Qualche spunto di riflessione su fondi pensione e "aderente tipo"

La platea degli aderenti alla previdenza complementare italiana continua ad allagarsi ma l'analisi delle caratteristiche socio-demografiche degli iscritti evidenzia diverse categorie di cui andrebbe migliorata la copertura. Cosa emerge dall'ultima Relazione COVIP

Mara Guarino e Melania Turconi

I dati della Relazione COVIP per l’anno 2023, presentata lo scorso giugno, offrono un utilissimo sguardo d’insieme sul mercato della previdenza complementare in Italia: malgrado un quadro congiunturale ancora piuttosto incerto, a livello mondiale prima ancora che nazionale, il sistema ha complessivamente mostrato una buona solidità.  In leggera ma costante crescita anche il numero degli iscritti, il 3,7% in più (dato in linea con quello medio dell’ultimo quinquennio) rispetto al 2022, per un totale di 9,6 milioni di aderenti. Nel dettaglio, sono 3,896 milioni gli iscritti ai fondi pensione negoziali (+5,4%), 1,902 gli aderenti a fondi pensione aperti (+5,9%) e 3,603 milioni quelli ai PIP nuovi (+2,2%), cui vanno poi aggiunti i 656mila iscritti a fondi pensione preesistenti. 

Figura 1 - La previdenza complementare in Italia: dati di sintesi

Figura 1 - La previdenza complementare in Italia: dati di sintesi

Fonte: Relazione annuale COVIP per l’anno 2023

Al di là dei numeri complessivi, quali indicazioni si possono trarre da un’analisi più dettagliata delle caratteristiche socio-demografiche degli aderenti? 

 

Genere, età e provenienza degli iscritti alla previdenza complementare

Guardando innanzitutto al genere, evidente la prevalenza degli uomini che, da soli, rappresentano il 61,7% del totale degli aderenti: particolarmente marcato il divario nel caso dei fondi pensione negoziali, dove la componente femminile pesa solo per il 27,3%, percentuale che verosimilmente riflette, almeno in parte, gli effetti di una minore e più incostante presenza tra le forze lavoro.  Sostanzialmente allineata tra uomini e donne l’età media degli aderenti, pari a 47 anni: il 47,8% degli iscritti si colloca del resto nella classe 33-54 anni, mentre il 32,9% supera i 55 anni. Non mancano in ogni caso timidi segnali di incoraggiamento anche da parte della platea più giovane (fino a 34 anni) che, pur attestandosi ancora su percentuali inferiori rispetto alle altre fasce, si mostra quantomeno in crescita passando dal 17,6% del 2019 al 19,3% del 2023. Se non sorprende particolarmente che la loro presenza sia poco marcata nei preesistenti con il 12,15% e un’età media pari a 50,5 anni, cui fanno da contraltare gli aperti, con il 25,5% e una media di 44,8 anni, è interessante invece rimarcare all’interno della componente under 34 l’aumento degli aderenti con meno di 20 anni di età. I “giovanissimi” sono infatti saliti dal 2,2% del 2019 al 2,6% del 2023, un totale di 246mila aderenti che si concentra soprattutto nelle forme di mercato (198mila individui). 

Figura 2 – Iscritti totali per genere, età e tipologia di forma

Figura 1 – Iscritti totali per genere, età e tipologia di forma

Fonte: Relazione annuale COVIP per l’anno 2023

Uomo, 47enne… e residente nelle regioni del Nord: questo, in estrema sintesi, il ritratto dell’aderente tipo considerando anche la localizzazione geografica, che vede appunto le Regioni settentrionali spiccare con il 57,1%. A prevalere al Nord sono soprattutto fondi aperti (65% la percentuale di iscritti situata in queste Regioni) e fondi preesistenti (64,2%), mentre nel Mezzogiorno prevalgono sulle altre forme pensionistiche complementari fondi negoziali (24,8%) e i PIP (24,7%). 

 

Quale professione per l’aderente tipo? 

