RSA e COVID-19: guardare oltre il confine e contestualizzare il problema

Quasi la metà dei morti per COVID-19 in tutta Europa era residente in strutture per la cura e l'assistenza di anziani e non autosufficienti: un dato che consente di inquadrare meglio anche la tragica situazione emersa in Italia e che dà ulteriori evidenze alla necessità di trovare soluzioni alternative o parallele all'ospedalizzazione nelle RSA

Giovanni Gazzoli

Lo scorso 23 aprile Hans Henri Kluge, direttore della sezione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha dichiarato che, in base alle stime pervenutegli dai vari Paesi del continente europeo, circa metà dei decessi per COVID-19 è avvenuta all’interno di strutture adibite alla cura e all’assistenza di anziani e non autosufficienti, strutture – al netto delle specifiche differenze – paragonabili alle Residenze Sanitarie Assistenziali italiane. Un numero enorme, che aiuta a contestualizzare la dimensione del problema in Italia: la situazione è simile in tutta Europa, e l’indicazione che se ne può trarre è che, al di là delle specifiche responsabilità e mancanze, ci sono comunque i limiti oggettivi di un sistema molto comune e diffuso.

Kluge ha infatti identificato le principali misure per gestire al meglio la drammatica situazione attuale e migliorare il sistema per il futuro, rendendolo più integrato e centrato sulla persona: 1) fornire gli strumenti necessari ai lavoratori di queste strutture, specificatamente DPI e formazione, oltre ad adeguarne le remunerazioni; 2) cambiare l’operato delle RSA, equilibrando i bisogni di residenti e familiari e garantendo la sicurezza degli staff e il funzionamento dei servizi: il che implica piani di prevenzione delle infezioni, priorità ai test per ogni caso sospetto, isolamento dei malati di COVID-19 in spazi ad hoc; 3) costruire sistemi che prioritizzino i bisogni e la dignità delle persone: ciò significa coordinamento e continuità dei servizi sanitari e sociali, integrazione delle informazioni e coinvolgimento di tutte le figure professionali nei processi di decision-making.

Per meglio comprendere la situazione dei Paesi che per dimensione e struttura demografica possono essere paragonabili all’Italia, vediamone nel dettaglio i numeri e le principali caratteristiche. Si consideri che questa rassegna sconta le diverse politiche nazionali in materia di raccolta e comunicazione dati.

 

Regno Unito

L’Ufficio per le Statistiche Nazionali ha rilevato che al 24 aprile le care home hanno denunciato 4.343 morti per coronavirus: metà negli ultimi 5 giorni, a indicare un’accelerazione del contagio. Effettivamente, il 10 aprile il numero era fermo a 1.043: nella settimana successiva, un quarto delle morti per coronavirus è avvenuto in una casa di cura, aumentando del 48,5% in assoluto (a fronte di un aumento del 10% delle morti in ospedale e dell’11% di quelle nelle abitazioni) e innalzando anche l’incidenza relativa sulle morti totali dal 26,6% della settimana precedente al 32,7%.

La CQC (Care Quality Commission, l’ente regolatore del sistema) afferma che nelle 15.517 residential and nursing homes del Regno Unito sono disponibili 457.361 letti, che al momento sarebbero occupati da circa 411mila persone: nel censimento del 2011 risultava che il 60% di essi avesse 85 anni o più, dato che dovrebbe essersi alzato visto l’invecchiamento della popolazione. Skills for Care dice che queste strutture occupano circa mezzo milione di lavoratori.

Una delle principali critiche all’azione del governo è stata la mancanza di materiale protettivo per i lavoratori nonché di test per personale e pazienti. Dal 29 aprile in Inghilterra tutti i residenti e i membri dello staff delle care home potrà avere accesso ai test a prescindere dal possesso di sintomi, mentre gli over 65 (insieme a coloro che dovranno uscire dalle abitazioni per lavoro) potranno farli se presenteranno sintomi. Il Ministro per la Salute ha anche annunciato che dallo stesso giorno il governo includerà i decessi delle care home nel conto generale, mentre prima queste morti erano comunicate separatamente.

