Previdenza complementare: bene le adesioni ma attenzione alla costanza

Continua la crescita degli aderenti alle forme di previdenza complementare ma persiste anche un numero significativo di iscritti non versanti e di posizioni multiple. Un trend da non sottovalutare per centrare l’obiettivo di prestazioni adeguate

Elena Tavanti e Melania Turconi

Secondo la Relazione COVIP per l’anno 2023 gli iscritti alla previdenza complementare continuano a crescere anche nel 2023 segnando +3,7% di adesioni rispetto all’anno precedente. Tuttavia, tra i 9.571.353 iscritti totali, coloro che, pur essendo formalmente aderenti a un una forma pensionistica integrativa, non hanno effettuano versamenti contributivi sono ben 2,574 milioni, vale a dire il 27,6% del totale (va ricordato che dal calcolo vengono esclusi i PIP ‘’vecchi’’).

Figura 1  - Iscritti non versanti nel 2023

Figura 1 - Iscritti non versanti nel 2023

Fonte: Relazione annuale COVIP per il 2023

Una tendenza tutt’altro che nuova ma, al contrario, ormai piuttosto consolidata, tanto che sono ben 1.346.963 aderenti non versanti da almeno 5 anni (il 14,5% del totale); percentuale superiore al dato aggregato nel caso dei fondi pensione aperti (il 18,8%) e dei PIP “nuovi” (il 18,2%). Allo stesso modo, la quota di iscritti non versanti al 2023 è superiore alla media nelle forme di mercato, con i fondi aperti a quota 37,2% e i PIP al 34,6%. Benché più bassa, cresce la percentuale dei fondi pensione negoziali (23,5%), soprattutto per effetto della mancata alimentazione regolare di adesioni contrattuali; fermi al 9,6% i fondi pensione preesistenti che, rivolgendosi in prevalenza a platee più mature e impiegate in settori dalle retribuzioni più elevate, spiccano d’altra parte come la categoria pensionistica caratterizzata dal contributo pro capite più alto (8.050 euro). 

Per capire meglio cause ed effetti della mancata contribuzione, può essere utile guardare poi anche a un altro fenomeno monitorato dalla Relazione COVIP, quello delle posizioni multiple (su diverse forme pensionistiche integrative) facenti capo allo stesso aderente: escludendo ancora una volta i PIP “vecchi” per i quali non si dispongono di dati puntuali a livello individuale, al 2023 gli iscritti con posizioni multiple sono 1,027 milioni, in crescita di circa 55mila unità rispetto al 2022, per un ammontare di 2,145 milioni di posizioni, di cui solo 1,296 milioni  effettivamente alimentate da contribuzione. Il che implica un totale di 850mila posizioni ad appannaggio di soggetti con adesioni multiple sulle quali non sono stati effettuati versamenti durante lo scorso anno. Secondo le stime della Commissione di Vigilanza, che è peraltro di recente intervenuta il 19 gennaio 2024 sul tema della gestione unitaria delle posizioni individuali con una circolare dedicata, le sovrapposizioni coinvolgerebbero PIP e fondi negoziali in circa un terzo dei casi. 

Figura 2  - Iscritti con posizioni multiple nel 2023

Figura 2 - Iscritti con posizioni multiple nel 2023

Fonte: Relazione annuale COVIP per il 2023

D’altra parte, aderire non basta: se versanti costanti sono infatti essenziali per potersi garantire prestazioni adeguate e in linea con i propri fabbisogni previdenziali, contribuzioni irregolari incidono invece negativamente sull’accumulo della posizione individuale. Non a caso, evidenzia COVIP, la posizione individuale degli iscritti non versanti vale in media 10.100 euro, contro i 27.500 dei versanti. Per l’11,1% del totale dei non versanti, al momento l’adesione risulta addirittura nella pratica quasi solo formale a fronte di un capitale accumulato nullo; per un altro 37,3%  la posizione individuale non supera neppure i 1.000 euro. 

Anche tra gli iscritti versanti il livello di contribuzione pro capite non è però sempre ottimale: 2.810 euro il valore pro capite, tendenzialmente più alto tra i lavoratori dipendenti (2.900 euro) che possono beneficiare anche dei flussi di TFR, rispetto agli autonomi (2.720). Tralasciando il caso peculiare dei preesistenti, interessante poi notare come, tra i fondi di nuova istituzione, il contributo medio individuale sia più elevato nei fondi aperti (2.560 euro) rispetto ai negoziali e ai PIP, rispettivamente fermi a quota 2.190 e 2.160 euro. Determinante, ancora una volta, per i fondi negoziali l’adesione contrattuale di una platea significativa di lavoratori; modalità che in molti casi determina il versamento, almeno in fase iniziale, dei soli contributi obbligatori da parte del datore di lavoro. Giusto per avere un ordine di riferimento, basti pensare che sono attualmente 14 i fondi negoziali che prevedono l’adesione contrattuale, per un totale di 1,7 milioni di posizioni: di queste solo 107mila ricevono anche altri flussi contributivi, circa 960mila sono alimentate dai soli contributi contrattuali e circa 641mila non sono state alimentate nel corso del 2023. Il contributo medio pro capite è quindi sì di 2.200 euro tra gli aderenti versanti ai fondi negoziali ma sale a 3.330 euro se si escludono gli aderenti contrattuali. 

Tornando a guardare alla totalità dei versamenti alle forme pensionistiche integrative, significativi inoltre il gap di genere, che vedo gli uomini (3.010 euro) versare il 18% in più delle donne (2.540 euro), quello geografico e anche l’impatto della variabile anagrafica, con il contributo medio pro capite che tende ad aumentare di pari passo con l’età (1.810 euro tra i 25-34 anni; oltre 3.000 tra gli over 50). Educazione finanziaria, andamento delle carriere, dinamiche del mercato del lavoro italiano  – qui, in particolare, un approfondimento sul divario di genere in ambito pensionistico – tra i fattori che possono concorrere alla mancata formazione del risparmio previdenziale anche da parte di alcune di quelle categorie di lavoratori che, in prospettiva, potrebbero averne maggiore bisogno. Caratteristiche socio-demografiche che non rispecchiano del tutto quelle dei non versanti, a ulteriore conferma di un fenomeno comunque stratificato e complesso da analizzare: qui a prevalere sono gli uomini (63,7%) e l’età media è pari a 47,6 anni, che sale a 50 (con una media di 14 anni di “storia” nella previdenza complementare) tra i versanti da almeno 5 anni. Tra coloro che non versano contributi da oltre un quinquennio prevalgono poi gli autonomi con il 28% (9,4% i dipendenti e 25,7% gli altri iscritti). 

Come si evince dal quadro sopra descritto, sono dunque molteplici le ragioni che potrebbero pesare sulla mancata o limitata contribuzione, compresa un’alfabetizzazione previdenziale ancora troppo modesta per permettere (almeno a una parte della platea interessata) di comprendere fino in fondo le possibili conseguenze di versamenti non adeguati. A emergere allora chiaramente dall’analisi è la necessità di riflettere su possibili soluzioni per incentivare, da un lato, una partecipazione attiva da parte dei lavoratori iscritti ai fondi negoziali tramite meccanismo di adesione automatica, e, dall’altro, la ripresa dei versamenti da parte degli iscritti che hanno interrotto la contribuzione. Perché, anche se la crescita degli aderenti è senza dubbio un buon segnale, le criticità legate a iscritti non versanti e posizioni multiple non possono essere trascurate. 

Elena Tavanti e Melania Turconi, Itinerari Previdenziali

12/8/2024 

 
 
 

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