Maturità, prove Invalsi e quei risultati divergenti

Come spiegare le discrepanze tra voti d'esame e punteggi ottenuti nelle prove Invalsi? Alcuni spunti di riflessione sull'attendibilità delle valutazioni finali della temuta maturità e sul loro "peso" al di fuori del contesto scolastico

Tiziana Pedrizzi

Il tema dell'attendibilità delle votazioni nelle  prove nazionali di esame non riguarda solo il mondo della scuola, ma, in generale, la società e anche il mondo produttivo. Sapere se le valutazioni in quelli che vengono molto pomposamente chiamati esami di Stato corrispondono alla realtà non è di poca importanza per chi le voglia utilizzare.

Una breve storia. I due nomi - esami di Stato e maturità - che sono stati nel tempo utilizzati per indicare l’esame finale della secondaria superiore corrispondono a due diverse ere della società italiana e della sua scuola. Esame di Stato era il nome voluto da Gentile per dare serietà ai titoli, essenzialmente liceali, che avrebbero dovuto garantire il bollino di appartenenza a una classe dirigente seriamente competente. E, infatti, nei primi anni ci fu un massacro di bocciature che costarono al povero Gentile la poltrona di ministro. Maturità invece è stata una ridefinizione di epoca democristiana in cui si voleva mettere in secondo piano l’aspetto “nozionistico” della prova, per sottolinearne l’aspetto di verifica delle qualità relazionali, generali e personali del candidati, la maturità appunto.

A questo décalage ha corrisposto la progressiva diminuzione dei contenuti: da quelli del triennio finale per intero, ai famosi “riferimenti” regalo di Aldo Moro, a un numero limitato di materie poi più o meno integrate, riassorbite o, secondo i punti di vista, annientate dalle lodate o famigerate tesine. E si è passati poi dai voti materia per materia con esami a ottobre conseguenti, al voto finale  onnicomprensivo che, a sua volta, è passato dal 60 al 100. Per non parlare dei commissari: dal "tutti esterni" con la presenza del famigerato e infelice difensore d’ufficio-membro interno, agli ultimi periodi in cui, dopo un avanti indietro in cui qualche sprovveduto sembrava identificare la serietà dell’esame, si è infine per economia approdati al “tutti interni” con un presidente solo per molte commissioni e perciò nel merito inesistente.

La notte prima degli esami perciò una volta era un po' diversa da quella di adesso, lo stress un po’ più motivato, anche perché le bocciature non erano infrequenti. Nell’anno 64-65 in cui chi scrive frequentava l’ultimo anno di un liceo classico della città di Milano, nella classe vennero catapultati 8 bocciati alla maturità dell’anno precedente. E ancor oggi nei periodici raduni si ride dell’esame a ottobre in latino di una compagna, che peraltro era entrata all’esame di storia chiedendo disperata chi aveva vinto la Prima Guerra Mondiale. Oggi, una volta superati gli scrutini degli anni precedenti, per cadere all’esame di maturità bisogna proprio volerselo, una volta  tolti i limiti che Gelmini aveva cercato di introdurre, come prevedibile superati tranquillamente in sede di ammissione. 

Diverso è invece il discorso sul peso dei  voti finali, che un qualche aiutino nella vita cercano ancora di darlo.

Nei dieci anni precedenti si è svolta una sorda lotta sul ruolo da dare alle valutazioni standardizzate Invalsi, all’interno dei famosi esami di Stato del quinto anno delle superiori. Nello stesso periodo infatti si è fatta una piccola prova in corpore vili, cioè all’interno dell’esame di stato della terza media, che com'è noto ben poco conta dal punto di vista del suo valore nella società. Nella definizione dell’aggettivo valutativo finale - sufficiente, discreto, buono, ottimo - veniva attribuita una certa percentuale alle prove Invalsi di italiano e matematica che venivano somministrate all’interno delle prove di esame. Analisi specifiche hanno dimostrato che in questo modo gli aggettivi non cambiavano rispetto ai risultati delle prove interne della scuola, salvo che per le valutazioni apicali in cui le prove Invalsi impedivano di dare l’ottimo a studenti che gli insegnanti valutavano tali, ma che non raggiungevano risultati corrispondenti in Invalsi: molto impegno o magari abilità non strettamente cognitive… Ma nelle scuole molte organizzazioni di presidi e insegnanti di sinistra e cattoliche fecero un putiferio sostenendo che questa modalità di esame delegittimava la scuola. Finché le prove Invalsi  non vennero espulse dalla definizione dell’aggettivo finale e la loro somministrazione collocata in parallelo con l’esame. E così avviene ora. Il risultato è che vengono sostanzialmente snobbate dalla maggioranza delle scuole, salvo che alcune scuole superiori un po’ esigenti e/o diligenti ne richiedono l’esito. Quelle però davvero esigenti provvedono da sole a fare test di ammissione molto prima dell’esito dell’esame di terza media. Lo stesso  fanno Università come il Politecnico di Milano che aprono le prove di ammissione nella primavera del quarto anno della scuola superiore senza attendere i risultati dell’esame di Stato.