Criticato inoltre anche il sostegno pubblico al sistema. A differenza del NHS, finanziato dalle tasse, la maggior parte di queste strutture è gestita da società private, parzialmente sostenute dalle autorità locali che, negli ultimi anni, hanno visto ridursi il budget. Per l’emergenza COVID-19, il sistema sanitario nazionale ha ricevuto 6,6 miliardi di sterline, mentre il settore dell’assistenza, che impiega più occupati (c’è anche l’assistenza domiciliare), lotta per una parte dei 2,8 miliardi di sterline destinati alle autorità locali.

 

Francia

Al 28 aprile, il numero di decessi negli EHPAD (Établissement d'hébergement pour personnes âgées dépendantes) e negli EMS (Établissements médico-sociaux) era di 8.850, contro i 14.810 registrati in ospedale. Negli ultimi giorni la situazione è migliorata, o almeno così ha dichiarato Florence Arnaiz-Maumé, direttore generale di Synerpa (il sindacato nazionale di riferimento delle strutture), anche perchè ormai oltre il 50% sia dei dipendenti che dei residenti è stato sottoposto a tampone. Tuttavia, Santé Publique France (l’agenzia nazionale di sanità pubblica) ha raccolto le segnalazioni dei vari stabilimenti (EHPAD e EMS), calcolando nella settimana 22-29 aprile ben 1.138 decessi: 184 di questi solo il 29 aprile, segnale che il miglioramento è ancora molto instabile.

La comunicazione dei decessi negli EHPAD è stata poco chiara, e inizialmente addirittura assente. Questo nonostante il 20 marzo fosse stata recapitata una lettera al Ministro della Salute da parte del personale medico sanitario, che paventava il rischio di assistere inermi a 100.000 morti. Tuttavia l’annuncio da parte del Ministro di tamponi in tutti gli EHPAD sia per i dipendenti che per i pazienti è arrivato solo il 6 aprile.

Nel 2018 in tutto l’Esagono nei circa 7.200 EHPAD (il 43% dei quali è pubblico) erano ospitate più di 600.000 persone (età media all’ingresso: quasi 86 anni), accudite da circa 400.000 occupati. Le case di cura variano i propri servizi (e conseguentemente le tariffe) in base al grado di dipendenza dell’anziano (GIR - groupe iso-ressources), che viene stabilito in seguito a un’analisi di 10 facoltà da parte del medico della struttura e varia da un minimo di GIR 6 (nessuna dipendenza) a un massimo di GIR 1 (dipendenza sia fisica che mentale): la definizione del GIR è importante anche perchè influenza l’assegnazione o meno dell’APA (allocation personnalisée d'autonomie), ossia un’indennità pubblica.

Il dibattito su un possibile superamento di questo sistema, definito da Le Monde “à bout de souffle” (senza fiato, che sta soffocando), è già in corso, anche perchè con o senza COVID-19, nel 2050 le persone non autosufficienti in Francia saranno 4 milioni: una proposta, già in fase di sperimentazione con risultati positivi, è quella degli “EHPAD a domicilio”, collegati a un EHPAD centrale da cui si organizza il servizio domiciliare soprattutto in termini di personale.

 

Germania

Lo Stato Tedesco è senza dubbio, tra i grandi Paesi europei, quello che a oggi è riuscito a resistere meglio alla pandemia di COVID-19. Infatti, il Robert Koch Institute (RKI), l’Agenzia federale tedesca per le malattie infettive, afferma che al 29 aprile i decessi sono stati 6.115, e che la percentuale di mortalità nei malati di COVID-19 è solo del 3,9%, molto bassa in confronto a quelle degli altri Stati, che oscillano intorno alla doppia cifra.

Tuttavia, per quanto riguarda gli anziani, e in particolare per quelli nelle case di cura, la situazione è simile al resto d’Europa, seppur su cifre ben più basse. L’87% dei decessi totali riguarda persone di 70 anni o più, mentre ben 2.131 decessi sono avvenuti in case di cura per anziani o non autosufficienti: seppur basso in assoluto rispetto ai Paesi vicini, si tratta del 34,8% dei decessi totali.

