Seconda ondata di contagi, i dati sulla mortalità per COVID-19

Sembra iniziare a placarsi la seconda ondata di contagi, che si è manifestata in modo solo apparentemente meno violento della prima: come sono cambiati il virus e la popolazione che subisce le più gravi conseguenze di COVID-19? Un'analisi degli ultimi dati per contestualizzare al meglio caratteristiche e dinamiche dell'infezione

Giovanni Gazzoli

Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, sembra che l’andamento del contagio consenta un progressivo allentamento delle misure di restrizione per la popolazione italiana, sulla scia di quanto successo nei vicini Paesi europei. C’è da aspettarsi che la combinazione di una ritrovata libertà dopo quello che è stato un ulteriore periodo di faticoso confinamento – seppur non rigido come in occasione della prima ondata – con la tradizionale corsa all’acquisto di regali, addobbi e leccornie, generi numerose occasioni di assembramenti, con conseguenti polemiche e tensioni.

Per evitare che l’isteria abbia la meglio, e prevenire qualsiasi tentativo di strumentalizzare timori comunque comprensibili, è bene tenere a mente i numeri di questa pandemia, comunque severi anche in questa fase: il virus non ha perso "efficacia" e, nel frattempo, non sembra essere cambiata particolarmente neppure la platea dei soggetti più a rischio, che di COVID-19 stanno subendo le più gravi conseguenze. Per verificarlo, basta consultare i dati dell’Istituto Superiore di Sanità: li riportiamo di seguito, commentando quelli aggiornati al 25 novembre.

Innanzitutto, registriamo il campione sul quale si basa l’analisi: 49.931 pazienti deceduti e positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia. Di questi, il 42% in Lombardia, il 10,9% in Emilia Romagna, l’8,2% in Piemonte, il 6,9% in Veneto, e a seguire le altre regioni fino allo 0,2% di Basilicata e  Molise. Il dato più significativo è però senza dubbio l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2, vale a dire 80 anni, di oltre 30 anni superiore a quella che è invece l’età media di coloro che hanno contratto il virus. Scomponendo il numero dei decessi per le fasce di età, si ottiene quanto segue: sono deceduti 7 bambini sotto i 9 anni, 3 ragazzi tra 10 e 19, 25 tra 20 e 29 e 100 tra 30 e 39, per un totale di 135 decessi su 49.931; nella fascia tra 40 e 59 anni sono stati registrati 2182 decessi (4%), mentre – come sappiamo – i numeri salgono drasticamente analizzando gli over 60: 4956 (10%) tra 60 e 69, 12760 (25%) tra 70 e 79, 20509 (41%) tra 80 e 89, e 9388 (19%) negli over 90. Sommando gli over 60, si registrano 47613 decessi, ossia il 95,36% dei casi.

Con la seconda ondata, si è sentito che il virus fosse diventato più pericoloso anche tra i giovani: sempre stando ai dati dei decessi, scomponendo l’età media per settimana si scopre che la più bassa in assoluto è stata nella terza settimana di febbraio, ossia la prima registrata, quando l’età media era di quasi 76 anni; il picco, oltre gli 84 anni, si è registrato a cavallo di giugno e luglio, per poi assestarsi sulla media di 80 più o meno per tutte le settimane seguenti. Se la rilevazione statistica relativa all’età dei decessi non fosse abbastanza esplicita, si aggiunga quello delle patologie preesistenti, ottenuto da 5592 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche.

Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,6. Scorporando il dato, si ha che 178 pazienti (3,2%) presentavano 0 patologie, 702 (12,6%) 1 patologia, 1036 (18,5%) 2 patologie e 3676 (65,7%) ben 3 o più patologie. Come di recente sottolineato anche dal professor Bernabeila maggior parte dei deceduti era molto anziana e con diverse patologie preesistenti: una condizione di fragilità cui prestare la massima attenzione ma che certamente non riguarda l'intera popolazione. L’ISS riporta in particolare che “l’insufficienza respiratoria è stata la complicanza più comunemente osservata in questo campione (94,0% dei casi), seguita da danno renale acuto (23,5%), sovrainfezione (19,3%) e danno miocardico acuto (10,9%)”.

Infine, l’Istituto aggiunge una specifica sui decessi di pazienti di età inferiore ai 50 anni, che ricordiamo essere 585, ossia l’1,2%: 85 di questi presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardio-vascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità), mentre solo 14 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.

Due avvertenze, che considerando il tenore delle polemiche è sempre meglio specificare: innanzitutto, è ben chiaro che la pericolosità del contagio non è esclusivamente legata al decesso, ma che anche solo contrarre la malattia può portare a conseguenze gravi; inoltre, distinguere le fasce d’età non è certo una discriminazione, ma la rilevazione dell’oggettività della manifestazione della malattia, che quanto più dettagliatamente è conosciuta, tanto più efficacemente può essere combattuta, sotto tutti i punti di vista. Quest’ultima espressione è da sottolineare: tutti, perché abbiamo visto che questa crisi non ha avuto una sola dimensione, ossia sanitaria, ma i suoi strascichi sono stati violenti anche su quella economica.

Pertanto, la conoscenza di questi dati, con tutti i relativi distinguo, consente da una parte di valutare con obiettività la difficile situazione e, dall’altra, di favorire l'elaborazione di strategie adeguate e lungimiranti nell’affrontarla.

Giovanni Gazzoli, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali 

7/12/2020 

 
 

Ti potrebbe interessare anche