secondi suddividono il patrimonio tra riserve matematiche presso compagnie di assicurazione (circa il 45%), gestori professionali (35%) e gestione diretta (20%).

Entrando nel dettaglio, per l’anno 2017, nella classifica delle società di gestione che hanno ricevuto mandato dai fondi negoziali (fig. 1) svettano ai primi posti per AUM Amundi con 5,78 miliardi di euro in gestione, Credit Suisse con 4,5 miliardi e Blackrock con 4,25.

Fig. 1 – I primi 10 gestori con mandati di fondi negoziali per AUM (valori in mln, anno 2017)

La stessa classifica riportata al mondo dei fondi preesistenti vede invece sul podio tre compagnie di assicurazione (per l’elevata quota di polizze assicurative detenute) e, in particolare, Generali, UnipolSai e Allianz con rispettivamente 8,975 miliardi di euro, 5,067 miliardi e 5,055 miliardi.

Fig. 2 – I primi 10 gestori con mandati di fondi preesistenti per AUM (valori in mln, anno 2017)

Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

26/3/2019

 
 

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