Estremamente rilevante per tracciare un identikit dell’aderente tipo anche l’analisi della condizione professionale. Al 2023, gli iscritti tra le fila dei lavoratori dipendenti sono 6,971 milioni (+4,5% rispetto al 2022): come forse prevedibile, sono negoziali e preesistenti le forme che ne assommano la quota maggiore, vale a dire 4,122 milioni; circa 2,310 milioni invece gli iscritti ai PIP “nuovi”, 1,078 i lavoratori subordinati che hanno optato per i fondi pensione apertiPer quanto riguarda gli autonomi, la relazione COVIP conta poi 1,185 milioni di iscritti (+1,4%), concentrati soprattutto tra PIP “nuovi (circa 687mila) e fondi aperti (432mila). Come evidenziato dalla stessa COVIP, se a questi dati si aggiunge il confronto con quelli relativi all’occupazione, emerge con una certa chiarezza la bassa copertura previdenziale del lavoro autonomo: solo il 23,5% è iscritto a una forma pensionistica complementare, contro il 37,6% dei lavoratori dipendenti (valore, comunque, a propria volta più che migliorabile).

Al netto della dicotomia lavoro subordinato/lavoro autonomo, rilevante infine la quota degli “altri iscritti”, pari a circa 1,415 milioni di aderenti in cui ricadono, tra gli altri, sia soggetti fiscalmente a carico sia persone (circa 817mila i casi stimati) delle quali non è possibile stabilire la situazione occupazionale, anche perché spesso aventi un’iscrizione ormai risalente nel tempo e in buona parte non più versanti contributi. In linea di massima, dunque, si può ipotizzare una categoria di aderenti nella quale a prevalere sono i non lavoratori e, proprio in virtù della sua peculiare composizione, contraddistinta da peculiari tratti socio-economici, con le donne che ad esempio sopravanzano gli uomini con il 51,8% e un’età media relativamente più bassa di 43,6 anni. Del resto, basti pensare che negli ultimi sei anni proprio i più giovani hanno giocato la parte del leone sul versante delle nuove adesioni: il 59,9% - pari a circa 200mila persone – aveva meno di 25 anni al momento dell’iscrizione, il che peraltro è in linea con l’idea di soggetti, spesso appunto ancora fiscalmente a carico, che aprono una posizione previdenziale su iniziativa della famiglia, la quale inizialmente concorre all’alimentazione con la prospettiva che sia poi il ragazzo o la ragazza a farlo una volta entrato stabilmente nel mondo del lavoro. 

 

Quali possibili sviluppi per la previdenza complementare? 

Guardando al quadro generale, si potrebbe dire che a quasi vent’anni dal D.lgs. 252/2005, la diffusione della previdenza complementare è sì in costante crescita ma nel complesso forse ancora più contenuta di quanto il nostro Paese richiederebbe: solo poco più di 1 lavoratore su 3 ha sottoscritto una forma pensionistica integrativa, con l’ulteriore paradosso che ad aderire meno sono proprio i profili che in prospettiva potrebbero averne più bisogno, come ad esempio giovani e donne, complici anche - tra i diversi fattori – scenari occupazionali complessi (si pensi ad esempio a quanto la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia ridotta rispetto a quella maschile) e un’alfabetizzazione finanziaria non sempre all’altezza di scelte previdenziali efficienti. 

La necessità di un maggior sviluppo delle forme di welfare complementare, a partire proprio dai fondi pensione, sta diventando tuttavia ancora più importante per l’Italia considerando, da una parte, la transizione demografica in corso e le sue pressioni sul nostro sistema di protezione sociale e, dall’altro, il grande debito pubblico e la conseguente impossibilità di continuare a incrementare le risorse statali destinate ad assistenza, sanità e così via. Ecco perché, negli anni a venire, lo strumento dei fondi pensione sarà sempre più indispensabile non solo per i lavoratori italiani ma anche per lo sviluppo del Paese stesso. Un nuovo semestre di silenzio-assenso, il ripristino del fondo garanzia per le PMI la fiscalità sui rendimenti e, soprattutto, più cultura previdenziale e comunicazione sociale le possibili strade da percorrere per ridare nuovo e necessario impulso alla previdenza e al welfare complementare.

Mara Guarino e Melania Turconi, Itinerari Previdenziali

19/8/2024 

 
 
 

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