COVID-19 e le difficoltà delle RSA

L'84% dei deceduti per COVID-19 ha 70 anni o più; l'età media delle vittime è di 79 anni. Il 61% aveva 3 o più patologie preesistenti. Da un'indagine dell'Istituto Superiore di Sanità emerge l'alto numero di decessi all’interno delle RSA: il virus ha messo a nudo la fragilità degli anziani e dei servizi loro rivolti

Giovanni Gazzoli

Dei 19.995 decessi per COVID-19 accertati dall’ISS al 16 aprile in tutta Italia, ben 16.728 (l’84%) sono casi di persone con 70 anni o più. È questo il dato più significativo che ci lascia in eredità la pandemia, che ha evidenziato l’incapacità di proteggere la popolazione più fragile. Molti di questi soggetti hanno infatti contratto il virus proprio nelle RSA, ossia le strutture destinate alla loro cura, tanto che l’ISS ha avviato un’indagine sul contagio nelle strutture residenziali e socio-sanitarie.

Alla survey hanno risposto 1.082 strutture, il 23% delle 4.629 presenti nella banca dati del GNPL National Register, il che pone già un interrogativo sulla capacità di monitorare l’attività di queste residenze. Dalle risposte pervenute, emerge una popolazione all'1 febbraio di 80.131 residenti, cui si sono successivamente aggiunte 4.066 persone, il 45,3% delle quali o erano state diagnosticate come malate di COVID-19 o ne presentavano i sintomi caratteristici.

Dall'1 febbraio a oggi nelle strutture che hanno risposto al questionario sono deceduti in totale 6.773 soggetti: di questi, il 40,2% (2.724) è riconducibile al nuovo coronavirus, o per i risultati dei pochissimi tamponi (364 deceduti positivi) o per la presenza di sintomi caratteristici (2.360). In sostanza, il virus si è rivelato fatale per il 3,4% dei residenti nelle RSA: in proiezione sulla popolazione totale delle strutture italiane, ne deriva un totale di quasi 12mila decessi di anziani per COVID-19 nelle Residenze Sanitarie Assistenziali. Un numero ingente in rapporto ai dati ufficiali, pur considerato che molti decessi non sono stati registrati come dovuti a COVID-19

Il numero incredibilmente elevato mette in risalto due problematiche delle RSA: una ha a che fare con quanto accaduto, e con le sue cause; l’altra, strutturale, riguarda cosa potrà succedere in futuro.

Dalle risposte al questionario dell’ISS risulta l’inadeguata capacità delle RSA di rispondere a una situazione così drammatica. L’83% lamenta la mancanza di Dispositivi di Protezione Individuale, il 20% ha evidenziato di non aver ricevuto informazioni sulle procedure da adottare (molte hanno specificato di aver ricevuto informazioni discordanti e mancanza di coordinamento); un terzo denuncia l’assenza di personale sanitario, un decimo la mancanza di farmaci, un quarto ammette di non avere strutture adeguate. Lacune parlano anche di una debolezza strutturale, non solo a livello di censimento, coordinamento e vigilanza, ma inerente alla natura stessa di queste residenze per anziani: non è del resto un caso che i problemi non si siano evidenziati solo in alcune strutture isolate, ma in tutta Europa.

Quali sono quindi le fragilità di questo sistema, e quali le possibili alternative che possano affiancarlo? In larga parte, queste strutture – specialmente quelle più piccole – sono prive di mezzi che permettano determinati esami o lastre, per i quali si richiede il trasporto in ospedale, con tutte le criticità legate allo spostamento di soggetti fragili e allo stress dei pronto soccorso. Ciò malgrado, le strutture accolgono tutti i tipi di pazienti, a prescindere dalla loro condizione: dall’anziano che ha un semplice bisogno di “monitoraggio” ai malati di patologie più gravi che necessitano stretti trattamenti e sorveglianze. Considerato che - come dice l’ISS - il 70% dei ricoverati nelle RSA ha tre o più patologie, è impensabile accomunarli in strutture che spesso sono poco più che alberghi. Si dovrebbe semmai stratificare le RSA in base alle caratteristiche dei pazienti, ciascuno con le proprie specifiche esigenze, distinguendo in autosufficienti e non, con o senza patologie; questo al netto delle strutture più organizzate, che già contengono nuclei specifici.

Di conseguenza, come accennato, si delineano delle alternative che, grazie allo sviluppo tecnologico e all’ampliarsi dei servizi e prodotti offerti in quella che si definisce Silver Economy, possano affiancare il sistema delle RSA. Una è quella dell’assistenza domiciliare, che oltre a una razionalizzazione dei costi, permetterebbe all’anziano di continuare a vivere in un ambiente familiare, fonte di sollievo piscologico e morale. Per incentivarla, servono però essenzialmente due cose: il sostegno alle spese necessarie alla vita domestica dell’anziano e alle strumentazioni funzionali al monitoraggio della sua salute; e l’offerta di beni che agevolino l’assistenza domiciliare, ricorrendo alla telemedicina e all’intelligenza artificiale per supportare lo svolgimento delle ADL (activities of daily living) mancanti, e di servizi che offrano all’anziano un aiuto a tutto tondo, al di là della mera attività di cura (farmacia, posta, spesa, supporto psicologico, ecc.). Se il primo compito spetta in primis al pubblico, o direttamente o indirettamente (si pensi all’incentivazione delle adesioni all'assistenza sanitaria integrativa), il secondo è appannaggio di società specializzate, assicurazioni, Fondi e Casse sanitarie, che possono trarre grande beneficio investendo nella Silver Economy.

Un altro esempio è quello delle residenze per anziani (co-housing), in particolare per gli anziani che non hanno problemi particolari di salute ma che, per vari ordini di ragioni, non possono restare nelle proprie abitazioni: strutture che accolgono i senior in spazi pensati apposta per loro, che offrono tutti i comfort a stretta distanza e che incentivino una vita più attiva, dalla dimensione sociale a quella psico-fisica. Non luoghi di cura, dunque, ma centri residenziali concepiti ad hoc.

In sostanza, si è evidenziata la necessità di cambiare il modello di assistenza degli anziani. È fondamentale che gli anziani siano facilitati a vivere in piena salute: oltre a essere un beneficio per loro, lo sarebbe anche per la collettività che, anziché sostenere il costo dell’assistenza e della cura, beneficerebbe dei frutti della loro attività. Questo, insieme al tema della sostenibilità, sarà uno dei punti chiave sia per convivere con il virus fino alla scoperta del vaccino sia per non farsi trovare impreparati un’altra volta. 

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

28/4/2020

 
 

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