TFR pregresso, come e quando può essere trasferito al fondo pensione

Il trasferimento del TFR pregresso al fondo pensione è possibile, d'intesa con il datore al lavoro, solo se le quote accantonate prima dell'adesione sono rimaste in azienda perché se confluite, invece, al Fondo di Tesoreria INPS ciò non è possibile: una situazione che limita la portabilità del TFR e crea disparità tra i lavoratori

Michaela Camilleri

Con il messaggio n.413 del 4 febbraio 2020, l'INPS ha negato la possibilità di trasferire il TFR accantonato presso il Fondo di Tesoreria al fondo pensione scelto dal lavoratore. Secondo l’interpretazione data dall’Istituto, il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione di natura previdenziale e, di conseguenza, fatte salve le ipotesi di pagamento anticipato previste dalla normativa, le quote versate sono indisponibili. Una posizione che limita la portabilità del TFR, creando una forte disparità tra i lavoratori di aziende che occupano almeno 50 addetti, il cui TFR viene fatto appunto confluire nel Fondo di Tesoreria dell’INPS, e quelli di aziende con meno di 50 addetti, i quali invece, d’intesa con il datore, possono destinare il TFR pregresso alla previdenza complementare. 

 

La destinazione del TFR e il Fondo di Tesoreria

La normativa attualmente in vigore (art. 8, c. 7 del D.lgs. n. 252/2005) prevede che il lavoratore disponga di diverse opzioni riguardo alla destinazione del TFR maturando. Se entro sei mesi dalla data di assunzione il lavoratore non esprime alcuna volontà, scatta il meccanismo di silenzio-assenzo secondo cui il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando:

  • al fondo pensione previsto dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, salvo diversi accordi aziendali;
     
  • in caso di presenza di più forme pensionistiche, salvo diverso accordo aziendale, al fondo pensione con il maggior numero di lavoratori dell’azienda iscritti; 
     
  • in caso di mancato accordo e di assenza di un fondo pensione di riferimento, al fondo pensione COMETA individuato dal D.M. 85/2020 in sostituzione di FONDINPS che è stato contestualmente soppresso.


Sempre nei sei mesi di tempo previsti dalla normativa, il lavoratore ha invece la possibilità di comunicare esplicitamente al datore di lavoro la sua scelta in merito alla destinazione del TFR maturando, comunicando esplicitamente al datore di lavoro di

  • farlo confluire al fondo pensione prescelto; 
     
  • mantenerlo in azienda, sapendo che tale decisione potrà sempre essere successivamente revocata a favore del conferimento del maturando a un fondo pensione prescelto.


Su quest’ultimo caso è intervenuta la legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), modificando la normativa originaria e disponendo che, con effetto dall’1 gennaio 2007, il TFR rimanga effettivamente presso il datore di lavoro solo nel caso in cui l’azienda abbia alle proprie dipendenze meno di 50 addetti mentre, nell’ipotesi di un numero di addetti pari o superiore a 50, il Trattamento di Fine Rapporto deve essere obbligatoriamente versato al Fondo di Tesoreria istituito presso l’INPS per conto dello Stato, secondo il sistema a ripartizione. 

 

La possibilità di trasferire il TFR pregresso 

Si è fin qui parlato di TFR maturando, cioè maturato a partire dal momento della scelta (esplicita o tacita che sia). Tuttavia, la legge n. 244 del 24 dicembre 2007, introducendo il comma 7-bis all’interno dell’art. 23 del D.Lgs. 252/2005, ha esplicitato la possibilità di destinare alla previdenza complementare anche il TFR pregresso,prevedendo che, al momento dell’erogazione delle prestazioni, sia applicata la tassazione secondo le modalità vigenti pro-rata temporis per le quote accantonate entro il 31 dicembre 2006. Si è aperta quindi una nuova possibilità per incrementare i montanti contributivi con il versamento delle somme di TFR accantonate in azienda anteriormente al 2007.

Richiamando la normativa citata, in risposta ai quesiti di maggio 2009 e maggio 2014, la COVIP ha chiarito che il versamento del TFR pregresso al fondo pensione è possibile, anche con riferimento alla quota lasciata in azienda dopo l’1 gennaio 2007, a patto che il lavoratore e il datore di lavoro siano d'accordo. Nel caso in cui però il TFR pregresso non sia effettivamente in azienda ma sia in giacenza presso il Fondo di Tesoreria dell’INPS, l’Autorità di vigilanza, pur ritenendo auspicabile la stessa possibilità, ha rimesso la decisione all’Istituto in virtù della “sua esclusiva competenza nelle modalità di smobilizzo del TFR”.

Con il messaggio n. 413 del 4 febbraio 2020, l'INPS si è appunto pronunciata negativamente sulla possibilità di trasferire, d’intesa con il datore di lavoro, il TFR confluito nel Fondo di Tesoreria al fondo pensione. Secondo i chiarimenti forniti, infatti, il Fondo di Tesoreria è configurabile come una gestione previdenziale e pertanto le quote di TFR versate soggiacciono al regime della indisponibilità. Tuttavia, tale lettura omette l’esplicita previsione del c. 7-bis dell’art. 23 del D.lgs. 252 che, seppure finalizzata a un chiarimento di natura fiscale, ammette il conferimento del TFR pregresso alla previdenza complementare. Inoltre, occorre considerare che il TFR non è una contribuzione né obbligatoria né volontaria ma, per definizione, “retribuzione differita” e, come tale, rientra sempre nelle disponibilità del lavoratore, seppure con i limiti previsti dalla disciplina sugli anticipi.

In altre parole, oggi al fondo pensione viene versato solo il TFR maturato a partire dal momento dell’adesione. Tuttavia, d’intesa con il datore di lavoro, il lavoratore può richiedere di versare anche il TFR precedentemente accantonato e lasciato in azienda, a meno che sia occupato in un’azienda con almeno 50 addetti, obbligata a versare il TFR al Fondo Tesoreria; in questo caso, infatti, è possibile far confluire al fondo pensione solamente le quote di TFR accantonate prima del 2007.

Sorge dunque spontaneo chiedersi perché, alla luce dei trend demografici in atto e delle conseguenti pressioni a cui è sottoposto il sistema pensionistico pubblico, non si favorisce la possibilità di incrementare il montante contributivo dei lavoratori iscritti alla previdenza complementare? Le risorse in gioco, e forse la risposta è contenuta in questi dati, non sono affatto irrilevanti: come risulta dall’ultima Relazione COVIP, solo nel 2024 il flusso complessivo di TFR generato nel sistema produttivo può essere stimato in 32,7 miliardi di euro; di questi, 17,6 miliardi sono rimasti accantonati presso le aziende, 8,6 miliardi versati alle forme di previdenza complementare e 6,6 miliardi destinati al Fondo di Tesoreria. Complessivamente, dall’avvio della riforma, su circa 445 miliardi di TFR, 234 miliardi (52,6% del totale) sono rimasti in aziende prevalentemente al di sotto dei 50 addetti; 105,9 miliardi di euro, pari al 23,8%, sono stati destinati alla previdenza complementare e ben 105,2 miliardi (23,6%) sono confluiti nel Fondo di Tesoreria.

Limitando così la portabilità del TFR, viene meno la possibilità non solo per i lavoratori di incrementare il proprio montante contributivo, ma anche di reinvestire questi flussi nel sistema Paese. 

Michaela Camilleri, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

4/8/2025

 
 

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