Luci e ombre nei risultati INVALSI e come utilizzarli

Le prove INVALSI possono rappresentare un'importante fonte di informazioni sul sistema scolastico italiano, non ancora adeguatamente sfruttate però a livello politico e istituzionale. Ecco alcune delle indicazioni che si possono trarre dai risultati più recenti

Tiziana Pedrizzi

L’11 luglio si è tenuta presso la Camera dei Deputati la presentazione dei Risultati INVALSI 2024. Le sedi di questa presentazione sono diventate via via più prestigiose (importante il periodo in cui si tenevano in Banca d’Italia, dopo le scuole romane di periferia) e l’avvento del centro-destra non ha cambiato le cose, nonostante  una sua parte avesse promesso (non diversamente dai rappresentanti del Movimento 5 Stelle dello schieramento opposto) a una certa base di insegnanti la loro cancellazione. Del pari prestigiosa la presenza del ministro Valditara che non ha tenuto il solito discorso di circostanza ma, accanto ad alcune rilevazioni nel merito dei loro risultati dandone un giudizio blandamente positivo, ha voluto ricordare le sue iniziative legislative e non. Senza ovviamente istituire un rapporto di causa effetto, alcune di queste, fra cui l’intervento sugli apprendimenti linguistici degli alunni stranieri, possono evocare consonanze con alcune evidenze delle prove.

La collaborazione fra Invalsi e gli apparati statistici di Ministero dell'Istruzione e del Merito e Istat permette di collocare i risultati in un quadro di sistema. Le buone notizie più significative vengono da qui: la diminuzione graduale della dispersione esplicita (con indicatore la presenza di ripetenti nel sistema), che passa dal 10% del 2023 al 9,4%, con obiettivo PNRR quasi raggiunto e molto vicino al traguardo fissato dall’Europa del 9% entro il 2030. Anche la dispersione implicita (percentuale di studenti collocati al di sotto del livello minimo di competenze atteso) passa dall’8,7% pre-pandemico al 6,6%. Questo ultimo dato è importante perché avere meno bocciature in presenza di risultati uguali, se non peggiori, indicherebbe solo un allentamento dei criteri di giudizio e l’Italia è uno dei pochi Paesi che, grazie alle prove, dispone di dati attendibili in proposito. Il concetto di dispersione implicita è stato varato da INVALSI stesso e, oltre a essere prezioso, sembra avere anche un certo successo e diffusione.

In sintesi i risultati più interessanti:

una tendenza media positiva dopo COVID con segnali di miglioramento soprattutto al Sud e nell’ultimo anno delle superiori. Anche la percentuale degli eccellenti migliora passando dal 13 al 15% con il contributo maggiore dal Sud, dove i livelli son sempre stati molto bassi;

- un'ennesima conferma delle per certi versi inattese buone performance in inglese. Non si tratta tuttavia necessariamente di un complimento per la scuola, perché chiunque bazzichi minorenni sa quanto si sia diffuso l’uso dell’inglese attraverso l’ascolto e la riproduzione di canzoni, video e anche serie televisive;

- la scuola media resta sempre il punto problematico del sistema con gli esiti del Sud invariati e un peggioramento al Centro-Nord. Questo fatto è stato messo in relazione con la presenza di un numero massiccio di allievi di origine non italiana, quasi assenti peraltro nel Mezzogiorno. In realtà, questa presenza potrebbe essere una grande risorsa, come dimostrano analisi impressionistiche che girano peraltro differenziate per gruppi di provenienza e lo dimostra la graduale scalata in corso al sistema scolastico italiano, significativa perché si tratta di impegno per la promozione sociale; 

- la matematica sempre male, pur in presenza di un leggero miglioramento in seconda elementare (+2) e in quinta (+5). In questo caso sembra decisivo l’apporto negativo della scuola elementare soprattutto per le ragazze, ma finché non muterà qualcosa nella cultura diffusa delle insegnanti è difficile che qualcosa cambi: la stragrande maggioranza delle iscritte a Scienze della Formazione proviene dal liceo delle  scienze umane la cui scelta è fortemente determinata dal ruolo secondario della matematica e delle scienze e dalla prevalenza di (edulcorate) materie umanistiche. I percorsi universitari successivi non sembrano cambiare granché. 

