Entrate fiscali: un sistema che alimenta evasione e redistribuzione

L'analisi delle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF evidenzia forti disequilibri sia tra le imposte versate dai redditi medio-bassi e quelli più elevati sia a livello territoriale, dove il gap tra regioni è ampio anche per quanto riguarda l'IVA. Un fenomeno alimentato dal peso crescente della spesa assistenziale e che contribuisce a spiegare la massiccia evasione fiscale italiana

Bruno Bernasconi

L’Italia è un Paese gravato dalle tasse e con servizi di welfare carenti, dalle pensioni alla sanità, passando per l’istruzione. Questa, almeno, sembra essere la narrazione prevalente di una buona fetta di popolazione e, di conseguenza, seguita da una parte della politica a fini elettorali. Eppure, dati alla mano, risulta che siamo ai primi posti nelle classifiche europee per spesa per protezione sociale di cui la gran parte dei cittadini beneficia sostanzialmente gratis, dato che a pagare effettivamente le tasse (o perlomeno una quota sufficiente a finanziare le funzioni base del welfare) sono solo una minoranza. La stragrande maggioranza degli italiani, infatti, dichiara redditi insufficienti a finanziare anche la sola spesa sanitaria, facendo emergere forti disequilibri sociali e territoriali. 

Un dato che non sembra conforme a un Paese appartenente al G7 e che, incrociato con l’analisi delle imposte sui consumi e su alcune spese “accessorie” (gli italiani risultano ai primi posti per gioco d’azzardo, parco auto e moto, telefonia, animali da compagnia ecc.), solleva più di qualche dubbio relativo a un altro triste primato italiano, quello dell’evasione fiscale, sostenuto anche da un sistema di agevolazioni e bonus che incoraggia fenomeni di sotto-dichiarazioni e sommerso. 

Dall’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate realizzato da Itinerari Previdenziali con il sostegno di CIDA, emerge che su circa 42 milioni di cittadini che hanno presentato una dichiarazione dei redditi per il 2022, il 75,57% dell’intera IRPEF (pari a 189,31 miliardi, di cui 169,59 miliardi di IRPEF ordinaria) è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, ossia chi dichiara più di 29.000 euro l’anno, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%. Più nel dettaglio, il 15,3% dei contribuenti che dichiara più di 35mila euro paga il 63,4% dell’intera imposta, mentre il restante 84,74% paga il 36,61%. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale, si rileva che nel 2022 il Nord con 20,9 milioni di contribuenti e 16,9 milioni di versanti (ossia coloro che hanno versato almeno 1 euro di IRPEF) paga 108,3 miliardi di euro (il 57,2% del totale), il Centro con 8,5 milioni di contribuenti e 6,64 milioni di versanti paga 41,3 miliardi (il 21,8%) e il Sud con 12,6 milioni di contribuenti e 8,8 milioni di versanti paga 39,7 miliardi (il 21% del totale).

Un evidente squilibrio tra Nord e Sud che emerge anche dall’analisi dell’IVA, la principale imposta indiretta e quella che contribuisce maggiormente alle entrate del bilancio statale dopo l’IRPEF (con un gettito 2022 pari a 143,6 miliardi di euro). Il Nord con 27,4 milioni di abitanti ha un pro capite di 3.376,57 euro, il Centro con 11,7 milioni di abitanti versa, anche grazie alla massiccia presenza delle amministrazioni e aziende pubbliche o partecipate nel Lazio, 2.944,23 euro per cittadino, mentre il Sud con 19,9 milioni di abitanti versa un’IVA pro capite di appena 750,87 euro. La sola Lombardia con quasi 10 milioni di residenti ha versato, nel 2022, 51,877 miliardi di IVA contro i circa 15 miliardi dell’intero Mezzogiorno che ha però il doppio degli abitanti. 

Appare evidente che questi dati, se da un lato riflettono le differenze economiche e occupazionali tra le regioni, dall’altro suggeriscono elevati livelli di sommerso. Ma qual è il livello di evasione in Italia? Secondo l’Istat, nel 2022 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa (181,8 miliardi) e attività illegali (19,8 miliardi), si è attestato a 201,6 miliardi di euro, valore che sarebbe sufficiente a finanziare circa il 70% del totale della spesa sanitaria (131 miliardi) e di quella per l’assistenza sociale (157 miliardi). La crescita rispetto al 2021 è stata del +9,6%, superiore al +8,4% registrato dal PIL a prezzi correnti, con un’incidenza sostanzialmente stabile al 10,1%. In particolare, nel 2022, il complesso dell’economia sommersa valeva 181,8 miliardi di euro, in aumento di 16,3 miliardi rispetto al 2021 e con un’incidenza sul PIL sostanzialmente stabile al 9,1% (era il 9,0% l’anno precedente). La componente legata alla sotto-dichiarazione ammonta a 100,9 miliardi di euro, mentre quella connessa all’impiego di lavoro irregolare è pari a 69,2 miliardi (erano rispettivamente 90,5 e 65,5 miliardi l’anno precedente). A livello settoriale, i settori dove il peso del sommerso economico è maggiore sono gli "Altri servizi alle persone" (30,5% del valore aggiunto del comparto), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (18,5%) e le Costruzioni (17,5%). Si osserva invece un’incidenza minore per gli "Altri servizi alle imprese" (5,3%), la Produzione di beni d’investimento (3,7%) e la Produzione di beni intermedi (1,4%).