Il discorso della maturità è stato anche più lungo e doloroso. Per dieci anni, si diceva sopra, sostanzialmente si è svolta una sorda lotta: impossibile non coronare un sistema di valutazione come quello di Invalsi - rimasto in piedi sostanzialmente solo per il fatto che a livello internazionale ed europeo annullarlo sarebbe stato come scendere sotto il livello della Grecia - con una prova finale della formazione superiore. Ma come collocarla? Dentro la valutazione complessiva come nella prima fase dell’esame di terza media o fuori? E con che ruolo? [...]

Ma toccare la maturità per una parte di Italia è un delitto di lesa etnicità. La conclusione è stata che le prove Invalsi si svolgono on line e individualmente nel periodo precedente l’esame, che i risultati non hanno alcun peso sulla valutazione di esame, che i dati sono restituiti alle scuole ma servono solo per le analisi nazionali. Gli studenti però possono scaricarne personalmente i risultati e magari utilizzarli per il loro percorso lavorativo e/o formativo personale. Solo da quest’anno –rinvii causa COVID - è tornata pienamente in vigore la normativa originaria che prevedeva l’obbligo di sostenere la prova, ma non una selezione all’ammissione all’esame in relazione ai suoi risultati, come da parte dei suoi oppositori si è cercato di sostenere. Del resto, anche quando sostenerla era del tutto opzionale, le percentuali dei maturandi volontari arrivavano al 96%. Indicando che i giovani studenti non la pensano come i sindacati e le associazioni degli insegnanti che si sono da sempre battute, nella loro stragrande maggioranza, contro le prove Invalsi in ogni loro forma e collocazione.

Ma cosa ne possiamo ricavare? Una risposta, ce la dà uno studio commissionato  dalla Fondazione Agnelli a cura di Patrizia Falzetti e Angela Martini "L’esame di maturità e le prove Invalsi” del maggio 2022. L’articolo analizza la relazione tra i voti dell’esame di Stato conclusivo degli studi secondari del 2019 e i risultati delle prove Invalsi di italiano, matematica e inglese a cui gli studenti del quinto anno di scuola superiore sono stati per la prima volta sottoposti nello stesso anno in forma non obbligatoria, ma cui hanno partecipato per il 96.85%. L’analisi mette in luce le discrepanze tra il punteggio ottenuto nelle prove oggettive Invalsi, da una parte, e i voti d’esame dall’altra. A parità di voto, il punteggio nelle prove standardizzate varia a seconda della macro-area (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Sud e Isole) in cui la scuola è collocata. Si riportano qui le conclusioni, commentandole,  della ricerca, la prima – e si spera non l’ultima- realizzata sul tema:

  • Mentre le regioni del Nord hanno una percentuale di studenti con un punteggio elevato nelle prove Invalsi (livello 5 e 6) più alta della percentuale di studenti con un voto finale d’esame oltre 90, la relazione reciproca tra le due serie di dati si inverte man mano che si procede dalle regioni centrali a quelle del mezzogiorno. Il che, semplificato dal linguaggio iniziatico del paper, si traduce nel fatto che nella graduatoria dei 100 all’esame di maturità Puglia, Campania e Calabria si disputano anno per anno il primo posto, mentre nella graduatoria delle prove Invalsi costantemente si disputano l’ultimo. E, con una perfetta corrispondenza, la Lombardia si colloca rispettivamente nelle prove Invalsi alternandosi con il Veneto al primo posto e nel voto d’esame gareggia sempre per l’ultimo.
     
  • La discrepanza tra le valutazioni degli insegnanti e i risultati di prove standardizzate nel nostro Paese non è di per sé una novità alla luce delle analisi condotte utilizzando i dati dell’indagine PISA sugli studenti quindicenni e delle rilevazioni nazionali. La distorsione presente nelle valutazioni degli insegnanti dipende in parte dall’adozione di criteri più o meno severi e rigorosi nel giudicare gli studenti, ma soprattutto dal fatto che esse sono inevitabilmente condizionate dal livello medio della classe e della scuola in cui si trovano a operare, rispetto al quale vengono di fatto valutati gli alunni che ne fanno parte. Se questo può non costituire un problema finché scopi ed effetti delle valutazioni rimangono interni ai contesti educativi in cui sono formulate – specie considerando che esse rispondono anche a finalità pedagogiche , he vanno al di là di una mera classificazione degli studenti – diverso è il discorso quando le valutazioni assumono una validità, per così dire, erga omnes, come accade per i titoli rilasciati dopo il superamento dell’esame finale di un corso. Tuttavia, il contesto socio-economico non spiega tutto: pur a parità di condizione sociale della famiglia d’origine, del tipo di scuola superiore frequentata e del voto in italiano, matematica o Inglese, infatti, uno studente del Mezzogiorno ottiene nelle prove Invalsi un punteggio inferiore a quello di uno studente del Nord Italia (Martini 2020). Per spiegare la minore qualità dell’istruzione nel Mezzogiorno bisogna dunque chiamare in causa, oltre a quelle socio-economiche, anche altre variabili sul funzionamento del sistema scolastico (didattiche, organizzative, ecc.), senza per altro dimenticare che fenomeni complessi, come quelli che sottostanno alla maggiore o minore efficacia dell’istruzione, sono il risultato dell’interazione di più fattori operanti su piani diversi e soggetti a processi di retroazione in cui cause ed effetti si condizionano e rafforzano a vicenda.

Tiziana Pedrizzi per la Fondazione Anna Kuliscioff

26/6/2023

 
 

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