Niente di straordinariamente nuovo dunque. Non c’è da stupirsene: anche il Rapporto OCSE PISA 2022 non ha presentato significative novità a livello internazionale, tranne che nella testa di classifica, stabilmente  passata agli asiatici dopo il predominio iniziale dei nordeuropei. Agli inizi dell’avventura delle valutazioni standardizzate esterne all’inizio del millennio, la fiducia nella funzione decisiva e salvifica dell'istruzione aveva portato ad attribuire un ruolo decisivo alla struttura del sistema scolastico e alle caratteristiche dei suoi protagonisti: unitarietà massima possibile dei percorsi scolastici, centralità della struttura organizzativa, formazione e retribuzione degli insegnanti. In realtà, gli sviluppi successivi sembrano dimostrare che i fattori decisivi sono altri e il caso degli asiatici in top ten sembra esserne la prova. La storia e la cultura valoriale dei gruppi umani costituiscono un fattore cruciale: l’Asia, entrata in sottosviluppo da soli due-tre secoli a seguito del folgorante decollo dell’Occidente, si sta ora riprendendo.

Bisogna ricordare che la scuola ha innanzi tutto una funzione di trasmissione alle nuove generazioni, il che non significa peraltro che sia autorizzata a chiudersi nel culto del passato. In secondo luogo, forse bisogna cominciare a ripensare il rapporto causa-effetto. Le società che possono e vogliono svilupparsi hanno bisogno della scuola, ma, se la spinta allo sviluppo non c’è o perché si è al di sotto della soglia di decollo per i più svariati motivi o perché si ritiene di averne raggiunto il massimo livello possibile e auspicabile (ed il problema è solo la redistribuzione), l’interesse per la scuola della società nel suo complesso cade. Un interessante articolo di Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera anche sulla scorta di un dossier di Vita e Pensiero riflette sulla povertà culturale delle élite in Italia che avrebbero spostato gli investimenti prima destinati alla cultura verso il lusso, ivi compresa l’arte contemporanea. I consumi culturali erano un modo per distinguersi ed esercitare potere orientando il gusto delle altre classi. [...]

Ma allora perché INVALSI deve continuare? I suoi residuali avversari cronici ormai sparuti tornano a invocare modalità migliori di investire i soldi, essendo scaduti da obiezioni di principio a opportunità di portafoglio: più stipendi agli insegnanti, più investimenti nelle strutture, addirittura - un’ idea meno stucchevole - più lezioni di matematica aggiuntive che si devono immaginare obbligate per essere efficaci. Non è difficile ipotizzare il loro effetto sui già riottosi… Il presidente Roberto Ricci, che come sempre ha presentato i risultati, ha  ricordato che l’Italia ha ormai a disposizione una massa di dati, articolati nel tempo e nello spazio fino alle singole classi sul proprio sistema scolastico, sulla base di paradigmi valutativi accettati a livello internazionale. Non ci sono molti sistemi occidentali che possano vantare altrettanto ed è ora che il livello politico supporti le istituzioni  accademiche e scientifiche a sondare quei dati in modo massiccio e sistematico su alcune direzioni cruciali. Renata Viganò, la docente universitaria vicepresidente del CdA INVALSI, ha sottolineato nelle conclusioni che  occorrono ricerche coordinate. 

I temi cruciali non mancano: il mistero del Sud che espone risultati sconfortanti ma poi mostra sia a livello nazionale e anche internazionale giovani capaci (polarizzazione sociale di stampo sudamericano?), la misera percentuale di eccellenti perfino inferiore a quella non brillante dell’Europa (analisi PISA) in comparazione con i Paesi dal PIL simile e che ha risentito pesantemente della pandemia soprattutto nei settori socialmente ed economicamente sfavoriti, la valorizzazione dei giovani immigrati che possono diventare una risorsa invece che una zavorra. Una start-up finlandese sta gestendo un programma - senza peraltro il sostegno del governo ostile alle immigrazioni - in cui, per fare fronte alla carenza di giovani nelle scuole e in alcuni settori occupazionali, recluta studenti con buoni risultati scolastici da Paesi dell’Africa dell’Asia e dell’America Latina. Questi frequentano le scuole finlandesi con la possibilità di accedere al mercato del lavoro locale in sofferenza. Attualmente, più di 1500 studenti partecipano a questo programma: un possibile futuro?   

Tiziana Pedrizzi per la Fondazione Anna Kuliscioff

5/8/2024

 
 

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