Figura 1 - Le componenti dell'economia non osservata in Italia (2019-2022)

Figura 1 - Le componenti dell'economia non osservata in Italia (2019-2022)

Fonte: Istat

A livello territoriale, il fenomeno del sommerso risulta coerente con i disequilibri tra Nord e Sud nelle entrate fiscali. In generale, l’incidenza dell’economia non osservata è molto alta nel Mezzogiorno, dove nel 2021 rappresentava il 17,2% del valore aggiunto complessivo, seguita dal Centro dove il peso si attesta al 12,3%, mentre le quote raggiunte nel Nord-Est e nel Nord-oPest risultano inferiori alla media nazionale e pari al 9,7% e 9,2%. Prevale ovunque l’incidenza del valore aggiunto generato dalla sotto-dichiarazione che raggiunge il livello più alto al Sud (7,8% del valore aggiunto), mentre il livello più contenuto è registrato nel Nord-Ovest (4,4%). Nel Mezzogiorno è significativa anche la quota di valore aggiunto generato da impiego di lavoro irregolare che si attesta al 6,5%, mentre è di poco superiore alla media nazionale al Centro (4,3%) e inferiore e pari al 3,2% al Nord. La Calabria è la regione in cui il peso dell’economia non osservata è massimo, con il 19,1% del valore aggiunto complessivo; l’incidenza più bassa si registra nella Provincia Autonoma di Bolzano (8%). 

Per avere una completa rappresentazione di come l’economia sommersa condizioni l’economia nel suo complesso, occorre tuttavia prendere in considerazione anche quanto il sommerso di ciascuna regione impatti sul totale nazionale. Pertanto, oltre all’incidenza dell’economia sommersa sul valore aggiunto a livello regionale, che può essere definita “propensione”, è necessario analizzare il peso che il sommerso di ciascuna regione ha sul valore aggiunto nazionale. Questo secondo indicatore, che può essere definito “impatto”, è calcolato come il rapporto tra il sommerso di ciascuna regione e il valore aggiunto nazionale e dipende dalla dimensione dell’economia locale. Combinando questi due indicatori, si osserva che la Campania si caratterizza per valori superiori alla media nazionale sia per la propensione sia per l’impatto del sommerso, mentre Calabria e Sardegna, entrambe con una propensione molto superiore alla media nazionale, hanno un impatto inferiore in virtù della minore dimensione del sistema economico. Da questi rilievi emerge anche il ruolo del Lazio che, pur presentando una propensione in linea con la media nazionale, mostra un impatto significativamente alto sul sommerso nazionale, e quello della Lombardia, che ha invece una propensione molto inferiore alla media ma un impatto molto superiore in virtù della rilevanza della propria economia su quella nazionale. 

Venendo invece all’analisi dell’evasione, i dati MEF stimano un calo dell’evasione fiscale e contributiva di 26 miliardi di euro in 4 anni, passando da 108,4 miliardi nel 2017 a 82,4 nel 2021 (ultimo anno di rilevazione disponibile), con una diminuzione anche in percentuale rispetto a quanto dovrebbe essere stato pagato (la cosiddetta “propensione all’evasione” o al gap). L’imposta più evasa nel 2021 è stata l’IRPEF da lavoro autonomo e impresa (nell’anno è stato versato solo un terzo dell’IRPEF dovuta) per un ammontare di circa 29,6 miliardi (33,3 miliardi nel 2017), rispetto ai circa 4 miliardi (4,3 miliardi nel 2017) dell’IRPEF da lavoro dipendente irregolare. Il maggior contributo alla diminuzione dell’evasione viene però dall’IVA, da 35,6 miliardi nel 2017 a 17,8 miliardi nel 2021. Ciononostante, secondo i dati più recenti forniti dalla Commissione Europea, il gap IVA dell’Italia resta il più alto tra i principali Paesi europei e rappresenta circa un quinto dell’intero gap IVA dell’Unione Europea. Il nostro Paese ha un gettito potenziale di 135,58 miliardi di euro, ma ne raccoglie solo 120,98 miliardi, con un divario di oltre 14 miliardi di euro, rispetto ai 9,5 miliardi della Francia e ai 7,4 miliardi della Germania. 

Il fenomeno dell’evasione comporta inevitabili conseguenze sul finanziamento del sistema dei welfare, contribuendo a ingrossare il debito pubblico e alimentando la grande redistribuzione da chi le tasse le paga a favore sia (giustamente) dei più bisognosi ma anche di chi evade. Un meccanismo che si basa sull’assunto per cui meno tasse si pagano e maggiori sono le prestazioni sociali e i servizi ricevuti dallo Stato, tramite deduzioni, detrazioni e bonus, contribuendo a spiegare gran parte dell’evasione ed elusione fiscale e contributiva e a creare un circolo vizioso che sottrare risorse alle casse dello Stato. 

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

 2/12/2024 

 
 

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