Gli anziani, il futuro dell'Italia?

I nuovi dati Istat relativi alle nascite del 2021 non lasciano spazio a dubbi o interpretazioni: in Italia nascono sempre meno bambini e l'età media delle madri alla nascita del primo figlio continua a salire. Anno dopo anno, il futuro del nostro Paese si tinge di Silver 

Lorenzo Vaiani

Di primo acchito può sembrare un controsenso ma, come si vedrà nel prosieguo dell’articolo, così non è. Il futuro dell’Italia sono davvero gli anziani e un’ulteriore conferma a questa affermazione arriva dai nuovi dati Istat relativi a natalità e fecondità: dati che, ancora una volta, mostrano una contrazione di tutti gli indicatori rispetto agli anni precedenti. Nel 2021, infatti, i nuovi nati hanno superato di poche centinaia le 400.000 unità (400.249), confermando il costante calo in atto da decenni; si pensi che dal 2008 al 2021 il numero di bambini nati ogni anno si è ridotto di oltre il 30% (-176.000 unità) passando da 576.659 ai sopracitati 400.249.

Portando lo sguardo leggermente più indietro, al 2020, si osserva il forte impatto di COVID-19 sulle nascite. Infatti, come scritto dall’Istituto di statistica nel report sulla natalità, la significativa contrazione delle nascite osservata nel bimestre novembre-dicembre 2020 (-9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019), e proseguita nei primi mesi del 2021, evidenziando a gennaio il più ampio calo mai registrato (-13,2%), lascia ben pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra fine 2020 e inizio 2021 è infatti riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica. Inoltre, come si evince dalla tabella, nel corso degli ultimi 13 anni l’incidenza percentuale dei nuovi nati primogeniti è gradualmente diminuita passando dal 49,4% al 46,6%. Tale fenomeno, come anche evidenziato dall’Istat, testimonia la difficoltà che hanno le coppie, soprattutto le più giovani, nel formare una nuova famiglia con figli; problematica diversa rispetto a quella che si presentava invece all’inizio del millennio, quando la criticità riguardava soprattutto il passaggio dal primo al secondo figlio. 

Tabella 1 – Indicatori di natalità e fecondità, anni 2008-2021Tabella 1 – Indicatori di natalità e fecondità, anni 2008-2021Fonte: elaborazione a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat

Altra tendenza che si conferma nel 2021 è il progressivo incremento della quota di figli con almeno un genitore non italiano: il numero di nuovi nati con entrambi i genitori italiani è passato dall’83,3% al 78,5%, facendo così segnare una perdita di quasi 5 punti percentuali tra il 2008 e il 2021. Questa variazione è legata alla minore riduzione del numero di figli con genitori stranieri; infatti, sebbene si registri una diminuzione generalizzata delle nascite sia tra la componente autoctona che tra quella straniera, per la prima la contrazione è prossima al 35%, ovvero da 480.271 nati nel 2008 a 316.547 dello scorso anno, mentre per la seconda supera di poco il 10%, da 90.442 a 85.878. 

Questa riduzione si rileva anche nell’andamento del tasso di fecondità totale. Come riportato in tabella, il tasso totale -  dato dalla media tra quello relativo alle donne italiane e quello delle donne straniere - è sensibilmente calato, scendendo da 1,44 a 1,25. Andando maggiormente nel dettaglio e scomponendo il dato complessivo, si nota come per le donne italiane il tasso sia oggi pari a 1,18 (era 1,33 all’inizio della serie storica), mentre per le donne di origine straniera sia di 1,9 (era 2,5 nel 2008). A livello micro la regione nella quale nascono meno figli per donna è la Sardegna, dove per la prima volta si è addirittura scesi sotto la quota del singolo figlio (0,99); sul lato opposto si colloca Il Trentino-Alto Adige, con 1,57 figli per donna.

I dati Istat mostrano poi un altro cambiamento culturale e nelle scelte di vita con il rinvio sempre più significativo del momento in cui avere il primo figlio. Nel 2021 l’età media della madre alla nascita del primo figlio è stata pari a 32,35 anni, quasi 18 mesi in più rispetto al 2008. La figura che segue mostra chiaramente come questo tredn sia in atto ormai da oltre 25 anni con un progressivo slittamento della fecondità verso età sempre più mature; basti pensare che nel 1995 l’età media era addirittura inferiore ai 30 anni (29,8). In questo caso, le statistiche a livello di ripartizione geografica, sempre riportate in figura, mostrano come la scelta di posticipazione rispetto a quando avere il primo figlio sia generalizzata su tutto il territorio nazionale, con le aree del Sud e delle Isole dove si registra l’incremento maggiore di età, rispettivamente da 29 anni nel 1995 a 32,2 nel 2021 e da 29,1 a 31,7. A livello di singole regioni si collocano ai rispettivi estremi le due isole del Paese: in Sicilia, infatti, si rileva l’età più bassa pari a 31,4 anni, mentre in Sardegna quella più elevata pari a 33 anni. 

Figura 1 – Età media della madre alla nascita del primo figlio

Figura 1 – Età media della madre alla nascita del primo figlio

Fonte: elaborazione a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali su dati Istat

Appare ben evidente come la tendenza in atto sia destinata a continuare anche per i prossimi anni. I dati provvisori per il 2022, infatti, fanno supporre che anche l’anno appena concluso farà segnare un nuovo record negativo per la natalità, con un numero di nuovi nati che, con ogni probabilità,  scenderà sotto la soglia dei 400.000. A tale proposito è bene sottolineare, visto che spesso si sente parlare di incrementare il numero di nascite per contrastare il calo demografico, che anche con un incremento significativo del numero di figli per donna dall’attuale valore di 1,25 a un ipotetico 1,8, il numero di nuovi nati resterebbe comunque prossimo alle 400.000-450.000 unità in quanto il numero di donne in età fertile è in costante diminuzione per via del ridotto numero di nati registrato negli scorsi anni.  

Sulla base di quanto appena scritto forse non appare più così tanto un controsenso sostenere che il futuro dell’Italia siano gli anziani, che già oggi costituiscono una quota parte più che significativa della popolazione, e destinati a diventare nel corso dei prossimi 15/20 anni, come emerso a più riprese, sempre più la componente di maggior rilievo all’interno del nostro Paese, non solo a livello demografico ma anche per consumi e ricchezza posseduta.

  Lorenzo Vaiani, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

3/1/2023

 
 
 

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