Quota 41, inutile e dannosa
La sostenibilità del nostro sistema pensionistico passa da proposte semplici e non demagogiche. Non è questo il caso di Quota 41 che, tra le altre cose, pone un grosso problema di costi: con il serio rischio, a discapito di ogni proclama sul "merito", che a rimetterci sia (ancora una volta) la rivalutazione delle pensioni sopra le 5 volte al minimo
Concluso il tormentone canoro dellestate, come ogni anno rispunta il tormentone delle pensioni che a differenza di quello cantato, ha sempre gli stessi autori, la Lega del trio Salvini, Giorgetti e Durigon. La proposta, ormai vintage è quella di Quota 41: se un lavoratore ha maturato 41 anni di contribuzione può andare in pensione senza limiti di età.Il punto, però, è che questa proposta costa tanti soldi e il ministro Giorgetti vorrebbe continuare con la decontribuzione anche per il 2025. Una soluzione che, come ha evidenziato anche la Commissione UE, mette a rischio i conti dellINPS e soprattutto le pensioni dei giovani: se anche per il 2025 restasse la decontribuzione, dal 2022 lINPS avrebbe circa 45 miliardi di minori entrate. Altro che, come afferma il Ministro, nessun sistema pensionistico regge a questa demografia!
Il sistema non regge se si continua con la decontribuzione e con le proposte della Lega tipo Quota 100 e 103. Per pagare le decontribuzioni, la Legge di Bilancio per il 2025 dovrà trasferire allINPS la stratosferica cifra di oltre 33 miliardi: vogliamo andare avanti così? Per inciso, senza Quota 100, oggi avremmo 15,8 milioni di pensionati e un rapporto attivi pensionati sopra l'1,5 (1,5 attivi per ogni pensionato); invece, ne abbiamo 16,15 milioni, con un rapporto attivi pensionati più basso. Costando tanti soldi, la soluzione escogitata dai leghisti è di mantenere Quota 41 ma calcolando la pensione interamente con il metodo contributivo, il che implica una riduzione dellassegno pensionistico per il semplice fatto che, se si va prima in pensione e quindi ci si sta per più anni, il montante (la somma dei contributi versati) deve essere diviso per più anni. Ma anche questa soluzione costa circa 1 miliardo lanno e con i vincoli di bilancio (non perché ce li chiede lEuropa ma per un etico rispetto delle generazioni giovani e future) e con il debito pubblico che sforerà a breve i 3mila miliardi, il MEF non se lo può permettere.
E allora che fare? Gli strateghi della Lega, sullesempio di quanto fatto da Giorgetti in questi ultimi anni, propongono di trovare il miliardo tagliando lindicizzazione delle pensioni sopra le 5 volte il minimo (2.650 euro lorde al mese), le uniche i cui percettori hanno sempre pagato tasse e contributi, già tartassate mensilmente dallIRPEF e che, sempre grazie a Giorgetti, hanno perso in questi ultimi tre anni il 10% del potere dacquisto. Una perdita irreversibile: con uninflazione dell1,5%, si perderà nei prossimi 10 anni un ulteriore 2,5%. Si spera che la Premier del merito questa volta si opponga a questo ulteriore massacro della classe media.
Ammesso e non concesso che si riesca a finanziare Quota 41, resta poi il problema del calcolo contributivo. Ad esempio, se si matura il requisito dei 41 anni a 60 anni, considerando che ormai l80% della pensione per il 95% circa dei futuri pensionati è già a calcolo contributivo, la diluizione dellassegno sarebbe pari al 15-16%: cosa fare? Il sottosegretario Durigon propone: Per evitare trattamenti da fame, vogliamo implementare la previdenza complementare, la soluzione per dare un reddito maggiore ai pensionati più fragili e per i giovani che hanno costruito il proprio percorso magari su lavori atipici o a tempo determinato . Già per un esponente governativo parlare di pensioni da fame è grave: più da Bar dello Sport che da Parlamento. Affermazioni come queste disincentivano i giovani dal lavorare in modo regolare (esattamente come quelle di Giorgetti sulla tenuta del sistema pensionistico) e dal versare i contributi. Inoltre, la previdenza complementare è già stata implementata nel lontano 2005 (D. Lgs n. 252/05) dal governo Berlusconi 3 al quale partecipava la Lega (quella originale): semmai, in questi ultimi anni, è stata peggiorata dai governi di sinistra o giallo-verdi.
Perlatro, questa proposta propagandistica, oltre che essere inutile, costosa e anche dannosa per lavoratrici, soddisferebbe solo poche coorti, quelle che hanno iniziato a lavorare dal 1978 per i successivi 7-8 anni. Quali sarebbero quindi le soluzioni possibili? Eccole: 1) Anziché Quota 41, già oggi esiste Quota 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, senza obbligo di calcolo integrale contributivo: la pensione anticipata. Perché una donna dovrebbe aderire a quota 41 perdendo soldi quando può avere la pensione integrale con soli 10 mesi in più? Sarebbe allora sufficiente eliminare ladeguamento di questi requisiti all'aspettativa di vita previsto dalla riforma Fornero, eventualità che non esiste in nessun Paese (ed è un'anomalia) e introdurre ad esempio per le donne madri una riduzione di 4 mesi per ogni figlio con un massimo di 8 mesi, come previsto dalla Dini; per i maschi altrettanto per lavori usuranti o situazioni di fragilità psico-fisica. Per entrambi i sessi, in caso di assistenza a parenti di primo grado non autosufficienti. 2) Prevedere le stesse regole dei misti anche per i contributivi puri (quelli che hanno iniziato a lavorare dall1 gennaio 1996), perché in un sistema a ripartizione in cui con i contributi versati dai giovani si pagano le pensioni, le regole devono essere le stesse. A cominciare dalla fruizione anche per i contributivi puri dei trattamenti di integrazione al minimo e maggiorazioni sociali, il contrario di quanto fatto dal Ministro dellEconomia. 3) Premiare il lavoro e non lassistenza reintroducendo la possibilità della pensione di vecchiaia anticipata con 64 anni di età, adeguata alla speranza di vita, e 38 anni di contributi con un massimo di 3 anni di figurativi; manovra finanziata prevedendo che per la pensione di vecchiaia a 67 anni occorrano 25 anni di contribuzione e una pensione pari a 1,5 volte lassegno sociale.
4) Quarto e ultimo punto, per la previdenza complementare, occorre: a) reintrodurre il fondo di garanzia per le PMI al fine di consentire anche ai circa 7 milioni di lavoratori di disporre del TFR che, essendo circolante interno, in carenza di crediti bancari, le PMI si rifiutano di indirizzare ai fondi pensione; b) ridurre la tassazione dallattuale 20% alloriginale 11% o meno; c) portare la tassazione a riscatto e non annuale; d) dare corso alle nuove rendite previste dalla legge 252; e) prevedere agevolazioni fiscali per gli investimenti in economia reale domestica; f) prevedere un nuovo semestre di silenzio assenso.
Proposte semplici e non demagogiche se si vuole garantire la sostenibilità finanziaria e sociale di lungo termine del nostro sistema pensionistico.
Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
2/9/2024