Le cause sono le solite: incapacità di implementare contromisure tempestive o di osservarle, mancanza di personale e scarsità di DPI. In particolare quest’ultimo punto sta avendo conseguenze devastanti per le case di cura più che per gli ospedali. Un altro problema comune a tutte queste strutture, anche oltre confine, è quello dell’isolamento dei residenti: essendo luoghi con spazi comuni, costruiti per incoraggiare l’interazione sociale, è complicato separare gli infetti dai sani; inoltre, la stragrande maggioranza dei pazienti soffre di demenza senile, dunque non capisce la necessità di restare nella propria stanza.

Le strutture dedicate agli anziani e ai non autosufficienti in Germania ospitano circa 800.000 persone, ma ciò malgrade sono state oggetto di tagli alle risorse, con la conseguente diffusione di strutture privatizzate. Anche qui, i molti dipendenti coinvolti devono lavorare in condizioni difficili, e gli stipendi sono bassi in relazione al resto del settore. Una situazione antecedente alla "crisi coronavirus".

 

Spagna

Infine la Spagna, dove la situazione è drammatica molto più che nel resto d’Europa e del mondo, con il secondo numero di malati dopo gli Stati Uniti. Al 30 aprile i morti “ufficiali” erano 24.543.

Nelle residenze per anziani, stimate in 5.457 tra pubbliche e private, ben 16.850 decessi erano riconducibili a COVID-19, o per l’ufficialità del tampone o per la presenza dei tipici sintomi. Nelle 710 residenze della Comunità di Madrid (la maggior parte delle quali è per anziani), che ospitano 44.312 pazienti, i decessi sono stati 5.811 (1.130 diagnosticati dal test); in Catalogna, dove 1.073 residenze pubbliche e private ospitano 64.093 anziani, le vittime arrivano a 2.943, il 60% del totale secondo i registri funebri.

Le critiche alla gestione della crisi hanno investito il governo del Primo Ministro Pedro Sanchez. L’esperienza di Cina e Italia era davanti agli occhi, in particolare per quanto riguarda la fragilità degli anziani, eppure nulla è apparentemente stato fatto in un Paese dove un quinto della popolazione è over 65, quasi 9 milioni di persone. Questa tarda e insufficiente risposta si è vista anche nelle case di cura: difficoltà a isolare i malati, staff contagiato e non rimpiazzato, mancanza di protezioni. Per disinfettare 1.300 strutture, il Governo ha fatto ricorso all’esercito. La conseguenza di queste mancate azioni ha portato all’apertura di 86 inchieste preliminare in tutto il Paese.

Ci saranno probabilmente effetti sul sistema una volta passata la crisi: un sistema in cui 3 strutture su 4 sono gestite da privati, con lo Stato che sostiene una parte delle rette per i pazienti meno abbienti. Il sostegno pubblico alle strutture, peraltro, è immutato negli ultimi dieci anni, denunciano i sindacati che rappresentano i gestori dei servizi: un problema che il Governo, tramite il vicepresidente e Ministro dei diritti sociali Iglesias, ha promesso di affrontare insieme a quello delle condizioni dei lavoratori.

 

Un bilancio delle diverse esperienze europee

Per concludere, l’analisi delle difficoltà incontrate dalle RSA (o dalle strutture equivalenti) negli altri principali Paesi europei mostra che la pandemia di COVID-19 ha messo in luce problemi molto simili. Possiamo riassumerli in: 1) carenza di personale, che si è trovato spesso sottodimensionato e costretto a turni di lavoro eccessivi; condizione che peraltro ha aggravato una situazione difficile già prima dell'emergenza; 2) difficoltà delle strutture a isolare i pazienti, nonché a integrare e coordinare i servizi sanitari necessari; 3) carenza di dispositivi di protezione individuale, la cui fornitura è stata farraginosa; 4) comunicazione poco trasparente in riferimento alla crisi che coinvolgeva le strutture; 5) indicazioni operative tardive e a volte confliggenti per le strutture stesse da parte delle istituzioni.

Problemi che lasciano intendere come i limiti del sistema delle residenze in cui ospitare gli anziani non più autosufficienti o comunque affetti da patologie siano solo parzialmente imputabili a specifiche gestioni o provvedimenti, ma da ricercare semmai anche in una necessità di revisione dell'intero sistema di presa in carico e cura.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

13/5/2020 

 
 
 

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